La cultura del dono per superare la crisi (Seconda parte)

Donare se stessi rivoluziona le relazioni ed i rapporti, fino a porre la possibilità di scambiarsi il “debito dell’amore” che ciascuno ha verso l’altro nella ‘communitas’

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Il dono più alto è dare la vita. Donare fino al sacrificio della vita è l’operazione più difficile, ed è contraria al modello di vita contemporaneo fondato sull’utilitarismo e sul senso (genetico) di autoconservazione. Noi siamo abitati dalla pulsione biologica a vivere, a ogni costo, anche senza gli altri e magari contro gli altri…

La tentazione dell’uomo contemporaneo è quella di dare, piuttosto che se stesso, altre cose a lui estranee, penso alla filantropia, alla logica dei sacrifici offerti agli idoli.

Ma questo non è un dono nel senso cristiano, ed è significativo che nel cristianesimo la sola offerta possibile sia quella di se stessi, del proprio corpo, della propria vita per gli altri.

Non si tratta di sacrificare né gli altri né qualcosa, ma di dedicarsi, mettersi al servizio degli altri affermando la libertà, la giustizia, la vita piena.

Ma cosa significa donare se stessi? Significa dare la propria presenza, il proprio tempo, i propri talenti, impegnandoli nel servizio all’altro, chiunque sia, semplicemente perché è un uomo come me, un fratello, una sorella in umanità. Dare la propria presenza: volto vicino al volto dell’altro, occhio vicino all’occhio dell’altro, mano nella mano, in una prossimità il cui linguaggio vive il dono all’altro.

Ma il dono all’altro si fa carne solo quando si decide la prossimità, il farsi vicino all’altro, il coinvolgersi nella sua vita, il voler assumere una relazione con l’altro. Allora, ciò che era quasi impossibile e comunque difficile, faticoso, diviene quasi naturale perché c’è in noi, nelle nostre profondità la capacità del bene: questa è risvegliata, se non generata, proprio dalla prossimità, quando cessa l’astrazione, la distanza, e nasce la relazione.

C’è una parola di Gesù ricordata dall’apostolo Paolo nel suo discorso a Mileto riferito negli Atti degli apostoli – che è molto esplicita: “C’è più gioia nel donare che nel ricevere”.

Esperienza reale di chi sa farsi prossimo avvicinandosi all’altro perché l’altro, anche quando avesse il volto del lebbroso, se è visto faccia a faccia, chiama il nostro cuore a soffrire insieme, chiede la compassione, chiede il dono della presenza e del tempo, chiede il dono di noi stessi.

L’atto del donare ci provoca gioia perché è un atto concreto che ci mette in comunione con Dio.

Mentre la cultura dell’accumulazione non conosce la logica del dono, è succube della dipendenza dalle cose e separa l’uomo dall’uomo, l’uomo dagli altri.

Non c’è vera gioia senza gli altri, come è vero che non c’è speranza se non sperando insieme. Ma la speranza è frutto del donare, della condivisione, della fraternità.

Voglio chiudere queste questa riflessione con l’inno alla carità (scritto da san Paolo tra il 54/55 d.C alla comunità greca di Corinto – 1Cor 13, 4-13) ed invitarvi a sostituire la parola carità con la parola dono.

“Fratelli, il dono (la carità) è magnanimo, benevolo è il dono (carità); (colui che dona sé stesso) non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

Il dono (la carità) non avrà mai fine. ….Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e il dono (la carità). Ma il più grane è il dono (la più grande di tutte è la carità)”.

In questo donare, proprio perché l’azione è oltre la giustizia che si nutre delle regole dell’eguaglianza, si fa spazio l’amore che è ispirato dalla sovrabbondanza.

L’azione del dare la fiducia, del donare le cose espropriandole da se stessi, dare la presenza e il tempo non chiede restituzione, ma richiede che l’iniziativa del dono sia proseguita, continuata.

Il donare non può essere sottoposto alla condizione della restituzione, di un obbligo che da esso nasce, ma diffonde una buona notizia, desta una responsabilità, ispira il legame sociale fondato sulla civiltà dell’amore.

Il debito dell’amore regge la logica donativa alla quale è peculiare il carattere della gratuità, l’assenza della reciprocità.

[La prima parte è stata pubblicata ieri, venerdì 15 febbraio]

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Carmine Tabarro

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