di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 18 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Conta centinaia di milioni di devoti al mondo. Sono milioni i bambini e le bambine che portano il suo nome. E’ ben presente nel Vangelo, nel Presepio e nelle Chiese, ma la sua vicenda umana e la sua rilevanza nella storia della salvezza sono poco conosciute.

Stiamo parlando di San Giuseppe, sposo di Maria e padre adottivo di Gesù.

Per saperne di più ZENIT ha intervistato il reverendo Professore don Salvatore Vitiello Coordinatore del Master in Architettura, arti sacre e Liturgia dell’Università Europea di Roma e del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum

Chi era San Giuseppe?

Don Vitiello: Era anzitutto un uomo autentico, che ha saputo vivere, con intelligenza, fede e totale dedizione, le circostanze nelle quali Dio lo aveva posto, riconoscendovi la Presenza stessa del Mistero. Era un pio ebreo osservante, in profonda attesa, quindi, dell’adempimento delle promesse di Dio per il Suo popolo. Ci parlano di lui anzitutto i santi Evangelisti Luca e Matteo, quando raccontano degli inizi della nostra Salvezza, dell’Annuncio dell’angelo a Maria di Nazareth, «una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe», che sarebbe diventata Madre dell’Altissimo. La casa di Davide (cfr. Lc 1,27) era la discendenza genealogica, dalla quale, secondo le profezie veterotestamentarie, Dio avrebbe suscitato il Re, che avrebbe liberato il popolo di Israele. La vicenda di San Giuseppe, la sua santità, l’attualità della sua intercessione e del suo modello per noi oggi, ed il suo patrocinio nei confronti della Chiesa universale iniziano, per provvidenziale Volontà divina, dal legame “sponsale” con Maria. Accogliendo Maria, il Disegno di Dio su di Lei veniva ad attirare e coinvolgere anche tutta la sua vita. Anzi, egli fu addirittura chiamato a “cooperare”, in un modo unico e straordinario, con la stessa Opera della Salvezza, prendendo con sé Maria quale sua sposa e divenendo, quindi, il padre “legale” di Gesù. Infatti, all’inizio della manifestazione pubblica del Signore Gesù, la prima reazione di scettico stupore da parte degli abitanti di Nazareth fu quella di domandare: «Non è Egli forse il figlio del falegname?» (cfr. Mt 13,55).

Che cosa lo ha convinto ad accettare Maria già incinta?

Don Vitiello: Il comprendere, per divina rivelazione, che questa accettazione avrebbe coinciso con l’aderire alla Volontà stessa di Dio per lui: accogliere quella giovane israelita, ch’Egli amava profondamente, con il suo Bambino, significava, per Giuseppe, accogliere l’ingresso di Dio nella storia e nella sua stessa vita. Era cominciato, con il concepimento di Gesù nel grembo immacolato della Vergine e con la speciale Vocazione di Giuseppe, il nuovo “metodo” di Dio: l’Altissimo, Creatore dell’universo e Signore di Israele, Colui del quale non si poteva pronunciare il Nome, né produrre alcuna raffigurazione, l’assolutamente Altro si rivelava, ora, attraverso un punto preciso, un volto, quello del Bambino che Maria aveva concepito, quello del Bambino che aveva gli stessi lineamenti di Maria. Tutto ciò che aveva a che fare con questa Donna ed il suo Bambino, avrebbe avuto a che fare con Dio stesso. San Giuseppe lo aveva compreso: dopo l’iniziale difficoltà di prendere posizione di fronte a quell’avvenimento – difficoltà nella quale egli mostrò tutta la propria “giustizia” (cfr. Mt 1,19), decidendo di non ripudiare Maria, ma solo di licenziarla nel segreto, per non esporla alla lapidazione prevista dalle leggi giudaiche – egli ricevette l’annuncio dell’angelo che lo chiamava a prendere con sé la sua sposa e a divenire padre di Colui che era stato generato per opera dello Spirito Santo. Da quel momento, egli si è dedicato senza riserva alcuna al servizio umile, silenzioso e pieno d’amore, della sua nuova Famiglia, la Famiglia di Dio.

Come ha fatto a svolgere il ruolo di padre di Gesù pur sapendo che era il Figlio di Dio?

Don Vitiello: Il personale rapporto tra Cristo e San Giuseppe, così come si è sviluppato quotidianamente e soprattutto negli anni della “vita nascosta” del Signore a Nazareth, costituisce per noi un delicatissimo e straordinario mistero. Sappiamo, come la Chiesa stessa ci tramanda nelle Sacre Scritture, che «Colui dal quale prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra» (Ef 3,15) chiamò Giuseppe a divenire, in terra, padre di Gesù, il Figlio eterno fatto uomo. Sappiamo che egli accettò, senza riserve e in totale obbedienza, questa altissima missione, che, come diceva il Santo Padre Pio XI, si è collocata «raccolta, silenziosa, inosservata e sconosciuta, […] nell’umiltà e nel servizio» tra le due missioni di Giovanni Battista e di San Pietro (cfr. Pio XI, Omelia nella Solennità di San Giuseppe, 19 marzo 1928). Conosciamo, poi, gli avvenimenti che si succedettero fino al ritorno a Nazareth dall’Egitto, dove aveva condotto la sacra Famiglia per fuggire la furia omicida del re Erode, e fino al ritrovamento di Gesù dodicenne tra i dottori del Tempio. Circa la paternità di San Giuseppe e la figliolanza di Gesù, però, esiste come un mistero – il mistero dell’intimo rapporto tra Cristo e Giuseppe –, del quale ci è dato di intravedere qualcosa proprio in occasione del ritrovamento di Gesù al Tempio. Scrive San Luca che, trovatoLo, la Madre Gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Le parole di Maria ci rivelano l’“angoscia” di San Giuseppe, il profondo amore, cioè, che egli portava a Gesù ed anche come non si trovasse da solo a compiere la missione ricevuta, ma ne condividesse – potremmo dire – ogni “dettaglio”, con la stessa Beata Vergine Maria, avendo dinanzi agli occhi il continuo e lieto “sì” di Lei alla Volontà di Dio, imparando da Lei a riconoscere nel figlio, con commosso stupore, il Mistero Presente. Sempre nello stesso brano di Vangelo, si dice che Gesù «partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso» (Lc 2,51). Il Figlio di Dio, nascendo dalla Vergine, si era spogliato della gloria divina per assumere la nostra condizione umana, per abbassarsi fino a “mendicare” il nostro amore e la nostra accoglienza, che erano l’amore e l’accoglienza di Maria e Giuseppe di Nazareth. L’Amore stesso mendicava di essere amato e si affidava totalmente alle cure di San Giuseppe, così che crediamo sia stato, pur nella coscienza orante della propria responsabilità, straordinariamente piacevole potersi prendere cura del Dio-Bambino, tanto che nella tradizionale preghiera a San Giuseppe recitiamo: «O felicem virum, beatum Ioseph – o uomo felice, beato Giuseppe, al quale è stato concesso non solo di vedere Colui che molti re desiderarono vedere e non videro, udire e non udirono, ma anche di abbracciarLo, baciarLo, vestirLo e custodirLo!».