La Parola trasfigura la vita

Vangelo della II Domenica di Quaresima

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Fil 3,17-4,1

La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.

Lc 9,28b-36

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si vegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: ‘Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia’. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: ‘Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!’. Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.”.

*

Vi sono misteri nei quali bisogna avere il coraggio di gettarsi, per toccare il fondo, come ci gettiamo nell’acqua, certi che essa si aprirà sotto di noi. Non ti è mai parso che vi siano delle cose alle quali bisogna prima credere per poterle capire?” (J. Dobraczynski, Lettere di Nicodemo, citato da G. Ravasi in ‘Guida ai naviganti’, p. 89).

Questa suggestiva osservazione si presta bene a commentare il quartodei “misteri della luce” del Rosario: la trasfigurazione del Signore sul monte.

Un mistero che non riguarda solo Gesù, ma anche “due uomini” che appaiono in conversazione con Lui nella loro gloria. Costoro sono due “grandi” della Parola divina: Mosè, il mediatore supremo della Legge tra Dio e il popolo, il maestro definitivo e il profeta di cui si attendeva il ritorno; ed Elia, il difensore zelante della fede contro l’idolatria, colui che vive alla presenza di Dio e riconduce Israele alla fonte della Parola, la rivelazione del Sinai.

Solitamente, nel commentare il Vangelo della Trasfigurazione del Signore si approda all’annuncio della nostra risurrezione in Cristo,“il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,21).

Ma non è solo questa la verità che oggi ci viene rivelata. Infatti, sul “monte” possiamo contemplare un vero e proprio quadro della vita eterna, come se il sipario sul mistero delle nostre relazioni umane da risorti, fosse alquanto sollevato.

Mosè ed Elia, ormai abitanti definitivi del Regno di Dio, non appaiono solo come le figure più grandi dell’Antico Testamento, i profeti che rivelano ai discepoli che Gesù è il Messia promesso, il Figlio di Dio con il quale dialogano sulla sua imminente glorificazione pasquale. Essi appaiono in radiosa conversazione con Gesù, in un clima di perfetta amicizia (Gv 15,15).

Ciò lascia intuire qualcosa di quello che due grandi maestri contemporanei della Parola hanno scritto sul mistero della nostra vita risorta.

Il primo è Papa Benedetto XVI, che da Cardinale scrisse: “Il cristianesimo non promette la semplice salvezza dell’anima, in un al di là qualsiasi in cui tutti i valori e le cose preziose di questo mondo scomparirebbero come se si trattasse di una scena costruita un tempo e ormai destinata a scomparire. Il cristianesimo promette l’eternità di ciò che si è realizzato in questa terra. Dio conosce e ama nella sua totalità l’uomo che siamo fin d’ora. E’ dunque immortale ciò che cresce e si sviluppa nella nostra vita di ora. Nel nostro corpo noi soffriamo e amiamo, speriamo, proviamo gioia e tristezza, e progrediamo attraverso il tempo. Quanto cresce nella nostra vita di oggi è imperituro. Proprio la “totalità dell’uomo”, tale e quale si è collocato in questo mondo, tale e quale vi ha vissuto e sofferto, sarà un giorno portata nell’eternità di Dio e parteciperà, in Dio stesso, all’eternità. Proprio questo deve colmarci di una gioia profonda” (da “Vivere la fede”).

Il secondo è il Cardinal Martini: “Non c’è nulla di più consolante del sapere che il nostro corpo risorgerà, che la morte e la conseguente separazione dalle persone care, non è l’ultima parola” (C. M. Martini, Credo la vita eterna, p.119).

La Trasfigurazione non è solamente “una ‘visione’ che supera la nostra immaginazione, ma è anche il sogno segreto del nostro cuore. L’eternità, la vita nuova e definitiva è già entrata, con la morte e risurrezione di Gesù, nella mia esperienza. E’ da me vissuta nell’indistruttibilità dei gesti che compio: di amore, fedeltà, perdono, amicizia, onestà, libertà responsabile.” (C. M. M., id.).

Tra questi gesti indistruttibili, il Vangelo ci mostra oggi anzitutto la preghiera: “Gesù…salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.” (Lc 9,28-29).

Il messaggio è chiaro. La nostra trasfigurazione comincia sulla terra, a casa nostra, nel nostro cuore. Poiché essa è l’opera “del monte”, l’opera della preghiera vissuta come fedele ascolto ed incontro con il Signore:“Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” (Lc 9,35).

Nel Salmo responsoriale risuona oggi il suo invito: “Cercate il mio volto!” (v. 8). E’ già la promessa di trovarlo: “Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.” (v.13).

Così la preghiera diventa l’incontro che invaghisce il cuore e gli infonde quell’amore vivo che rimanda all’essenziale dimensione mistica di ogni vita cristiana: “Maestro, è bello per noi essere qui” (Lc 9,33).

Concludo con il pensiero di un altro “grande” della Parola: “Anche noi veniamo trasfigurati quando preghiamo, quando apriamo tutto il nostro essere all’amore che viene da Dio, per diventare anche noi generosi, misericordiosi, pieni di comprensione e d’indulgenza com’è lui. Allora il nostro volto si trasfigura. Il Vangelo ci mostra qual’é il nostro destino: quello di essere completamente trasfigurati” (Card. A. Vanhoye, Le Letture bibliche della Domenica).                                                                                     

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Angelo del Favero

Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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