L'eccellenza della fede mariana (Prima parte)

La Basilica patriarcale di Santa Maria Maggiore. Gli scavi [I/II]

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Situata nel cuore della Roma archeologica, vita pulsante della modernità della capitale fatta di parcheggi e traffico caotico, sorgela Patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore. Oltre a rappresentare un inossidabile punto di riferimento per il culto della Madonna, la Basilica è l’unica a conservare ancora i caratteristici tratti di basilica paleocristiana e a mantenerne alcune peculiarità legate alla religione cristiana. Gli apporti successivi infatti non ne hanno alterato la sostanza, ma soltanto arricchita, aggiungendo qualità uniche, atte a rappresentare l’importanza che le è universalmente riconosciuta.

Non tutti però sanno che l’importanza di questa area basilicale non deriva esclusivamente dall’edificio cristiano. Ci troviamo infatti in una delle aree più interessanti dal punto di vista archeologico, compresa tra le terme di Diocleziano a nord-ovest e gli horti Maecenatis ad est, senza contare che fin dall’età repubblicana, appena fuori le antiche Mura Serviane, era stanziata quella che conosciamo come la ‘necropoli dell’Esquilino’ in seguito distrutta per fare spazio all’ampliamento edilizio della città. Oltre alla presenza di un ‘bosco sacro’, il colle era importante per la presenza di alcune strutture templari, tra cui quella di Giunone Lucina, divinità che presiedeva alle nascite e quella della Minerva Medica.

I sotterranei della basilica si pongono all’interno di questo quadro storico, il quale, seppur parziale, contestualizza perfettamente il monumento. Il grosso dei lavori venne effettuato tra il 1964 e il 1971 su iniziativa del pontefice Paolo VI, con il duplice scopo di verificare quanto si sosteneva fin dal XVIII circa la presenza di resti romani nei sotterranei della basilica e per consolidare le fondazioni dell’edificio soprastante eliminando l’umidità attraverso la creazione di intercapedini. Le strutture infatti sono praticamente addossate alla collina con gravi rischi di deterioramento delle parti ipogee e di instabilità per quelle superiori, sia portanti (strutture) sia decorative (pavimento ‘cosmatesco’ della navata centrale). Il lavoro di Papa Paolo VI, incentrati lungo il settore ipogeo perimetrale della Basilica, portarono alla bonifica di una superficie di circa 1500 metriquadri, permettendo tra l’altro la creazione di una struttura museale.

Oltre ad alcune labili tracce riferibili all’antica necropoli di età Repubblicana, le strutture più antiche sono quelle corrispondenti ad alcune porzioni murarie di opus reticolatum riferibili alla seconda metà del I secolo a.C., la cui tipologia corrisponde esattamente alle strutture rinvenute poco più ad est e note come ‘Auditorium di Mecenate’. Le due strutture, seppur incompatibili tra loro, testimoniano come la zona, tra l’età cesariana e quella augustea, abbiano avuto un notevole impulso, soprattutto per la costruzione di edifici di carattere residenziale. La correlazione è ancora più evidente se si osservano e si confrontano le strutture. La struttura ipogea di S. Maria Maggiore presenta un ambiente con alcune nicchie con sistemi di riscaldamento, oltre alla presenza di affreschi e pavimentazioni in mosaico, il tutto molto simile a quanto è stato rinvenuto nel settore degli horti Maecenatis con sistemi di conduzione ed adduzione dell’acqua, riconducibile ad un ninfeo situato all’interno di una coenatio (sala da pranzo).

A differenza di quanto avvenne nell’Auditorium di Mecenate, alle strutture di S. Maria Maggiore vennero aggiunti in piena età imperiale (II/III secolo d.C.) due ambienti decorati dapprima con l’utilizzo di lastre di marmo e successivamente da affreschi. Su queste pareti sono state rinvenute le tracce del più antico calendario agricolo romano, probabilmente datato alla metà del IV secolo in piena età costantiniana. Sfortunatamente la maggior parte dell’affresco, suddiviso in due pareti, è andato quasi completamente perduto, ma è ancora possibile scorgere la raffinata decorazione e le iscrizioni riguardanti le varie attività stagione per stagione. I pannelli di ogni mese che scandiscono due semestri sono tra loro intervallati da rappresentazioni riguardanti lavori agricoli che si svolgevano nel mese rappresentato li accanto a caratteri bianchi su sfondo rosso.

Nonostante l’estrema precarietà, è stato possibile restaurare in occasione dell’ultimo Giubileo l’affresco riguardante il mese di ‘settembre’, le cui vedute agresti, l’edificio centrale e le scene bucoliche che fanno da contorno, incantano e meravigliano lo spettatore per il modo raffinato in cui sono state realizzate, alimentando il rimpianto di non avere la possibilità di poter ammirare per intero questo capolavoro della pittura romana tardo-imperiale.

(La seconda parte verrà pubblicata sabato 16 febbraio)

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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Paolo Lorizzo

Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l'Università degli Studi di Roma de 'La Sapienza'. Esercita la professione di archeologo.

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