Aldo Moro: un politico da beatificazione (Seconda parte)

Il processo per il riconoscimento della sua santità è iniziato da un anno – Importanti testimonianze inedite di chi lo conobbe quando era giovane

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“In quel tempo c’era dell’attri­to fra i movimenti giovanili cat­tolici e il fascismo. Aldo Moro era sempre per le soluzioni pa­cifiche. Durante le discussioni, esortava alla calma. Non voleva che si ricorresse alla violenza. Fu anch’egli giovane fascista co­me tutti. Portava il distintivo con le lettere P.N.F (Partino Nazionale Fascista), assieme al distintivo dell’Azione Cattolica. Scherzosamente traduceva le ini­ziali P.N.F. con queste parole: “per necessità familiare”. Già fin da quel tempo, Aldo Moro e due miei fratelli, che erano i principali organizzatori del Cir­colo cattolico di S.Pasquale, erano pedinati dalla questura”.

Antonio Amendola, avvocato, conobbe Aldo Moro a Bari, du­rante gli anni dell’università. “Ma diventammo molto amici più tardi”, ricordava “e precisamente nel novembre del 1943, quando, insieme, fondammo La Rassegna, un settimanale indi­pendente che ebbe grande suc­cesso. Eravamo ancora ufficiali. Io ero diventato capo dell’ufficio stampa del governo di Badoglio. Radunai attorno a me i vecchi amici di università: Aldo Moro, Pasquale del Prete, che poi divenne ret­tore dell’università di Bari, Car­lo Lavagna e il professor Arman­do Regina. Fondammo il primo giornale indipendente italiano. Ci furono difficoltà. Gli alleati fornivano carta solo ai giornali di partito: noi non eravamo di nessun partito. Utilizzando le conoscenze che mi ero fatte al Comando Supremo, ottenni la carta. Il giornale ebbe successo immediato. Vendevamo 50.000 copie.

“Aldo Moro aveva portato nel giornale le sue idee religiose ap­plicate alla società. Scriveva con la passione di un missionario e i suoi scritti erano piuttosto oscuri, ma molto seguiti. Un suo articolo intitolato “La marcia della fame” fece molto chiasso.

“Le idee fondamentali che ispiravano  la condotta di Aldo Moro erano quelle religiose. In lui c’era una religio­sità enorme. Ricordo che spesso andavo a prenderlo a casa sua. Lo trovavo nel piccolo studio, arredato con il puro necessario, con la testa china sui libri di preghiere. Lo chiamavo e lui gentilmente mi invitava a se­dermi, mi metteva davanti un pacco di fogli scritti a mano e mi diceva: “Leggi queste pagi­ne e poi mi darai un tuo giu­dizio, intanto finisco le mie pratiche di pieta”. Rimetteva tran­quillamente la testa fra le pagine del suo libro di preghiere e non c’era verso di distrarlo finché non aveva finito.

“Non si vergognava di essere religiosissimo.Ostentava in pub­blico le sue convinzioni religiose con una fierezza e una nobiltà tali che nessuno ebbe mai il co­raggio di prenderlo in giro.

In quegli anni, Aldo Moro era anche professore di Diritto al­l’università. Si recava alle lezio­ni vestito con la divisa di capi­tano commissario dell’aeronauti­ca. Era bellissimo e le donne impazzivano per lui. Le studen­tesse si mettevano in prima fila durante le lezioni. Una venne bocciata durante l’esame ed uscì con il volto rosso per l’emozione e gli occhi sfavillanti per la gioia. “Perché sei così felice?”, le chiesero i compagni. “Sono stata bocciata e così potrò ritor­nare a rivedere quel magnifico uomo”, rispose.

“Si dice che mol­te ragazze gli scrivessero lettere interminabili, minacciando di suicidarsi se Aldo non rispon­deva. Lui era di una estrema austerità, inaccessibile alle norma­li seduzioni della vita comune. Ricordo che un giorno, mentre camminavamo per Bari e c’era­no molte ragazze che lo segui­vano con gli occhi imbambolati, mi accorsi che Aldo aveva un grosso buco in una calza, sul tal­lone. Glielo feci notare, ma lui non ci diede nessun peso.

“Io non sono del partito di Aldo Moro e non condivido le sue idee. Ma credo che non ci sia nessuno nella politica italia­na che abbia la sua statura mo­rale e la sua preparazione.Pos­siede una tenacia incredibile. Non c’è mai stato nessuno capace di fargli cambiare idea o una qualsiasi decisione, anche di secondaria importanza.

“Ricordo che Moro non voleva iscriversi alla Democrazia Cri­stiana perchè quel partito, nel  CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), era alleato con i socialisti e i comunisti. Quando gli si parlava, allora, del partito sociali­sta, era come gli si parlasse della Banda Giuliano”.

A Bari, Aldo Moro era conosciu­to soprattutto dalla povera gen­te.I più vecchi lo ricordavano quando era giovane universita­rio e militava nella FUCI. Raccontavano che anda­va in giro per la città tutte le settimane, a portare i buoni del pane ai poveri.Sapeva a memo­ria nomi e gli indirizzi di tutti i poveri di Bari.Conosceva i dolori, le malattie, le difficoltà, le disgrazie di tutti.Non parlava quasi mai durante quelle visite ma la sua presenza era un con­forto.

Un giovane universitario della FUCI di Bari, mi raccontò: “A Torre Tresca, un quartiere della città dove c’erano molte baracche, avevo conosciuto un po­vero uomo che teneva corrispon­denza con Aldo Moro, allora pre­sidente del Consiglio dei mini­stri. Quell’uomo scriveva a Mo­ro raccontandogli le sue disgra­zie e Moro gli rispondeva. Su una parte di quella baracca c’era incollato un ritratto di Moro.Un lumicino ardeva davanti e intor­no, come ex voto, erano incol­late tutte le lettere del presidente del Consiglio. “Lui mi ha sempre aiutato”, diceva quell’uomo indicando il quadro attaccato alla parete”.

Il  dottor Melchiorre, capo ripartizione del comune di Bari, che era stato allievo di Moro quando questi insegnava all’università, ricordava la severità del quel  docente: “Il pro­fessor Moro”, raccontava “durante le sessioni d’esame, si faceva taciturno più del solito, sembrava costantemente assorto in altre cose. Fa­ceva una domanda e lasciava che l’esaminando se la sbrogliasse da solo. Se l’allievo parlava non lo interrompeva anche se diceva cose completamente errate. So­lamente quando questi aveva ter­minato di parlare cominciava lui, con calma e dimostrava che l’esaminando aveva sbagliato tutto, fin dalla prima parola,  e, naturalmente, lo bocciava. Ai suoi esami il numero dei boc­ciati era altissimo. Gli esami sot­to il professor Moro si svolgeva­no senza limiti di orario. Io, per esempio, una volta venni inter­rogato alle undici di sera, ma qualche mio amico venne esaminato anche alle due di notte.

“Non si era mai sicuri di essere promossi. Una volta decisi di dare l’esame di filosofia del diritto, un esame difficile che tutti gli studenti della facoltà di Giurisprudenza preferivano dare alla fine del corso di studi.Quel giorno il professor Moro aveva bocciato moltissimi stu­denti. Andai all’esame con pau­ra. Risposi alle domande del pro­fessore come meglio potei e poi attesi il terribile verdetto. Moro mi guardò a lungo, in silenzio, poi mi disse: “La boccerei volen­tieri perché  è evidente che lei non ha studiato con attenzione la materia. Però è riuscito a ca­varsela egualmente grazie a una buona dose di intelligenza: le do 29””.

Un impiegato comunale, sempre del comune di Bari, mi raccontò questo episodio che da solo, dimostra come Moro abbia cercato sempre di agire con estrema onestà. “Nel 1945, Moro ave­va ottenuto dalla commissione per la requisizione degli alloggi un appartamento in via S. Francesco d’Assisi. Quando si sposò, decise di trasferirsi a Roma, con la moglie, in casa dei suoceri. L’abitazione di via San France­sco non gli serviva più. Andò al commissariato per la requisi­zione degli alloggi e disse che metteva a disposizione la sua abitazione. La cosa, a quei tem­pi, era tanto inverosimile che l’impiegato allo sportello gli fe­ce ripetere la richiesta: “Sono venuto a restituire l’abitazione che la commissione mi aveva as­segnato”, disse Moro. L’impiega­to si alzò di scatto, andò negli uffici della direzione e disse al commissario generale Ferraro: “Generale, venga fuori, per cortesia, c’è un individuo che mi vuol provocare”. Il generale Fer­raro uscì e si trovò di fronte un giovane smilzo, sorridente, che, con un
fil di voce, chiarì ciò che voleva fare”.

(La prima parte è stata pubblicata sabato 16 febbraio. La terza ed ultima parte verrà pubblicata domani, lunedì 18 febbraio)

*Renzo Allegri è giornalista, scrittore e critico musicale. Ha studiato giornalismo alla “Scuola superiore di Scienza Sociali” dell’Università Cattolica. E’ stato per 24 anni inviato speciale e critico musicale di “Gente” e poi caporedattore per la Cultura e lo Spettacolo ai settimanali “Noi” e “Chi”. Da dieci anni è collaboratore fisso di “Hongaku No Tomo” prestigiosa rivista musicale giapponese.

Ha pubblicato finora 53 libri, tutti di grandissimo successo. Diversi dei quali sono stati pubblicati in francese, tedesco, inglese, giapponese, spagnolo, portoghese, rumeno, slovacco, polacco, cinese e russo. Tra tutti ha avuto un successo straordinario “Il Papa di Fatima” (Mondadori).

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Renzo Allegri

*Renzo Allegri è giornalista, scrittore e critico musicale. Ha studiato giornalismo alla “Scuola superiore di Scienza Sociali” dell’Università Cattolica. E’ stato per 24 anni inviato speciale e critico musicale di “Gente” e poi caporedattore per la Cultura e lo Spettacolo ai settimanali “Noi” e “Chi”. Da dieci anni è collaboratore fisso di “Hongaku No Tomo” prestigiosa rivista musicale giapponese. Ha pubblicato finora 53 libri, tutti di grandissimo successo. Diversi dei quali sono stati pubblicati in francese, tedesco, inglese, giapponese, spagnolo, portoghese, rumeno, slovacco, polacco, cinese e russo. Tra tutti ha avuto un successo straordinario “Il Papa di Fatima” (Mondadori).

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