La scorsa settimana abbiamo analizzato l’importante testimonianza del cosiddetto ‘calendario agricolo’, significativa pittura murale rinvenuta all’interno dei sotterranei della Basilica di S. Maria Maggiore. L’affresco è rilevante non soltanto per la tematica rappresentata ma anche per la raffinatezza con cui è stato realizzato, a differenza di quanto riprodotto attraverso un restauro (comunque antico), le cui rappresentazioni sono di trascurabile valore artistico perché riproducesti elementi geometrici policromi a scacchiera.
Uno degli elementi più curiosi dell’affresco è la riproduzione di palindromi in latino come Roma summus amor o rotas opera tenet areposator (si leggono allo stesso modo sia da destra verso sinistra che da sinistra verso destra) realizzato mediante graffito, cosi come la presenza di un gran numero di tegole romane rinvenute durante gli scavi del XIX secolo. I bolli stampigliati sulla superficie di tegole e frammenti laterizi identificano un periodo cronologico piuttosto vasto i quali, oltre a rappresentare le epoche imperiale e cristiana, testimoniano l’utilizzo prolungato nel tempo dell’edificio all’interno del quale sono stati rinvenuti. Il ritrovamento di bolli di età imperiale, tardo-antica (cristiani con il monogramma di Cristo) di Teodorico (risalenti al VI secolo), prettamente cristiani dell’VIII secolo (uno riportante la dicitura in nomine dei e un altro ‘Maria madre di Cristo’) e papali (uno con il monogramma del pontefice Adriano I), lasciano chiaramente intendere che il continuum storico dell’Esquilino è praticamente ininterrotto, come confermato, tra l’altro, dal ritrovamento di una tegola di papa Eugenio IV che ha pontificato dal 1431 al 1447.
La frequentazione nel tempo del colle Esquilino, oltre ad essere confermata dai reperti qui ritrovati, è testimoniata anche dal ritrovamento di alcune porzioni murarie in opus vittatum, tecnica edilizia di rivestimento perlopiù datata tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C. , probabilmente pertinenti ad una fase di riutilizzo dell’edificio o ad una nuova costruzione addossata alla precedente. Per la fase più antica è stato ipotizzato dagli studiosi che possa trattarsi di un ‘macellum’ (antico mercato per la vendita al dettaglio delle merci, realizzato con la tecnica dell’opus reticolatum) fatto costruire dall’imperatore Augusto in onore della seconda moglie Livia (celebre anche per il famoso ritrovamento della sua splendida villa di Prima Porta, in aggiunta a quella del Palatino). A suffragare l’ipotesi ci sarebbero anche le fonti storiche che narrano della presenza del macellum immediatamente al di là delle mura serviane, nell’attuale area di S. Vito. La primitiva basilica costruita da papa Liberio infatti, era identificata con il termine iuxta macellum Liviae cosi come riportato dal Liber Pontificalis, l’ormai celebre libro che narra le vicende e la storia dei pontefici.
Non è comunque da escludere che le strutture, in parte contemporanee e territorialmente vicine a lussuose residenze di grandi personaggi come Agrippa, Mecenate, Giunio Basso, Plinio il Giovane, il console Lucio Nerazio Cereale (per citare i più importanti), siano pertinenti ad una residenza di un personaggio di grande rilievo la cui identificazione è ancora sconosciuta.
Terminato il percorso ipogeo, ancora inebriati dal fascino che soltanto la storia romana può trasmetterci (soprattutto vissuta con il giusto clima mistico di un’area archeologica sotterranea), è d’obbligo una visita al piccolo ma significativo museo inaugurato l’8 dicembre del 2001 da papa Giovanni Paolo II e formato da otto ambienti che racchiudono un vero e proprio tesoro d’arte e scanditi da otto diversi tematismi tra cui la storia della Basilica, Cristo nel mistero della Natività e della Passione e Maria venerata nella Basilica. Il museo contiene un’importante serie di oggetti liturgici, tra i quali reliquiari e opere di Pietro Gentili, ostensori, calici di diversi artisti e preziosi quadri (‘Salita al Calvario’ del Sodoma, la ‘Madonna con Bambino’, ‘S. Antonio da Padova’ e ‘S. Caterina da Siena’ del Beccafumi).
Di grande rilevanza storica ed artistica è probabilmente l’opera scultorea più importante conservata: il presepio di Arnolfo di Cambio. Si tratta di un gruppo scultoreo in pietra realizzati solo parzialmente a tutto tondo, il quanto il dorso delle statue è piatto (esclusa la statua del Mago accovacciato anche se completata successivamente). Questo venne commissionato da papa Niccolò IV nel 1288 e completata nel 1291, rappresentando un elemento di estrema qualità artistica e principale attrattiva dell’area museale.
(La prima parte è stata pubblicata sabato 9 di febbraio. La terza parte verrà pubblicata sabato prossimo, 23 febbraio)
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.