di Luca Marcolivio
VENEZIA, lunedì, 16 luglio 2012 (ZENIT.org) – Nel corso dell’omelia, durante la Santa Messa per la festa del Santissimo Redentore, celebratasi ieri, il patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, ha tratto spunto dalla storia della sua diocesi per discutere di temi d’attualità e di dottrina sociale.
In primo luogo il presule ha rievocato il biennio della peste (1575-1576) nella repubblica lagunare. In quel frangente, ha ricordato il Patriarca, “il popolo cristiano, che sempre partecipa di un soprannaturale senso della fede, invocò la protezione dell’Unico che poteva salvarlo” e parimenti fece il Senato della Repubblica, affidandosi alla misericordia di Dio con il solenne voto di edificare una nuova Chiesa.
Nel 1577, dopo la la fine della pestilenza, che provocò 50mila morti, fu avviata la costruzione della Chiesa del Redentore, ultimata nel 1592, con la solennizzazione della festa nella terza domenica di luglio.
“Per i Veneziani del sedicesimo secolo – ha commentato mons. Moraglia – essersi riferiti al Solo in grado di aiutarli, quando ogni altra risposta risulta insufficiente, ha un significato che appartiene all’uomo di ogni tempo che è intrinsecamente segnato da fragilità, debolezze, limiti creaturali a cui si aggiungono quelli che provengono dalla situazione di peccato che – rimosso col battesimo – permane nelle conseguenze come propensione al male”.
Anche l’uomo d’oggi, nonostante i progressi delle tecno-scienze, vive fragilità e paure al punto di temere di non “aver futuro”. Non “aver futuro” significa “significa veder precipitare nel non senso anche il proprio presente che smarrisce la sua capacità di interessarci alla vita, al bene comune, all’educazione delle nuove generazioni, nei confronti delle quali siamo chiamati a trasmettere i valori che hanno dato forma alla nostra città, alla sua storia, alla nostra convivenza civile”.
A fronte di tale sfida una religione come quella cristiana, la cui attenzione è tutt’altro che limitata alle cose trascendenti, è in grado di rispondere in modo forte, attraverso la Dottrina Sociale, la quale, ha sottolineato Moraglia, non è affatto un’ideologia, quanto piuttosto “l’esito dell’accurata formulazione dei risultati e di una riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza umana sia nella società civile sia nel contesto internazionale, nella prospettiva, ovviamente, della fede e della tradizione ecclesiale”.
“Attraverso i principi della dottrina sociale cristiana – e questo è il messaggio della festa del Redentore di quest’anno – noi possiamo fare molto per la nostra città e per la nostra gente”, ha proseguito il Patriarca.
Il riferimento è andato in particolare all’educazione dei giovani “a valori che, con troppa disinvoltura, sono stati messi da parte nel vivere sociale e, invece costituiscono vere e proprie linee di cambiamento che dicono quanto sia doveroso l’impegno educativo per la comunità ecclesiale ma anche per quella civile”.
Come esempio da seguire, Moraglia ha citato il beato Giuseppe Toniolo, l’economista che “sosteneva, con forza, l’intrinseco legame fra etica ed economia: tale legame affonda le sue radici nel Vangelo e, nell’attuale crisi, questo insegnamento oggi mostra tutto il suo valore”.
Il pensiero economico di Toniolo, peraltro, è in perfetta sintonia con il pensiero politico del papa regnante, ha osservato il Patriarca. Nella Caritas in Veritate, infatti, Benedetto XVI ricorda che “La politica è più che una semplice tecnica” e che compito dello stato è “come realizzare la giustizia qui ed ora” (CIV, 28).
“Il messaggio di questa festa del Redentore 2012 – ha proseguito Moraglia – è, in estrema sintesi: guardare tanto ai grandi temi della dottrina sociale cristiana che permettono d’affrontare, con prospettiva nuova, la difficile situazione che lavoratori, famiglie, società stanno vivendo, ormai da troppo tempo”.
In conclusione il Patriarca ha nuovamente indicato il beato Toniolo come personaggio esemplare nell’attuale contesto storico, sociale, economico e culturale, per aver saputo individuare “con lungimiranza, delle prospettive che pongono al centro la persona e non il profitto fine a se stesso”.