Nel Salone dei Cinquecento, l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Zion Evrony ha consegnato la più alta onorificenza dello Stato Ebraico nelle mani del nipote che porta lo stesso nome dell’amato Arcivescovo Elia Dalla Costa.
Erano presenti tra gli altri Sara Cividalli, presidente della comunità ebraica di Firenze, Rav Yosef Levi rabbino di Firenze, Riccardo Pacifici presidente della comunità ebraica di Roma, Cristina Giachi assessore all’educazione e il cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze.
Riccardo Pacifici avrà provato emozioni particolari, perché fu proprio a Firenze che suo padre Emanuele e suo zio Raffaele furono salvati nell’Istituto di Santa Marta a Settignano, e fu a Firenze che sua nonna Wanda Abenaim fu presa e trasferita ad Auschiwitz.
Nel 1938 Adolf Hitler venne a Firenze e il cardinale Dalla Costa fece chiudere le finestre del palazzo arcivescovile e non partecipò alle celebrazioni ufficiali, spiegando che non poteva accettare che si venerassero “altre croci che non quella di Cristo”.
Nel 1943 organizzò una rete clandestina di salvataggio per i perseguitati. Su suo ordine ventuno conventi e istituti religiosi, oltre a diverse parrocchie diventarono rifugio per ebrei e oppositori del regime.
Il coraggioso Arcivescovo mise in piedi un comitato segreto composto da ebrei e cattolici che gestiva le operazioni di soccorso.
Ne facevano parte il dottor Nathan Cassuto, rabbino di Firenze e brillante oculista, don Leto Casini parroco e responsabile del monastero di clausura dello Spirito Santo in Varlungo, Matilde Cassin che aveva già lavorato con la rete di assistenza per gli ebrei discriminati dalle leggi razziali “Delasem”. La Cassin insieme al padre domenicano Cipriano Ricotti, nascondeva le famiglie ebree negli istituti cattolici.
Della rete di assistenza faceva parte anche il campione di ciclismo Gino Bartali, il quale faceva da staffetta tra Firenze e Assisi, dove una tipografia stampava documenti falsi che nascondeva nella canna della bicicletta.
Nel saluto ai partecipanti l’assessore all’Educazione Cristina Giachi ha detto: “Sono onorata e grata che Firenze possa essere protagonista con una storia come quella di Elia Dalla Costa, una storia luminosa nel buio dei valori che, in quegli anni, attraversava tutto il nostro continente. Grazie a uomini come lui, al loro coraggio e alla loro generosità è stato possibile non lasciare l’ultima parola al male, alla furia gratuita cieca che pure ci aveva sovrastati. Il suo esempio ci indica una strada chiara da seguire”.
Il cardinale Giuseppe Betori ha sostenuto che “la grandezza del cardinale Elia Dalla Costa è un dato acquisito per la coscienza della Chiesa cattolica fiorentina, che ne ha proposto la beatificazione, come pure per la coscienza della città di Firenze, che sa quanto gli deve per la sua opposizione al nazi-fascismo e per l’opera di ricostruzione civile dopo la guerra”.
In merito alle opere di assistenza agli ebrei il porporato ha spiegato che “la scelta del cardinale Dalla Costa, che coinvolse tanti collaboratori, non era semplice frutto di sentimenti compassionevoli, ma esito di una precisa visione dell’uomo e della storia, che emerge nelle sue lettere pastorali del 1938, del 1943, del 1944, in cui troviamo la precisa condanna del razzismo e la raccomandazione della carità verso tutti senza distinzioni”.
L’arcivescovo di Firenze ha precisato che il cardinale Dalla Costa nutriva una profonda comprensione “del legame religioso privilegiato che i cristiani hanno con il popolo d’Israele”.
Secondo il cardinale Betori è la comprensione di questo fondamento spirituale che sta alla base della coraggiosa scelta di mettere a rischio se stesso e la comunità cattolica fiorentina pur di salvare i fratelli maggiori.
Un atteggiamento che per l’Arcivescovo di Firenze è un’anticipazione del dialogo che “il Concilio Vaticano II aprirà a livello di Chiesa universale tra cattolici ed ebrei e che oggi felicemente viviamo, anche qui a Firenze”.
“Una chiara visione della dignità di ogni persona umana al di là delle diversità etniche e religiose, – ha concluso l’Arcivescovo – come pure in una prospettiva spirituale che si alimenta alle fonti più autentiche delle parole divine che rendono fratelli ebrei e cristiani, costituiscono una lezione anche per questi nostri giorni, per costruire insieme un futuro di pace, di giustizia, di più piena umanità per il mondo”.