Riportiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta ieri, sabato 2 febbraio, da monsignor Giovanni Silvagni, Vicario Generale dell’arcidiocesi di Bologna, in occasione del tradizionale pellegrinaggio al Santuario di San Luca.

La Santa Messa non è stata presieduta, come tradizionalmente, dal cardinale arcivescovo Carlo Caffarra, in quanto si trova Roma con gli arcivescovi e i vescovi dell’Emilia Romagna per la periodica visita “ad limina”. 

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Felice circostanza che il pellegrinaggio Diocesano della Giornata per la Vita coincida con la festa della presentazione di Gesù al Tempio. Nel bambino, che viene portato al Tempio quaranta giorni dopo la nascita, la liturgia – attraverso la Lettera agli Ebrei – ci invita riconoscere già il Sommo Sacerdote misericordioso e degno di fede che viene a espiare i peccati del popolo.

Egli non lo farà attraverso un rito, ma soffrendo personalmente, prendendosi cura della stirpe di Abramo, della quale ha voluto condividere il sangue e la carne, la concretezza e la fragilità della vita umana. Solo facendosi in tutto simile ai fratelli, partecipe della stessa condizione, ha potuto liberarli dalla schiavitù della paura della morte.

Noi pensiamo di essere liberi, e di esserlo tanto più possiamo disporre di noi stessi; ma sotto questa parvenza di libertà siamo schiavi per paura della morte. Per paura di morire, si fanno cose terribili, si diventa complici della morte, artefici di morte… con l’illusione che la morte dell’altro - avvertito come minaccia alla propria realizzazione - garantisca più a lungo la propria sopravvivenza o una vita migliore.

Gesù spariglia questa logica infernale, ponendosi tra noi come colui che dona la sua vita perché noi viviamo. E questo anche a costo del suo sacrificio e della sua morte. Gesù vince la paura della morte con un sovrappiù di amore, e consegnandosi alla morte perché noi viviamo.

Simeone lo profetizza a Maria: “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele, e come segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34). Ma la contraddizione che Gesù porta è così consolante e la sua destabilizzazione dell’ordine costituito è così rassicurante che chi lo ha incontrato e riconosciuto, come Simeone, può dire: “Ho trovato la salvezza, ho visto la luce… posso anche morire in pace. La morte non mi fa più paura, perché ho incontrato la Vita che riscatta la mia vita, che dà senso al mio vivere e al mio morire.

Siamo riuniti intorno alla Madre di Dio, madre della vita e della luce, che nella sua splendida icona possiamo oggi ammirare in tutta la completezza dei suoi tratti, resi più nitidi e luminosi dal recente restauro. Chiediamo luce e speranza per tutta la nostra società. Affidiamo i drammi che la paura della morte genera tra noi, fino alla insensibilità e al disprezzo della vita indifesa dell’embrione e del bambino; fino alla paura di generare che paralizza il potenziale più efficace di sviluppo per la nostra società. La luce di Cristo rischiari queste tenebre. E in questa luce testimoniamo a tutti il nostro amore per la vita, non solo come affermazione di principio, ma con una vera solidarietà che non lascia solo chi è tentato di soccombere sotto responsabilità troppo grandi per le sue forze. Chi porta il dolce peso di una vita nuova, sta sostenendo il nostro futuro; chi si piega sopra una vita ferita, dà fiato alla speranza del mondo; chi sostiene l’anziano privo di forze, nutre le radici della sua stessa esistenza.