di Eugenio Fizzotti
ROMA, venerdì. 16 dicembre 2011 (ZENIT.org).- «La nostra Carta Costituzionale descrive una società concepita come un organismo in cui tutti i rapporti sono orientati al bene comune. Una Carta Costituzionale che può esser letta anche come unprogetto, una traccia di lavoro per conseguire questo obiettivo, che è tale solo se “è di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (Sollicitudo Rei Socialis, n. 38). La Costituzione si è preoccupata, tra l’altro, di ricordare che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un‘attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società” (art. 4). L’affermazione costituisce un atto di fiducia nell’uomo e in ogni uomo. Equivale a dire che nessun contributo può andar perduto, giacché ogni cittadino – ricco o povero – è una risorsa e ha qualcosa da offrire al bene comune. Basterebbe già questo richiamo a giustificare l’esigenza di un piano, di presa in considerazione seria della questione sociale, capace di preoccuparsi non soltanto di dare adeguate risposte alle legittime attese di sviluppo personale di ogni uomo e ai suoi bisogni primari, ma anche di favorire una sua inclusione civile e sociale a vantaggio di tutti. E ciò perché la dimenticanza, l’esclusione el’emarginazione di un solo cittadino rende più ingiusta e più povera l’intera società».
Così D. Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, ha iniziato il suo intervento mercoledì 14 dicembre alla Tavola Rotonda che è stata organizzata dalla Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche (FICT) in occasione del trentennale della fondazione e che ha avuto luogo nella Sala Conferenze Unicef di Roma con la partecipazione di ben 150 operatori sociali che nel corso della mattinata avevano particolarmente gradito il saluto e l’augurio rivolti a loro da parte del Papa Benedetto XVI nel corso dell’Udienza Generale nell’Aula Paolo VI.
Volendo approfondire le mappe delle debolezze e sofferenze del nostro tempo D. Nozza ha fatto inizialmente riferimento alla «gravissima e urgente questione giovani, che rappresenta un riflesso incondizionato di un modello di sviluppo centrato sui garantiti e sulla spesa pubblica, che fa stare peggio tutti coloro che devono entrare dentro il sistema». Basti pensare che «il 20% delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto in Italia ha meno di 35 anni; in soli quattro anni, dal 2005 al 2010, il numero di giovani assistiti è aumentato del 59,6%; desta particolare preoccupazione il fatto che il 76,1% dei giovani che chiedono aiuto ai Centri di ascolto non studia e non lavora».
La seconda debolezza e sofferenza riguarda la numerosa «presenza in Italia di stranieri che sono stati utilizzati per dare una risposta alle nostre esigenze di sviluppo a basso prezzo, e si sono trovati a contribuire, involontariamente, allo sfascio di tutta una serie di regole, anche all’interno del mercato del lavoro». E una delle terribili conseguenze sul versante dei rapporti degli italiani è l’intolleranza che costituisce «un problema serio che non va considerato come un’emergenza, ma come un dato che ci accompagnerà nei prossimi anni in maniera piuttosto strutturale».
La terza debolezza e sofferenza coinvolge «le persone che non raggiungono lo standard» e, a motivo dell’eccessivo livello di competizione internazionale del mercato del lavoro, succede che «una persona che perde il lavoro a 50 anni, in questo periodo, ha la netta sensazione che non può fare più niente».
La quarta debolezza e sofferenza riguarda i minori, di cui «una larga fetta è in condizioni di povertà o difficoltà», soprattutto perché «il 25% dei minori appartiene al gruppo della povertà relativa e il 20% delle famiglie che hanno quattro o più figli si trovano nella stessa categoria. E laquestione è molto seria anche perché nel nostro Paese il numero di abbandoni scolastici aumenta e le risorse dedicate all’educazione diminuiscono».
E come quinta e ultima debolezza e sofferenza D. Nozza ha fatto riferimento alla «distanza tra Nord e Sudche aumenterà ancora di più rispetto a quanto è avvenuto negli ultimi 15 anni. Al Sud il livello di povertà assoluta si aggira intorno al 10%. Nel Sud risiede il 35% della popolazione italiana, ma ben il 65% della popolazione è in situazione di disagio. E tutto questo in una condizione di economia meridionale che non riesce a entrare nei circuiti positivi della crescita».
E dopo aver sottolineato la necessità di favorire lo sviluppo del servizio dell’educare al bene comune, D. Nozza ha suggerito che sia la Società che la Chiesa devono impegnarsi a percorrere come strade necessarie «la scelta preferenziale dei poveri, la destinazione universale dei beni,laglobalizzazione dei diritti,la realizzazione diuna nuova “città”chiamata a favorire incontri, relazioni, confronto e tutela dei diritti e ripensata a partire dal “comune” come luogo di partecipazione e di crescita di cittadinanza». E perché questo si verifichi si richiede essere pienamente «consapevoli deisegni di speranzapresenti nel nostro tempo», per cui occorre rafforzare «il senso di responsabilità e la volontà di operare per lo sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, per le generazioni future, senza trascurare nessuna delle energie che possono contribuire a farci crescere insieme».
Ed è stato quanto mai apprezzato il suo riferimento alla speranza cristiana che «comporta il dovere di abbattere muri, sciogliere catene, aprire strade nuove, anche mediante la promozione e la tutela dei diritti fondamentali di ogni persona, incluso lo straniero», così come è quanto mai indispensabile «stimolare fattivamente il ruolo sociale della famiglia, contrastare il dilagare dell’illegalità, prendersi a cuore le future generazioni con una doverosa cura del creato, superare i divari interni al Paese, aiutandolo ad aprirsi agli orizzonti della pace e dello sviluppo mondiale, sfruttando le opportunità positive della globalizzazione e promuovendo un ordine più giusto tra gli Stati».
E non appena D. Nozza ha concluso il suo intervento D. Mimmo Battaglia, Presidente della FICT, a nome dell’Assemblea, del Consiglio e della Presidenza della FICT gli ha consegnato il Premio Nazionale FICT della Solidarietà 2011, riconoscendo «oltre la sua opera personale, l’enorme lavoro umano e cristiano che la Caritas svolge in Italia e nel mondo intero» ed evidenziando che alla piena condivisone di valori e di metodi le Comunità del Progetto Uomo e le Caritas diocesane e parrocchiali «svolgono servizi coordinati e complementari e operano entrambi per la libertà delle persone sia nelle emergenze di povertà, calamità, salute e solitudine e sia contro ogni tipo di dipendenza da sostanze e da tutta una serie di malesseri collegati, fino al reinserimento sociale e lavorativo». E se «per la FICT la libertà della persona è il fine massimo, per la Caritas è l’obiettivo testimoniato». Ecco perché «il riconoscimento alla Caritas rappresenta una sfida e un simbolo di libertà. Solo le cose fatte con amore tolgono la schiavitù e portano la vita alla libertà e Caritas vuol dire “amore”».