Silenzio, è Quaresima. E’ tempo di chiudere la porta del cuore e cercare nostro Padre. Viviamo, infatti, come orfani, che fanno tutto per essere notati e amati, ammirati e lodati; anche quando ci nascondiamo scappando dagli altri, in fondo è perché la nostra vita dipende da chi ci è intorno.
Pericolosissima situazione di chi è vuoto dentro, nel cuore come nella mente, e vagabonda mendicando qualsiasi cosa pur di riempire la voragine che stordisce e rapisce gioia e pace; pericolosa per i giovani, che avvelenano con perversioni di ogni tipo occhi, mente e carne ancora verdi e perciò vulnerabilissimi, sporcando l’immagine dell’amore, della sessualità, delle relazioni tra uomo e donna, tra gli amici.
Pericolosa per gli adulti, che possono bruciare le Grazie ricevute barattando la primogenitura dei figli di Dio con un po’ di consolazione: prestigio, considerazione, ossequi e falsità senza limite e fine, che incensano il tempo sufficiente ad arraffarci la poca vita che ci rimane per abbandonarci più soli e disperati di prima.
Pericolosa per gli anziani, che possono cadere nella trappola dell’insoddisfazione, della solitudine, del sentirsi abbandonati da tutti, lasciandosi andare così alla mormorazione, al giudizio per figli e parenti, e trasformarsi in gocce di acido che sfregiano tutto ciò a cui si avvicinano.
Pericolosa per i sacerdoti e i religiosi, che si possono trasformare in esecutori freddi di culto e dispensatori routinari di sacramenti, che usano e pervertono le cose sante per saziare la propria carne ridotta a spugna secca.
Quanti orfani sparsi nel mondo. Ci siamo dentro anche noi, che spendiamo il tempo fuori del segreto, impauriti e traumatizzati dal buio, dal vuoto e dal fetore che albergano là dentro. Non abbiamo un luogo segreto dove si è figli del Padre e dove tornare per riposare.
Troppo spesso la nostra vita non ha segreti mentre tutto è tragicamente pubblico; sempre connessi con il mondo, sempre fuori come Esaù a disperdere la primogenitura, attingendo dall’esterno il senso che impedisca al tutto di volare via.
E così anche “le preghiere, le elemosine e i digiuni”, si riducono a sentimenti ostentati, mai segreti; strumentalizziamo tutto, onnivori di carne e spirito, Dio e mondo. Tutto in un boccone a saziarci, a messa e al Centro commerciale, ogni cosa ce la offriamo senza misura.
Per questo oggi inizia la Quaresima, a raccogliere la carne sgonfiata dei mascherati esausti dopo una vita di carnevale. Arriva la Quaresima come un seno di misericordia, amore gratuito e senza condizione preparato dal Padre per i figli perduti.
La Quaresima è una buona notizia: c’è speranza. C’è la conversione, la Teshuvà direbbe un pio israelita, il ritorno, sul cui cammino smettere la maschera per indossare il sacco dell’umile riconoscimento dei propri peccati.
La conversione è il figlio prodigo, la fitta che gli percuote il petto, la percezione chiara d’aver buttato la vita e di essere ormai un relitto in secca; l’esperienza dura della solitudine – anticipo dell’inferno che è assenza eterna di Dio – il nulla nel cuore, nessun viso, nessuna parola.
Ma, per una Grazia misteriosa – la stessa Presenza che non l’ha abbandonato mai, rispettosa della sua libertà e nascosta al fondo della sua anima – al termine della discesa nell’abisso, rientra in se stesso.
Rientra “nel segreto”, nella stanza più intima, e incontra lo sguardo dell’unico che vede nel segreto della sua anima, che non ha mai smesso di considerarlo suo figlio, nonostante quello che abbia fatto, sia quel che sia.
Il figlio ritrova la verità che si nasconde dietro l’apparenza, il luogo, l’unico, dove è fondata e da dove scaturisce e prende vita la sua esistenza. Il figlio rientra in sé e intuisce, e comprende quel che ha smarrito, suo Padre: “Mi alzerò e tornerò da mio Padre”.
La Quaresima è rientrare nel proprio cuore e scoprire, dentro la solitudine di un segreto fecondo, lo sguardo di misericordia del Padre, un amore senza limiti, neanche quelli dettati dal peccato più atroce.
Il digiuno, l’elemosina, la preghiera, sono innanzi tutto segni della nostra realtà che il mondo e il demonio ci occultano, il segno di un’assenza e, quindi, di un bisogno insopprimibile. Il digiuno per ricordare la fame mai saziata di Dio; l’elemosina, per ricordare il nostro mendicare senso e sostanza alla vita; la preghiera, per ricordare la solitudine degli orfani.
In noi, infatti, è sparita la memoria del Padre: solo il suo ricordo e l’incontro con Lui ci può indurre a spegnere le luci della ribalta su cui gettiamo la vita e vivere, nel segreto che è verità, l’amore autentico che si dona, che perdona, che accoglie, che scioglie le catene inique che schiavizzano e legano gli altri a se stessi.
Per questo ci vengono date le armi dei figli: il digiuno per combattere la carne e gli affetti malsani; l’elemosina per combattere gli idoli muti; la preghiera per entrare, da uomini liberi, nella storia che Dio prepara per noi.
Inizia la Quaresima e l’annuncio del Vangelo ci prende dove siamo, per condurci in un luogo segreto dove conoscere il segreto del Padre, dove credere al suo amore. Come il figlio prodigo, ci ritroviamo con una vita in cenere, polvere senza radici: è polvere il rapporto con tua moglie o tuo marito, senza la capacità di perdonare e donarsi davvero l’uno all’altro?
E’ cenere ogni giorno di lavoro, speso tra mormorazioni e invidie? Che sostanza ha oggi la nostra vita? E’ fondata sull’amore che dà frutti di vita eterna, oppure ogni giorno è come una sigaretta che il tempo si fuma e non lascia che un po’ di cenere per terra?
Il segno che oggi riceveremo ci aiuta a rientrare in noi stessi, a fare verità e consegnarci così come siamo all’amore di nostro Padre, il solo che può trasformare la polvere in oro, e rendere immortale ciò che è mortale. Solo il suo perdono ci spingerà ad inginocchiarci dinanzi al fratello per lavargli i piedi.
Lui è alla finestra, e freme nell’attesa di correrci intorno. La sua ricompensa è il suo abbraccio di misericordia: “Dio si è commosso per il nostro niente… come un padre e una madre che piangono di commozione per l’odio del figlio: che il figlio cambi, per il suo Destino. E’ una compassione, una pietà, una passione!” (Luigi Giussani).
La compassione è di Dio, ma il cammino è cosa nostra, senza di esso non c’è amore vero. E’ il cammino che i penitenti percorrevano per ritornare nella comunione della Chiesa, come quello della sposa che, appoggiata a suo Padre, incede nella navata della Chiesa per unirsi al suo Sposo.
Quaranta giorni come un fidanzamento, per prepararci alle nozze che celebreremo nella notte delle notti, la notte di Pasqua, la notte dei figli nel Figlio. Liberi e spogliati dell’uomo vecchio potremo unirci Lui, e così tornare a casa dove ci ha preparato un posto, il nostro.