“Il Signore non mi dia pace…”
Le dimissioni di Benedetto XVI hanno scosso la Chiesa e stupito il mondo intero. Ognuno ha reagito secondo la propria fede e le proprie convinzioni personali. La Gerarchia cattolica ha invitato tutti i fedeli alla preghiera allo Spirito Santo, all’ammirazione della decisione presa da Benedetto XVI in tutta coscienza e umiltà: “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Ecco, l’amore totale alla Chiesa e alla sua vita hanno fatto prendere coscienza a Benedetto XVI della fragilità data dall’invecchiamento e della conseguente impossibilità a governare al meglio la Chiesa.
Ora che tutti ricordano gli anni e le opere grandi di otto anni di luminoso pontificato, da parte nostra vorremmo ricordare in estrema sintesi quello che ci sembra sia stato il cuore dell’attività apostolica di Benedetto XVI: la missione universale della Chiesa.
Missionario infaticabile sulle strade del mondo
Poco tempo dopo l’inizio del suo ministero di pastore universale della Chiesa, nel pellegrinaggio “tanto desiderato” sul sepolcro dell’apostolo delle Genti, nella Basilica di san Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI, che si era presentato alla Chiesa e al mondo come “l’umile operaio nella vigna del Signore” all’omelia della Messa vibrò di forti e appassionati accenti missionari. Disse, e ora queste parole risuonano come la realizzazione di una grande profezia: “All’inizio del terzo millennio, la Chiesa sente con rinnovata vivezza che il mandato missionario di Cristo è più che mai attuale. Il Grande Giubileo del Duemila l’ha condotta a ripartire da Cristo, contemplato nella preghiera, perché la luce della sua verità sia irradiata a tutti gli uomini, anzitutto con la testimonianza della santità”.
Poi la preghiera definitivamente significativa dello spirito e del programma missionario che avrebbe realizzato in otto anni di pontificato:“Voglia il Signore alimentare anche in me un simile amore (quello di Paolo di Tarso), perché non mi dia pace di fronte alle urgenze dell’annuncio evangelico nel mondo di oggi”.
Santità e martirio per la missione
Richiamò le radici che devono alimentare la missione della Chiesa: la contemplazione e il martirio.
La prima ricordando l’insegnamento di san Benedetto, di cui volle prendere il nome, di “ non anteporre assolutamente nulla all’amore di Cristo”. Come dire: senza la preghiera, la contemplazione, che si trasforma in amore, la missione della Chiesa non è possibile. Quindi il richiamo al martirio e ai martiri, come testimonianza definitiva di amore a Cristo: “Il secolo ventesimo è stato un tempo di martirio… Se dunque il sangue di martiri è seme di nuovi cristiani, all’inizio del terzo millennio è lecito attendersi una rinnovata fioritura della Chiesa, specialmente là dove essa ha maggiormente sofferto per la fede e per la testimonianza del Vangelo”. Possiamo dire che il martirio dei cristiani in varie parti del mondo ha come cadenzato i passi del cammino pastorale di Benedetto XVI, fino ai martiri africani della Nigeria dell’ultimo Natale e ai martiri dell’inizio del nuovo Anno in alcuni paesi del Medio Oriente e anche dell’America Latina.
Una missione continua
Nell’omelia della prima santa Messa concelebrata con i cardinali all’indomani della sua elezione a Pontefice, affermò: “Nell’intraprendere il suo ministero il nuovo Papa sa che suo compito è far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo”. Promise: “Non risparmierò sforzi e dedizione per proseguire il promettente dialogo avviato dai miei predecessori con le diverse civiltà, perché dalla reciproca comprensione scaturiscano le condizione di un mondo migliore per tutti”.
Benedetto XVI ha strettamente collegato il problema ecumenico e il dialogo con le religioni non cristiane alla missione della Chiesa.
Chiarì realisticamente che l’ecumenismo doveva alimentarsi “di gesti concreti, di gesti che entrano nelle anime, commuovono le coscienze, che sollecitano la conversione interiore di ciascuno di noi”.
La prima volta di un Papa, nominò espressamente i musulmani: “Esprimo il mio apprezzamento per la crescita del dialogo tra musulmani e cristiani, sia a livello locale che internazionale”. Indicò quello che doveva essere l’obiettivo comune: “Il mondo in cui viviamo è spesso segnato da conflitti, violenze e guerre, ma è necessaria la costruzione della pace che è un dono di Dio e per la quale continueremo a pregare senza fermarci”.
La promozione della Nuova Evangelizzazione
Il dinamismo missionario che ha costellato gli otto anni di pontificato di Benedetto XVI, soprattutto i suoi viaggi intercontinentali, le Esortazioni apostoliche postsinodali, le Giornate Mondiali della Gioventù, hanno avuto un’eco profonda e un coinvolgimento di tutta la Chiesa nella promozione della Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana convocando per questo in Vaticano la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dal 7 al 28 ottobre 2012, e indicendo la celebrazione dell’Anno della Fede dall’11 ottobre 2012 al 23 novembre 2013.
L’ansia missionaria di Benedetto XVI esplose nell’omelia della Messa per la solenne apertura della XIII Assemblea Gene rale del Sinodo dei Vescovi. Il Papa XIII ricordò: “La Chiesa esiste per evangelizzare. Fedeli al comando del Signore Gesù Cristo, i suoi discepoli sono andati nel mondo intero per annunciare la Buona Notizia, fondando dappertutto le comunità cristiane. Col tempo, esse sono diventate Chiese ben organizzate con numerosi fedeli. In determinati periodi storici, la divina Provvidenza ha suscitato un rinnovato dinamismo dell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Basti pensare all’evangelizzazione dei popoli anglosassoni e di quelli slavi, o alla trasmissione del Vangelo nel continente americano e poi alle stagioni missionarie verso i popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania… Anche nei nostri tempi lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa un nuovo slancio per annunciare la Buona Notizia, un dinamismo spirituale e pastorale che ha trovato la sua espressione più universale e il suo impulso più autorevole nel Concilio Ecumenico Vaticano II. Tale rinnovato dinamismo dell’evangelizzazione produce un benefico influsso sui due «rami» specifici che da essa si sviluppano, vale a dire, da una parte, la missio ad gentes, cioè l’annuncio del Vangelo a coloro che ancora non conoscono Gesù Cristo e il suo messaggio di salvezza e, dall’altra parte, la nuova evangelizzazione, orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana.
L’Assemblea sinodale che oggi si apre è dedicata a questa nuova evangelizzazione per favorire in queste persone un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale. Ovviamente, tale orientamento particolare non deve diminuire né lo slancio missionario in senso proprio, né l’attività ordinaria di evangelizzazione nelle nostre comunità cristiane…” (Cfr. L’Osservatore Romano, 8 ottobre 2012, pag.1).
(La seconda parte verrà pubblicata domani, mercoledì 27 febbraio)