Riprendiamo oggi la seconda parte della relazione tenuta il 15 marzo scorso da monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, presso lo Studium Generale Marcianum di Venezia nell’ambito del convegno ”Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti”.
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Una strategia tardiva?
Al minimalismo cattolico fa da compagno il riduzionismo. I due concetti sono differenti. Il primo è teologico, il secondo è filosofico. Il riduzionismo è proprio della ragione che, come ci ha insegnato Joseph Ratzinger, si autolimita1, vale a dire riduce per scelta l’ambito di verità di sua pertinenza. Qualcuno dice che tutta la modernità è un lungo processo di autoriduzione della ragione. L’origine è razionalistica, anche se può sembrare un controsenso. Il razionalismo è l’esaltazione della ragione. Ma proprio questa esaltazione è all’origine del riduzionismo perché l’assolutezza che la ragione pretende per sé può essere conquistata solo eliminando ciò che va oltre la ragione stessa. L’eliminazione di ciò-che-va-oltre impedisce alla ragione di andare “oltre”: in questo consiste l’autolimitazione. Questa chiusura di orizzonti aumenta progressivamente l’ambito dell’irrazionale. E’ il prezzo da pagare da una ragione assoluta che non vuole lasciare nulla fuori di sé e che per fare questo si riduce a nulla.
Sul piano antropologico, oggi questo processo è particolarmente evidente nel campo dell’ideologia ecologista da un lato e dell’ideologia del gender dall’altro: le due maggiori sfide, a mio parere, che riguardano l’antropologia cristiana.
In un primo momento sembrava che l’ideologia ecologista portasse con sé solo il limite di separare ecologia ambientale ed ecologia umana2. La dimensione naturale dell’ecologia veniva limitata all’ecologia ambientale: la natura ridotta ad ambiente. Emergeva così la grave discrepanza dei movimenti ecologisti, che difendevano la sopravvivenza delle foche e non dei feti o degli embrioni umani. In questa fase, la ragione ecologista poteva ancora essere colta in contraddizione con se stessa e richiamata ad un criterio di verità. Procedendo, però, ci si è accorti che l’ideologia ecologista aveva fatto nel frattempo dei passi ben più radicali: l’uomo stesso veniva inserito nell’ambiente, annebbiandosi la consapevolezza della sua diversità qualitativa rispetto alle altre creature. Nascono nuove forme di panteismo, di animalismo e di naturalismo neopagano che i Lumi pensavano aver dissolto e che invece proprio essi hanno alla lunga e paradossalmente prodotto.
Questa diluizione della persona nella natura fa coppia con il contrario, ossia l’artificializzazione della vita e dell’identità umana. Questo è particolarmente evidente nella cosiddetta ideologia del gender3. In questa tendenza di pensiero ormai ampiamente diffusa, l’identità personale è completamente denaturalizzata in quanto l’orientamento sessuale è considerato un’operazione culturale. In questo modo la costruzione di sé è fatta completamente dipendere dalla libertà, mentre nel naturalismo ecologistico di cui parlavo prima l’identità di sé era sottomessa ai ritmi biologici del tutto. L’ideologia del gender è anche la de-naturalizzazione della società, oltre che della persona, in quanto le relazioni familiari, e quindi sociali, vengono frammentate e moltiplicate in un sistema a rete componibile e scomponibile, astratto ed individualistico.
Le due tendenze che ho presentato – il naturalismo ecologista e l’ideologia del gender – sono apparentemente contrapposte. La prima, infatti, “naturalizza” la persona e le sue relazioni, mentre la seconda la “denaturalizza”. Però, a ben vedere, sono anche convergenti. Infatti nel naturalismo ecologista la natura ha perso il suo carattere finalistico, ossia la capacità di indicare un dover essere. Parallelamente, l’ideologia del gender ha completamente abolito il dover essere frutto di una identità naturale, consegnandosi completamente alla sola volontà del soggetto.
Questo è il panorama di oggi. Il cristianesimo fa spesso dell’antropologia il perno nella propria proposta per la salvezza del mondo. Contemporaneamente il naturalismo ecologista e l’ideologia del gender ci hanno già congedato da tempo dall’antropologia, attuando quanto alcuni visionari, Nietzsche in testa, avevano previsto già molto tempo fa. Ecco perché la strategia della svolta antropologica si rivela, quantomeno, tardiva.
(La prima parte è stata pubblicata lunedì 18 marzo. La terza puntata segue domani, giovedì 21 marzo)
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NOTE
1 Cf Benedetto XVI, Discorso nell’aula magna dell’Università di Regensburg (12 settembre 2006), in Benedetto XVI, Chi crede non è mai solo. Viaggio in Baviera. Tutte le parole del Papa, Cantagalli, Siena 2006, p. 25.
2 Cf. G. Crepaldi-P. Togni, Ecologia ambientale ed ecologia umana. Politiche dell’ambiente e Dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli, Siena 2007.
3 Cf Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana per la presentazione degli auguri natalizi, 21 dicembre 2012. Cf anche E. Montfort, Il concetto di genere nelle nostre società postmoderne, in G. Crepaldi e S. Fontana, Quarto Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, Cantagalli, Siena 2012, pp. 133-155.