"La carità è affermare l'altro"

Omelia del cardinale Scola nel centenario della morte del Beato Francesco Spinelli

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Pubblichiamo l’omelia tenuta il 3 febbraio scorso dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nel Santuario di Nostra Signora del Fonte di Caravaggio, in occasione del centenario della morte del Beato Francesco Spinelli.

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1. Non anzitutto azioni da compiere, ma una relazione da vivere

Dal famoso “inno” della Prima Lettera ai Corinzi, cap 13, la carità viene descritta non anzitutto in termini di azioni da compiere, fossero anche le più generose («se anche dessi tutti i miei beni») ed eroiche («e consegnassi il mio corpo», 1Cor 13,3), ma nei termini di una nuova modalità di relazione che si può così sintetizzare: la carità è affermare l’altro, volere il suo proprio bene fino al dono totale di sé, nella più assoluta gratuità.

2. Partecipi dell’amore trinitario, purifichiamo e trasformiamo il nostro amore

La carità, infatti, è una virtù teologale, cioè ci fa partecipi gratuitamente dell’amore Trinitario. E cresce, analogamente a quel che capita nell’umana esperienza, attraverso una progressiva immedesimazione a Colui che ci ha amato per primo. È una scintilla del fuoco dell’amore divino che infiamma il cuore dell’uomo (L’accesa carità, infatti, è il titolo che avete voluto dare a questo Centenario) e, man mano, lo purifica e lo trasforma. «La carità è magnanima, benevola… non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,4-7). Se ne avessimo il tempo, potremmo rintracciare nella vita del nostro Beato tutte le qualità della carità elencate da San Paolo. Bastino un paio di passaggi della Positio (il documento che raccoglie le prove della eroicità delle sue virtù): «Non porto con me un centesimo; sono fallito, ma non ho tradito; piuttosto altri hanno tradito la mia buona fede. Perdono di cuore. Pregate, state unite e l’Istituto continuerà» (Positio, vol I Summarium p. 145, par. 410). Ma soprattutto colpiscono queste splendide parole: «Il perdonare a me fu sempre cosa dolce» (vol II, p. 146).

3. Accettare la lotta, certi del Vincitore

Questa purificazione e trasformazione della persona che la carità realizza non è senza lotta, come si vede bene nella vicenda umana del profeta Geremia. Chiamato a sostenere la durezza dell’opposizione degli uomini al volere di Dio: «Oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese» (Prima Lettura, Ger 1,18). Geremia sente tutta la propria inadeguatezza, la assoluta sproporzione tra le sue risorse (ha 20 anni ed è timido ed impacciato) e il compito affidatogli; ma si fida di Dio che lo assicura: «Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,19). Di fronte alla nostra inadeguatezza quanto confidiamo nel Signore? In questo prestigioso santuario così caro a molti lombardi, ma non solo, affidiamoci al pianto di Maria perché provochi la nostra conversione.

4. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno

Il brano del Vangelo di Luca, che continua quello di domenica scorsa con l’episodio in cui Gesù, dopo aver letto il profeta Isaia nella sinagoga di Nazareth, si era attribuito quelle parole, mostra il Messia di fronte allo scandalo dei suoi concittadini: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Vangelo, Lc 4,22), non evita, anzi in un certo senso aggrava la sua pro-vocazione: «In verità io vi dico: “Nessun profeta è bene accetto in patria”» (Lc 4,24). Gesù non risparmia mai la libertà dei suoi interlocutori svelandone le intenzioni di apertura o chiusura al mistero. La gente di Nazareth pretende i miracoli, è invidiosa di quel che Gesù ha compiuto a Cafarnao («non è invidiosa la carità» 1 Cor 13,4), vuole un Messia che la confermi nelle sue immagini e nelle sue misure. Le manca la fede. Quella fede che hanno avuto Abramo, Geremia… e che fa dire al Salmista: «Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno» (Salmo 71, 6). Non è possibile, certamente, sapere cosa provò il Cuore di Cristo dinnanzi all’incredulità dei suoi compaesani. Forse queste parole del Beato Spinelli, nella sua identificazione col Signore, possono aprire per noi uno squarcio per aiutarci a cogliere la profondità dell’abbandono di Cristo al Padre: «Permettimi Gesù caro che versi l’amarezza dell’anima mia nel mare immenso della dolcezza del Tuo Cuore. E in Esso venga dissolto ogni risentimento, ogni viltà di spirito e di orgoglio». E poi: «Da Te solo voglio essere consolato, e la mia consolazione sia di potere e di saper fare ciò che piace a Te e soltanto per piacere a Te» (Dagli Scritti). In questo Anno della fede ci aiuta Nostra Signora del fonte, invitandoci a prostrarci in atteggiamento di autentica confessione: «Io credo Signore, ma tu aiuta la mia incredulità» (cfr Mc 9,24). Di fede hanno bisogno le Chiese d’Europa per ritrovare vitalità. In particolare oggi celebriamo la 35a Giornata per la vita. I vescovi l’hanno voluta intitolare: “Generare la vita vince la crisi”. È una precisa indicazione, in questo tempo di travaglio, per mostrare che senza una rinnovata concezione della persona e delle sue relazioni primarie – a cominciare dal rispetto della vita dal concepimento fino al suo termine naturale – e dal matrimonio tra un uomo e una donna base per la famiglia, sarà impossibile uscire dalla grave crisi che ci attanaglia.

5. Il Beato Francesco Spinelli, «vissuto per amare e far amare Gesù eucaristico»

Il Beato Giovanni Paolo II, beatificando proprio qui poco più di vent’anni fa Francesco Spinelli, disse: «Ha vissuto per amare e far amare Gesù nell’Eucaristia» (Omelia del 21giugno 1992). Nei suoi scritti troviamo queste parole che ci introducono nel supremo “mistero della fede” che è l’Eucaristia: «L’Eucaristia è uno stato particolare di Gesù. Essa è il prolungamento nei secoli dell’incarnazione del Verbo, e ne abbraccia e ne perpetua tutte le fasi, tutte le manifestazioni, tutti i misteri, attuandone, nello stesso tempo tutti i fini e le conseguenze. Gesù nel mistero eucaristico rivive Nazareth, Betlemme, l’Egitto, la sua vita nascosta, le sue corse apostoliche; rinnova i suoi miracoli, la sua morte redentrice, i suoi misteri di trionfo; ripete o meglio irradia sulla terra, nei mille e mille punti della sua presenza sacramentale, la gloriosa sua incessante intercessione, che esercita in cielo ove siede alla destra del Padre» (Dagli Scritti). Si comprende, quindi, l’esistenza del Beato allora ed oggi quello delle Suore Adoratrici, con cui significativamente collaborano i laici della “Fraternità eucaristica spinelliana”. Essa possiede una “forma eucaristica”, testimoniando un crescendo di quella immedesimazione con la carità (educazione) di Cristo che sulla croce raggiunse il suo vertice. «Adorate con l’amore più ardente l’Augustissimo Sacramento e attingete da Esso la carità a sollievo del prossimo», soleva ripetere alle sue suore.

6. L’addolorata compassione della Vergine di Caravaggio

Venuti in pellegrinaggio ai piedi di Nostra Signora del Fonte di Caravaggio, vogliamo domandare, per l’intercessione del Beato Spinelli, un amore più deciso per Gesù nel Sacramento dell’Altare. Un amore che trasformi e nutra la nostra esistenza nel quotidiano (affetti, lavoro, riposo) perché anch’essa possa diventare cibo per i nostri fratelli uomini. Ai tuoi piedi, Vergine santissima, deponiamo stasera dolori e gioie, angosce e speranze, miserie e ricchezze. All’addol
orata compassione cui ti mostrasti a Giannetta noi ci affidiamo di tutto cuore. Amen.

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ZENIT Staff

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