In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, Maria Lozano ha intervistato per il programma Donde Dios Llora (Dove Dio piange) Don Esteban Aranáz. Conosciuto anche come Chiou (Qiu) Shenfú, il sacerdote racconta la storia particolare della sua vocazione missionaria, che lo ha portato da Tarazona - un comune nella Comunità autonoma dell’Aragona (Spagna) - in Cina e Taiwan.

Don Esteban, può raccontarci la sua vocazione?

Don Esteban Aranáz: Tutti noi abbiamo una vocazione, e se c’è un clima di rispetto e di libertà, è possibile per ciascuno scoprirla. Nel mio caso, l’esperienza della fede in casa, l’ambiente della mia città e anche la testimonianza della sorella di mia madre, che è religiosa, hanno avuto un ruolo molto importante, ma alla fine, è sempre una questione tra te e Dio. Dopo aver preso la maturità, ho sentito visto chiaramente che Dio mi stava chiamando ad essere sacerdote, tuttavia non riuscii a decidermi sulla missione. È stato dopo alcuni anni nel lavoro pastorale, che Dio mi ha mostrato che potevo partire come missionario a Taiwan o in Cina.

Perché Taiwan? Perché la Cina?

Don Esteban Aranáz: La decisione di andare in Cina, e poi a Taiwan, l’ho vissuta attraverso l’amicizia con un amico conosciuto a Saragozza. Un giovane che lavorava lì, un ragazzo che da anni lavorava in una situazione difficile, perché arrivato in Spagna clandestinamente. Nacque un’amicizia molto bella. Un anno lo invitai a casa per le feste natalizie. Questo mio amico era pagano, non era cristiano. Avevo pensato molte volte come trasmettergli, come comunicargli il significato del Natale. La vigilia di Natale siamo andati in chiesa per preparare le cose per la messa di mezzanotte. Collocando l’immagine del bambino Gesù, il mio amico, Yen - così si chiama - mi diceva sorpreso: “Oh, che bella immagine del bambino, questo bambino Gesù dice tre cose”. Chiesi: “Tre cose?” E mi rispondeva: “Sì, la prima cosa è che Lui non è come noi, Lui viene dal cielo; la seconda cosa è che è molto piccolo e ha una mamma che gli vuole tanto bene; e la terza cosa è che tiene le braccia aperte perché vuole bene a tutto il mondo”. Rimasi di stucco, pensando, come fosse possibile che il mio amico, che non era credente, mi stesse spiegando in modo così semplice ma così profondo il mistero del Natale.

E questa esperienza ha cambiato la sua vita?

Don Esteban Aranáz: A quel tempo pensai per la prima volta alla Cina. Ho pensato: “Gesù, quanti in Cina non ti conoscono”. Da quel momento è iniziata l’inquietudine per confermare se questa era la volontà di Dio. Come potevo lasciare la diocesi per fare altre cose? Si vede che quando le cose sono di Dio, proseguono. Ci ho meditato sopra molte volte, ho pregato, e ho visto chiaramente che la chiamata alla missione era per la Cina. Dopo le parole di Giovanni Paolo II nel 2000: “prendere il largo, mete apostoliche più audaci”, tutto questo ardeva dentro di me. Pensare alla Cina era qualcosa di baldanzoso, ma era una chiamata così forte che non mi lasciava. Ero sempre convinto che quello che il vescovo mi diceva fosse la volontà di Dio, ma non potevo far altro che esprimere con sincerità e semplicità quello che il mio cuore sentiva in quel momento: andare a lavorare come missionario in Cina, dove sono stato molto felice per 6 anni.

E come è arrivato a Taiwan?

Don Esteban Aranáz: La conoscenza che avevo di Taiwan veniva da una suora domenicana di clausura che si trovava in un monastero a Taiwan. Grazie a lei ho scoperto per la prima volta queste terre e tramite questa persona abbiamo mantenuto contatti con i bambini della catechesi e della scuola del villaggio. Pensavo alla Cina, ma la difficoltà di vivere e di lavorare in quel paese, mi hanno fatto scegliere Taiwan e penso che molti missionari hanno fatto la stessa esperienza. D’altra parte, non me ne andavo solo perché facevo parte della Società Sacerdotale della Santa Croce, dell’Opus Dei, e in ogni momento ho potuto contare su di loro anche a Taiwan. Loro stanno a Taipei, questo appoggio lo avevo già in Spagna, attraverso la direzione spirituale, l’ho trovato anche lì, e grazie a questo, la missione poteva andare avanti.

Il nome è molto importante nei Paesi asiatici. Ti chiama ancora Don Esteban?

Don Esteban Aranáz: In Cina, quando uno straniero arriva, una delle prime cose che deve fare è prendere un nome cinese, che sarà quello che servirà nella vita di tutti i giorni. In questo caso, è stato il mio insegnante cinese a darmi un nome, che tradotto significa “padre autunno”, Chiou (Qiu) Shenfu. Shenfu è il trattamento per il sacerdote in Cina e il cognome Chiou, e così tutti mi conoscono a Taiwan. È in qualche modo un segno di distacco, perché vai in missione e devi perdere persino il nome...

Come ha sentito il cambiamento?

Don Esteban Aranáz: Questo cambiamento deve essere una grazia di Dio, peraltro per una persona inquieta come me, non sarebbe stato possibile. Avevo dedicato solo due anni allo studio della lingua, e, ovviamente, questo significa un blocco di qualsiasi attività. Se non si parla il mandarino, non si è qualificati per servire, per lavorare a Taiwan. Molte persone conoscono l’inglese, ma l’inglese non è parlato nella vita quotidiana. Questo ti aiuta a distaccarti molto, è una grande esperienza di umiltà, penso che aiuti a ritornare alle cose essenziali ed importanti nella tua vita. In questi due anni ho frequentato le lezioni ogni giorno, facendo il mio lavoro al meglio possibile: celebrare la Messa, pregare, stare con i miei amici, rilassarmi, e prepararmi con grande entusiasmo ad un lavoro che mi sta aspettando quando la lingua me lo permetterà.

L’intervista è stata condotta da Maria Lozano per il programma Donde Dios Llora (Dove Dio piange), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre.

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