ROMA, lunedì, 16 luglio 2012 (ZENIT.org).- «Se c’è la Chiesa tutto diventa fertile! Perfino l’acqua è più buona». Lo pensano in molti nel vicariato di Gambela, in Etiopia, dove la Chiesa ha costruito scuole e mulini e sostiene lo sviluppo dell’agricoltura locale.
Motivo in più per cui in ogni villaggio del vicariato la vecchia e sgangherata jeep bianca di monsignor Angelo Moreschi – vicario apostolico nato a Brescia e da oltre trent’anni in Etiopia – è sempre accolta da una gran festa. «I bambini cominciano a gridare “Abba [Padre] Angelo, Abba Angelo!” e perfino i soldati si fermano a salutarlo», racconta Eva Maria Kolmann, del dipartimento informazione di Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha recentemente visitato il vicariato con delegazione della Fondazione pontificia.
Non sempre però il presule arriva su quattro ruote. Quando le piogge sono abbondanti e i fiumi della regione straripano, bloccando ogni strada, monsignor Moreschi prende il motoscafo. Come a Paul, un piccolo villaggio sulle rive del Baro dove Aiuto alla Chiesa che Soffre sta finanziando la costruzione di un centro pastorale. In precedenza gli edifici erano tutti in legno e argilla: una soluzione economica, ma assai poco resistente. «Gli abitanti sono molto orgogliosi della nuova struttura – aggiunge la giornalista – finalmente avranno un luogo dove riunirsi, frequentare il catechismo e celebrare la messa».
Ogni volta che fa visita ad una comunità, monsignor Moreschi porta sempre con sé dei biscotti multivitaminici per i bambini. La maggior parte della popolazione qui soffre la fame, specialmente nella stagione secca è molto difficile trovare qualcosa da mangiare. Il suolo della regione è fertile, ma manca un sistema d’irrigazione che permetta di bagnare i campi anche dopo la fine delle piogge.
A complicare il quadro è l’aumento di investitori stranieri, che acquistano vasti appezzamenti di terra, privando gli autoctoni di risorse preziose. «E come se mezza Germania fosse improvvisamente venduta ad indiani e pachistani», spiega monsignor Moreschi. I pastori non hanno dove pascolare il bestiame e le foreste scompaiono. Tra gli etiopi la frustrazione sta lasciando il posto alla rabbia e i disordini aumentano. «L’esercito cerca di mantenere il controllo – continua il vicario apostolico – ma la resistenza alimenta le tensioni, accusando i soldati di maltrattare la popolazione. Per non dire del conflitto tra i due Sudan, all’origine del massiccio afflusso di rifugiati nella regione di Gambela e dell’aumento delle violenze lungo il confine».
Presto la presenza straniera potrebbe diventare sgradita e anche gli esponenti del clero potrebbero trovarsi in pericolo. «Durante il nostro soggiorno – riporta la Kolmann – un sacerdote ci ha detto più volte di temere per la vita di tutti i non etiopi, preti inclusi». Monsignor Angelo però non ha paura: «non ha senso, qui ci conoscono tutti!».