Antropologia cristiana e salvezza del mondo (Quarta parte)

Relazione di monsignor Crepaldi al convegno ”Il rinnovamento della Chiesa”

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Riprendiamo oggi la quarta parte della relazione tenuta il 15 marzo scorso da monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, presso lo Studium Generale Marcianum di Venezia nell’ambito del convegno ”Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti”. 

***

Il nodo della prassi

Se osserviamo come vanno le cose nel nostro tempo veniamo colpiti dalla importanza assunta dalla prassi. Vorrei spiegare questa mia idea, per non correre il rischio di essere equivocato.

Il rapporto teoria-prassi era una questione molto dibattuta qualche decennio fa, quando la filosofia marxista e lo storicismo in genere erano ancora ascoltati. Negli anni Sessanta e Settanta sono stati scritti fiumi di inchiostro su questi argomenti. L’emergenza della prassi era stata evidenziata soprattutto da J. B. Metz, di scuola rahneriana, ed era stata variamente declinata fino alla interpretazione della teologia della liberazione ed oltre. L’accusa alla teologia europea in quanto astratta e deduttiva era allora un luogo comune e alimentava la deellenizzazione del cristianesimo, che Benedetto XVI ha definitivamente criticato a Regensburg e altrove. Pur con le tante difficoltà create da questi percorsi teologici, non si può negare che il problema esistesse.

Torniamo al naturalismo ecologista e all’ideologia del gender di cui ho parlato sopra. Queste ideologie, a ben vedere, non si stanno imponendo con convegni di esperti e con libri di specialisti ma con atteggiamenti, comportamenti, mode e stili di vita. Facendo fare alla gente delle cose. Mettendo nelle loro mani la possibilità tecnica di fare qualcosa. La teoria viene fatta passare imponendo un tipo di abbigliamento, un modo di atteggiarsi in pubblico o di trascorrere il tempo libero, oppure forme di vita socialmente riconoscibili ed apprezzabili. In questo modo si fa passare una nuova comprensione di sé delle persone. L’invenzione della minigonna negli anni Sessanta, della pillola anticoncezionale o della fecondazione artificiale dal 1978, hanno avuto un impatto sulla comprensione della propria identità personale e relazionale molto maggiore di tanti convegni accademici. Se l’ideologia del gender non avesse potuto usufruire della fecondazione artificiale, scoperta nel 1978 con la nascita di Luise Brown, sarebbe rimasta solo una teoria. Così invece è passata attraverso l’agire di tante coppie che, senza approfondire teoricamente le questioni connesse con quella scelta, hanno agito in quel modo. Il modo con cui oggi si inducono i nostri giovani a divertirsi al venerdì o al sabato sera produce una trasformazione antropologica senz’altro maggiore di tanti nostri convegni per esperti. Come si vede da questi pochi esempi, oggi tante forme di negazione della natura umana o addirittura di riformulazione dell’umano passano attraverso modi di vivere e di agire e non mediante l’esposizione di teorie.

Nel post Concilio, come ricordavo, alcune correnti della teologia cattolica hanno cercato di assumere la concretezza storica in tutta la sua importanza, fino a partire metodologicamente da un primato della prassi. Così facendo, però, hanno corso il rischio di cadere nello storicismo. Il primato della prassi, infatti, elimina il concetto di natura e di natura umana e presenta l’uomo come prodotto storico e sociale. Emergeva così il grave problema di tener conto del fatto che la storia, specialmente la storia moderna, presenta l’aspetto importante della prassi, senza tuttavia perdere di vista che la fede cattolica si fonda su uno “stare” e che senza uno “stare” la storia e la prassi stesse non sarebbero più possibili senza cadere nello storicismo: solo ciò che non è storia può illuminare la storia.

Oggi nella Chiesa si parla spesso di stili di vita1. E’ un segno di attenzione alla prassi. Nel concreto, però, si finisce spesso per adottare una «visione irenica e ideologica … dimenticando la complessità delle ragioni in questione»2, assumendo forme di vita secolarizzate, atteggiamenti dal significato antropologico poco chiaro o addirittura contrario alla visione cristiana. In questi casi l’attenzione alla prassi non è adeguatamente compensata da una consapevolezza di ciò che nella vita cristiana “sta” e non muta.

Certamente la fede è incontro con Cristo che cambia la vita personale e comunitaria. L’antropologia cristiana non è una teoria, ma l’incontro vivo e vitale con la Persona di Gesù il Cristo, come Benedetto XVI ci ha molte volte ricordato. E tuttavia, non si tratta solo di un atteggiamento, perché Gesù Cristo è anche il il Logos, la Sapienza Creatrice. Egli è la Verità, che non muta.

Ritengo che questo complesso di problemi che ruotano attorno al nesso teoria-prassi sia un aspetto della antropologia cristiana da approfondire. 

(La terza parte è stata pubblicata ieri, giovedì 21 marzo. La quinta e ultima puntata segue domani, sabato 23 marzo)

*

NOTE

1 Cf Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, n. 51. 

2 Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica, 24 Novembre 2002, n. 4.

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ZENIT Staff

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