di Antonio Gaspari

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 2 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Rispondendo all’appello del Sommo Pontefice per un rinnovato impegno di evangelizzazione, padre P. Raniero Cantalamessa, OFM cap, nella Sua Prima Predica di Avvento ha spiegato le ragioni che hanno permesso al Cristianesimo di diventare la religione più diffusa al mondo.

Il cristianesimo dei primi secoli è cresciuto con la forza delle proprie convinzioni.

Il Predicatore della casa Pontificia ha ricordato che “Non c’è nessun “braccio secolare” che lo appoggi; le conversioni non sono determinate da vantaggi esterni, materiali o culturali; essere cristiani non è una consuetudine o una moda, ma una scelta controcorrente, spesso a rischio della vita. Per certi versi, la situazione che è tornata a crearsi oggi in diverse parti del mondo”.

Una volta superata la barriera che divideva gli ebrei dai gentili, gli apostoli diffusero il cristianesimo dal bacino mediterraneo e ai confini dell’impero romano.

La loro predicazione e la loro testimonianza era così efficace e convincente che verso la fine del III secolo, la fede cristiana era penetrata praticamente in ogni strato della società, aveva una sua letteratura in lingua greca e una, anche se agli inizi, in lingua latina; possedeva una solida organizzazione interna; cominciò a costruire edifici sempre più capienti, segno dell’accresciuto numero di credenti.

Le persecuzioni forgiarono i cristiani, e, ha precisato padre Cantalamessa “Costantino non farà, in fondo, che prendere atto del nuovo rapporto di forze. Non sarà lui a imporre il cristianesimo al popolo, ma il popolo a imporre a lui il cristianesimo”.

Ma come è stato possibile che un messaggio nato in un oscuro e disprezzato angolo dell’impero, tra persone semplici, senza cultura e senza potere, in meno di tre secoli si estende a tutto il mondo allora conosciuto, soggiogando la raffinatissima cultura dei greci e la potenza imperiale di Roma?

Di certo ha avuto effetto l’amore cristiano e l’esercizio attivo della carità, ma secondo Padre Cantalamessa, la spiegazione l’aveva già data Gesù nella parabola evangelica del seme di senape, che “quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra” (Mc 4, 30-32).

Secondo il Predicatore Apostolico l’insegnamento che Cristo ci dà con questa parabola è che il suo Vangelo e la sua stessa persona è quanto di più piccolo esista sulla terra perché “non c’è nulla di più piccolo e di più debole di una vita che finisce in una morte di croce”.

“Eppure – ha aggiunto - questo piccolo “seme di senape” è destinato a diventare un albero immenso, tanto da accogliere tra i suoi rami tutti gli uccelli che vi si vanno a rifugiare. Questo significa che tutta la creazione, assolutamente tutta andrà a trovarvi rifugio”.

Padre Cantalamessa ha sostenuto che “Quello che gli storici delle origini cristiane non registrano o a cui danno scarso rilievo è l’incrollabile certezza che i cristiani di allora, almeno i migliori di essi, avevano circa la bontà e la vittoria finale della loro causa”.

“Voi potete ucciderci, ma non potete nuocerci”, diceva il martire Giustino al giudice romano che lo condannava a morte. Alla fine fu questa tranquilla certezza che assicurò loro la vittoria e convinse le autorità politiche dell’inutilità degli sforzi per sopprimere la fede cristiana”.

È quello che più ci occorre oggi: - ha affermato il Predicatore della casa Pontificia - ridestare nei cristiani, almeno in coloro che intendono dedicarsi all’opera della rievangelizzazione, la certezza intima della verità di quello che annunciano.

“La Chiesa, ha detto una volta Paolo VI, ha bisogno di riacquistare l’ansia, il gusto e la certezza della sua verità”.