ROMA, sabato, 25 settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo un articolo a firma del prof. Massimo Introvigne, Direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni).
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Il viaggio apostolico di Papa Benedetto XVI in Gran Bretagna, dal 16 al 19 settembre 2010, ha avuto lo scopo di celebrare il cardinale John Henry Newman C.O. (1801-1890) e proclamarne la beatificazione. Con il pontificato di Benedetto XVI le cerimonie di beatificazione sono normalmente affidate ai vescovi locali, e non più al Pontefice. Per il beato Newman il Santo Padre ha inteso fare un’eccezione, anzitutto perché – ha confidato – «il cardinale Newman ha avuto da tanto tempo un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero» (Benedetto XVI 2010q). Più in generale, si tratta di una personalità di «eccezionale grandezza per il nostro tempo» (Benedetto XVI 2010a), «uno studioso di grande levatura, un insigne scrittore e poeta, un sapiente uomo di Dio, il cui pensiero ha illuminato molte coscienze e ancora oggi esercita un fascino straordinario» (Benedetto XVI 2010v), «una figura di dottore della Chiesa» (Benedetto XVI 2010a) – ancorché non sia stato ancora formalmente proclamato come tale – che ha affrontato alcuni dei principali problemi della modernità. Nel corso del viaggio Benedetto XVI è tornato sugli stessi problemi, sia ricordando gli insegnamenti del beato Newman sia applicandoli al contesto odierno.
Nell’omelia per la Messa di beatificazione a Birmingham, il Pontefice ha segnalato tre principali insegnamenti del beato Newman che si è proposto d’illustrare nel suo viaggio: «sulla relazione fra fede e ragione, sullo spazio vitale della religione rivelata nella società civilizzata, e sulla necessità di un approccio all’educazione ampiamente fondato e a lungo raggio» (Benedetto XVI 2010p). Convinto che «il beato John Henry Newman, la cui figura e cui scritti conservano ancora una formidabile attualità, merita di essere conosciuto da tutti» (Benedetto XVI 2010v), a ciascuno dei tre temi Benedetto XVI ha dedicato ampie riflessioni.
1. Fede e ragione
a. Il beato Newman e la modernità
Il beato Newman «ha vissuto tutto il problema della modernità» (Benedetto XVI 2010a) e ha «ancora molto da insegnarci sulla vita e la testimonianza cristiane tra le sfide del mondo contemporaneo, sfide che egli previde con eccezionale chiarezza» (Benedetto XVI 2010u). Nel corso del suo viaggio in Portogallo (cfr. Introvigne 2010a) Benedetto XVI ha affrontato il tema della modernità, distinguendo fra istanze e domande legittime, che la Chiesa ha accolto, e risposte sbagliate che hanno dato vita a une vera e propria ideologia del moderno, denunciata dalla Chiesa come errata e pericolosa. «In un mondo già pieno di crescente rumore e confusione, pieno di false vie che conducono solo a profondo dolore del cuore ed illusione» (Benedetto XVI 2010q), Newman ha assunto le istanze della modernità «con tutti i dubbi e i problemi del nostro essere di oggi» (Benedetto XVI 2010a), ma ha fornito risposte inequivocabilmente cristiane e diffidenti nei confronti di ogni forma d’ideologia.
Si può ricordare qui quello che è forse il più celebre discorso del beato Newman, il Biglietto Speech («Discorso del biglietto»), pronunciato a Roma il 12 maggio 1879 in risposta alla lettura del biglietto con cui il cardinale Segretario di Stato Lorenzo Nina (1812-1885) lo informava formalmente della sua elevazione a cardinale da parte di Papa Leone XIII (1878-1903). Qui il beato – di cui cito il testo nella nuova traduzione italiana pubblicata sull’Osservatore Romanodel 13 maggio 2009 – tiene a precisare che «fin dall’inizio mi sono opposto ad una grande sciagura. Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza» (Newman 2009). Parole davvero tuttora attuali nella nostra «epoca in cui un pervasivo relativismo minaccia di oscurare l’immutabile verità sulla natura dell’uomo» (Benedetto XVI 2010v).
Il liberalismo, continua il Biglietto Speech, «è contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare? Indagare sulla religione di un altro non è meno indiscreto che indagare sulle sue risorse economiche o sulla sua vita familiare» (Newman 2009).
L’ideologia della modernità è qui colpita al cuore con la denuncia del relativismo. Su questo tema Benedetto XVI è ripetutamente tornato nel corso del viaggio in Gran Bretagna.
b. L’insidia del relativismo
«Ai nostri giorni – afferma Benedetto XVI –, quando un relativismo intellettuale e morale minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde aspirazioni umane» (Benedetto XVI 2010q). Rifiutare il relativismo, spiega il Pontefice, comporta non soltanto il riconoscimento che esiste una verità ma anche – cosa che oggi rischia di riuscire ancora più difficile – la denuncia dell’errore. Se esiste il vero, esiste anche il falso. «Coloro che vivono della e nella verità riconoscono istintivamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità, veritatis splendor» (ibid.).
Il beato Newman è ricordato per le sue profonde riflessioni sulla nozione di coscienza. Il suo insegnamento, pienamente conforme alla dottrina della Chiesa, è stato però talora presentato in modo equivoco. Alcuni interpretano la stessa nozione di coscienza in modo relativista, come se si trattasse di seguire la propria «preferenza personale» (Newman 2009) a prescindere da ogni autorità esterna. Mentre la coscienza cui fa riferimento Newman è la «coscienza retta» (Benedetto XVI 2010c).
Due articoli dell’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, chiariscono i possibili equivoci in riferimento al beato Newman. Servirsene per commentare il viaggio del Papa è tanto meno improprio in quanto egli stesso ha voluto r
ichiamare in Gran Bretagna il suo lungo dialogo con il beato Newman nel corso del suo itinerario di teologo. Commentando le famose – e per qualche aspetto controverse – parole del beato nella Lettera al Duca di Norfolk secondo cui «se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa» (Newman 1999, 237), il cardinale Ratzinger commenta che la frase va inquadrata nel complessivo pensiero di Newman e nella sua fedeltà alla «tradizione medioevale [che] giustamente aveva individuato due livelli del concetto di coscienza, che si devono distinguere accuratamente, ma anche mettere sempre in rapporto l’uno con l’altro. Molte tesi inaccettabili sul problema della coscienza mi sembrano dipendere dal fatto che si è trascurata o la distinzione o la correlazione tra i due elementi» (Ratzinger 1991, 89).
Il Medioevo parlava di sinderesi e coscienza; il cardinale Ratzinger precisa questi due termini come «anamnesi della creazione» (ibid.) e «anamnesi della fede» (ibid.). La prima, l’anamnesi della creazione, deriva dal fatto che con la creazione «è stato infuso in noi qualcosa di simile ad una originaria memoria del bene e del vero» (ibid.). La seconda, l’anamnesi della fede, nasce dalla redenzione a opera di Gesù Cristo «il cui raggio a partire dal Logos redentore si estende oltre il dono della creazione» (ibid.) la cui memoria è custodita dalla Chiesa e, nella Chiesa, dal Papa. Cronologicamente, l’anamnesi della creazione viene prima: «si identifica col fondamento stesso della nostra esistenza» (ibid.) e fonda la possibilità anche dell’anamnesi della memoria. Come la creazione precede storicamente la redenzione, così perché ci sia una coscienza formata e illuminata dalla Chiesa e dal Papa occorre prima che ci sia una coscienza. In questo senso «siamo ora in grado di comprendere correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza e solo dopo per il Papa» (ibid.). I due brindisi stanno in sequenza, non in contrapposizione.
Se invece si ritiene che l’appello alla coscienza sia solo una giustificazione per seguire il proprio arbitrio – «Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge» (Crowley 1938, cap. I, v. 40), secondo la celebre formula dell’esoterista inglese Aleister Crowley (1875-1947), il quale non solo dava a questa proposizione un fondamento specificamente magico, ma in essa catturava l’essenza stessa della magia come primato del potere – il passaggio successivo non può che essere l’abolizione della coscienza. Per fare quel che si vuole non c’è bisogno della legge, né della coscienza. Il relativismo liberale evolve così naturalmente verso il relativismo aggressivo delle ideologie del secolo XX fino all’affermazione del gerarca nazional-socialista Hermann Göring (1893-1946), citata dal cardinale Ratzinger: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler [1889-1945]» (Ratzinger 1990, 432). La nozione relativista della coscienza porta ultimamente all’eliminazione della coscienza.
Il cattolico, nota il cardinale Ratzinger, non adotta certamente la formula di Göring mettendo il Papa al posto di Hitler. Questa sarebbe una versione caricaturale del cattolicesimo: «una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato teologico del papato» (Ratzinger 1991, 89). Il cattolico dirà al contrario di avere una coscienza, e di trovare in essa una memoria del bene originario e l’apertura alla «possibilità» (ibid.) di una rivelazione di Dio, che di quel bene è fondamento. Nel momento in cui accetta per fede che Dio si è rivelato in Gesù Cristo, è pronto ad accogliere la tesi che il Papa è «garante della memoria» (ibid.) della rivelazione cristiana. Il Magistero del Papa entra così nella coscienza, per così dire, dall’interno: «tutto il potere che egli [il Papa] ha è potere della coscienza» (ibid.).
Il cardinale Ratzinger cita come prova del carattere tutt’altro che soggettivo e arbitrario dell’idea di coscienza nel beato Newman precisamente la sua conversione dalla Comunione Anglicana alla Chiesa Cattolica del 1845. «Proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà – anzi che si trattava proprio del contrario. Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza – così ci insegnava Newman – non si identifica affatto col diritto di “dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili”. In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e “la sua [del Papa] raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza” (J. H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk, Coscienza è libertà, a cura di V. Gambi, Paoline, Milano 1999, p. 226)» (Ratzinger 1990, 433-434).
«Questa dottrina sulla coscienza – continuava nel 1990 il cardinale Ratzinger – è diventata per me sempre più importante nello sviluppo successivo della Chiesa e del mondo. Mi accorgo sempre di più che essa si dischiude in modo completo solo in riferimento alla biografia del Cardinale, la quale suppone tutto il dramma spirituale del suo secolo. Newman, in quanto uomo della coscienza, era divenuto un convertito; fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d’una concezione del Cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma […]. E solo così, attraverso il legame alla verità, a Dio, la coscienza riceve valore, dignità e forza» (ibid., 434).
Quando a proposito della conversione al cattolicesimo ricordiamo che il beato Newman fu «mosso dal seguire la propria coscienza, anche con un pesante costo personale» (Benedetto XVI 2010g), o che san Tommaso Moro (1478-1535), giustiziato per ordine del re Enrico VIII (1491-1547), di cui era stato Lord Cancelliere ma che non aveva voluto seguire nella sua rivolta contro il Papa, «fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al proprio sovrano, di cui era “buon servitore”» (Benedetto XVI 2010h), non ci riferiamo a opzioni o semplici preferenze soggettive ma a un rapporto con la verità oggettiva – «quella verità [che ultimamente] è nient’altro che Gesù Cristo» (Benedetto XVI 2010g) – così forte da rendere disposti a sacrificare affetti, amicizie e perfino la proprio stessa vita. E la questione della coscienza ha un diretto collegamento con il rapporto fra fede e ragione. Il beato Newman, insegna Benedetto XVI, fu insieme «intellettuale e credente, il cui messaggio spirituale si può sintetizzare nella testimonianza che la via della coscienza non è chiusura nel proprio “io”, ma è apertura, conversione e obbedienza a Colui che è Via, Verità e Vita» (Benedetto XVI 2010v).
c. Il corretto rapporto tra fede e ragione
Solo una volta che si è sgombrato il campo dal relativismo è possibile impostare correttamente, alla scuola del beato Newman, il problema del rapporto fra fede e ragione. Sul punto,
certamente non nuovo nel suo Magistero, Benedetto XVI ha offerto importanti approfondimenti nel discorso ai parlamentari e alle autorità nella Westminster Hall di Londra.
«La tradizione cattolica – ha affermato il Pontefice – sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione» (Benedetto XVI 2010h). Dunque, queste norme possono «essere conosciute dai non credenti» (ibid.), così che la fede non ha il compito diretto di «fornire tali norme» (ibid.). Ma questo significa che la fede deve limitarsi a rimanere sullo sfondo, lasciando che sia la ragione da sola a discernere le norme del «retto agire»? No, risponde Benedetto XVI. In effetti la ragione discerne queste norme con difficoltà. Il credente sa che la ragione della difficoltà sta nel peccato originale, ma che il compito sia difficile è chiaro anche a chi non crede.
Ecco allora che la fede interviene per «aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi» (ibid.). «La “luce gentile” della fede» (Benedetto XVI 2010q), come la chiamava il beato Newman, «ci conduce a renderci conto della verità» (ibid.). Se sempre vi sono stati non credenti sospettosi di fronte alla fede, oggi però è sorta una difficoltà nuova. «Questo ruolo “correttivo” della religione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accolto, in parte poiché delle forme distorte di religione, come il settarismo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali» (Benedetto XVI 2010h). Se si lascia che la fede abbia un ruolo nel discernere le norme dell’agire, il campo – si obietta oggi – è lasciato libero ai fondamentalisti che giustificano con la fede attentati suicidi come quelli, ispirati al fondamentalismo islamico, dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington o del 7 luglio 2005 a Londra. L’obiezione, rileva Benedetto XVI, va presa sul serio. In effetti, «distorsioni della religione emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione» (ibid.).
L’interazione fra fede e ragione non è a senso unico. Al contrario, «è un processo che funziona nel doppio senso» (ibid.). Da una parte, «senza il correttivo fornito dalla religione, […] la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale» (ibid.). Dall’altra, se si separa dalla ragione, la fede degenera in fondamentalismo. «Per questo vorrei suggerire che il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà» (ibid.).
d. Verità ed ecumenismo
Il beato Newman, come si è accennato, nacque nella comunità anglicana e fu sacerdote anglicano dal 1825 al 1845, quando fu accolto nella Chiesa Cattolica dal beato Domenico Barberi C.P. (1792-1849). La sua beatificazione in terra inglese non poteva dunque non essere occasione per una riflessione di Benedetto XVI sull’ecumenismo, tanto più in un contesto segnato dai molti anglicani che, delusi dalle aperture della loro comunità al sacerdozio femminile e al matrimonio omosessuale, sono riaccolti, ripercorrendo così il percorso del beato Newman, nella Chiesa di Roma. La materia è ora regolata nella Chiesa Cattolica dalla Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, del 4 novembre 2009, nei cui confronti – a fronte di obiezioni secondo le quali l’accoglienza di questi anglicani nuocerebbe all’ecumenismo – Benedetto XVI ha esortato i vescovi cattolici britannici a «essere generosi» (Benedetto XVI 2010t), ricordando che «scopo ultimo di ogni attività ecumenica [è] la restaurazione della piena comunione ecclesiale» (ibid.).
Benedetto XVI ha voluto dare al suo viaggio un carattere marcatamente ecumenico, moltiplicando i gesti di simpatia nei confronti delle autorità anglicane, e ricordando in Scozia «il centenario della Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo [ del 1910], che è generalmente considerata come la nascita del movimento ecumenico moderno» (Benedetto XVI 2010c). Nello stesso tempo, proprio ricordando l’intransigente opposizione a ogni forma di relativismo del beato Newman, il Pontefice ha pure ricordato, visitando l’Arcivescovo di Canterbury, primate della Comunione Anglicana, che «la Chiesa è chiamata ad essere inclusiva, ma mai a scapito della verità cristiana. Qui si colloca il dilemma che sta davanti a tutti coloro che sono genuinamente impegnati nel cammino ecumenico» (Benedetto XVI 2010g). Visitando l’Abbazia di Westminster, il cuore storico della Comunione Anglicana, il Papa non si è astenuto dal ricordare che la sua visita avviene «in fedeltà al mio ministero di Vescovo di Roma e Successore di San Pietro, incaricato di una cura particolare per l’unità del gregge di Cristo» (Benedetto XVI 2010l).
L’ecumenismo fra le Chiese e comunità cristiane non può che avere al suo centro – a fronte di tante dubbie formulazioni – il riconoscimento come fatto storico della morte e resurrezione di Gesù Cristo, figlio di Dio e Dio egli stesso. «Il nostro impegno per l’unità dei cristiani non ha altro fondamento che la nostra fede in Cristo, in questoCristo, risorto da morte e assiso alla destra del Padre, che tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. È la realtàdella persona di Cristo, la sua opera salvifica e soprattutto il fatto storico della sua risurrezione, che è il contenuto del kerygma apostolico e di quelle formule di fede che, a partire dal Nuovo Testamento stesso, hanno garantito l’integrità della sua trasmissione. L’unità della Chiesa, in una parola, non può mai essere altro che una unità nella fede apostolica» (ibid.). Il mancato riconoscimento del carattere essenziale e non negoziabile di questi fondamenti della fede è alla radice delle «delusioni» (ibid.) che l’ecumenismo ha sperimentato nella sua storia recente.
e. Verità e dialogo interreligioso
Il primato della verità deve contraddistinguere anche il dialogo interreligioso con i non cristiani, un tema di particolare attualità nella Gran Bretagna di oggi caratterizzata dal multiculturalismo, un’espressione ambigua che indica sia un fatto – la compresenza sullo stesso territorio di tante diverse religioni e culture – sia un’ideologia relativista, per cui le culture e religioni sarebbero tutte di uguale valore e non esisterebbero criteri tali da permettere un discernimento.
Il Papa propone una preziosa distinzione tra tre diversi livelli di dialogo interreligioso. Non tutti e tre i livelli sono possibili con tutti gli interlocutori. Con alcuni non si potrà che limitarsi al primo: il «dialogo della vita» (Benedetto XVI 2010f), il quale «implica semplicemente vivere fianco a fianco ed imparare l’uno dall’altro in maniera da crescere nella reciproca comprensione e nel reciproco rispetto» (ibid.), coesistendo pacificamente e astenendosi da ogni insulto o violenza. Già questo primo dialogo non è semplice, e comporta problemi delicati. Anzitutto – il Papa lo afferma a Londra, di fronte tra l’altro ad alcuni dei più autorevoli rappresentanti del mondo islamico britannico – «occorre reciprocità da parte di tutte le componenti in dialogo e da parte dei seguaci delle altre religioni. Penso in particolare a situazioni in alcune parti del mondo, in cui la collaborazione e il dialogo fra religioni richiede il rispetto reciproco, la libertà di praticare la propria religione e di compiere atti di culto pubblico, come pure la libertà di seguire la propria coscienza senza soffrire ostracismo o persecuzione, anche dopo la conversione da una reli
gione ad un’altra» (ibid.). «Un dialogo sincero […] ha bisogno del rispetto del principio di reciprocità» (Benedetto XVI 2010v).
Il secondo livello è quello del «dialogo dell’azione» (Benedetto XVI 2010f), possibile quando – sia pure sulla base di motivazioni diverse – si condividono obiettivi comuni e si riconoscono principi della legge naturale, di per sé accessibili anche alla sola ragione. In questo caso diventano possibili «forme concrete di collaborazione» (ibid.). Gli esempi scelti da Benedetto XVI sono significativi. Si può per esempio, afferma, «esplorare assieme come difendere la vita umana ad ogni stadio e come assicurare la non esclusione della dimensione religiosa di individui e comunità dalla vita della società» (ibid.).
Il terzo livello, infine, è quello del dialogo delle idee, delle «discussioni formali» (ibid.) per un riavvicinamento teologico, di cui Benedetto XVI non manca di sottolineare i limiti. In queste conversazioni, nota pure il Pontefice, «non vi è solo la necessità dello scambio teologico, ma anche il porre alla reciproca considerazione le proprie ricchezze spirituali, il parlare della propria esperienza di preghiera e di contemplazione» (ibid.). Questo potrebbe effettivamente diventare una forma di testimonianza a favore della rilevanza della religione in un mondo che, come notava il beato Newman, sempre più spesso pensa di poterne fare a meno.
2. La rilevanza pubblica della religione
Nel Biglietto Speech del 1879 il beato Newman lamenta la perdita di rilevanza pubblica del cristianesimo nella Gran Bretagna del suo tempo. «Finora – afferma – il potere civile è stato cristiano. Anche in Nazioni separate dalla Chiesa, come nella mia, quand’ero giovane valeva ancora il detto: “Il cristianesimo è la legge del Paese”. Ora questa struttura civile della società, che è stata creazione del cristianesimo, sta rigettando il cristianesimo. Il detto, e tanti altri che ne conseguivano, è scomparso o sta scomparendo, e per la fine del secolo, se Dio non interviene, sarà del tutto dimenticato. Finora si pensava che bastasse la religione con le sue sanzioni soprannaturali ad assicurare alla nostra popolazione la legge e l’ordine; ora filosofi e politici tendono a risolvere questo problema senza l’aiuto del cristianesimo. Al posto dell’autorità e dell’insegnamento della Chiesa, essi sostengono innanzitutto un’educazione totalmente secolarizzata, intesa a far capire ad ogni individuo che essere ordinato, laborioso e sobrio torna a suo personale vantaggio. Poi si forniscono i grandi principi che devono sostituire la religione e che le masse così educate dovrebbero seguire, le verità etiche fondamentali nel loro senso più ampio, la giustizia, la benevolenza, l’onestà, ecc; l’esperienza acquisita; e quelle leggi naturali che esistono e agiscono spontaneamente nella società e nelle cose sociali, sia fisiche che psicologiche, ad esempio, nel governo, nel commercio, nella finanza, nel campo sanitario e nei rapporti tra le Nazioni. Quanto alla religione, essa è un lusso privato, che uno può permettersi, se vuole, ma che ovviamente deve pagare, e che non può né imporre agli altri né infastidirli praticandola lui stesso. Le caratteristiche generali di questa grande apostasia sono identiche dovunque; ma nei particolari variano a seconda dei Paesi. Parlerò del mio Paese perché lo conosco meglio. Temo che essa avrà qui un grande seguito, anche se non si può immaginare come finirà» (Newman 2009).
In teoria, i principi di benevolenza e di onestà che sono pubblicamente proclamati non sono falsi. «È solo quando ci accorgiamo che questo bell’elenco di principi è inteso a mettere da parte e cancellare completamente la religione, che ci troviamo costretti a condannare il liberalismo. Invero, non c’è mai stato un piano del Nemico così abilmente architettato e con più grandi possibilità di riuscita. E, di fatto, esso sta ampiamente raggiungendo i suoi scopi, attirando nei propri ranghi moltissimi uomini capaci, seri ed onesti, anziani stimati, dotati di lunga esperienza, e giovani di belle speranze» (ibid.). La situazione dei nostri giorni non è molto diversa da quella dei tempi del beato Newman. Per molti versi, è perfino peggiorata. Riproponendo un’espressione già usata in altri discorsi, il Papa denuncia «una “dittatura del relativismo” [che] minaccia di oscurare l’immutabile verità sulla natura dell’uomo, il suo destino e il suo bene ultimo. Vi sono oggi alcuni che cercano di escludere il credo religioso dalla sfera pubblica, di privatizzarlo o addirittura di presentarlo come una minaccia all’uguaglianza e alla libertà» (Benedetto XVI 2010c).
Beninteso, questi «alcuni» rappresentano i poteri forti e la cultura dominante. Vi è ancora un popolo cristiano britannico che si ribella alla cultura egemone o almeno ha nostalgia di una cultura diversa, come dimostra lo stesso entusiasmo che ha fatto della visita del Papa un successo al di là di ogni previsione, e ha colto di sorpresa media in gran parte prevenuti e ostili. Tornando sulla visita tre giorni dopo la sua conclusione, Benedetto XVI ha osservato che «nelle quattro intense e bellissime giornate trascorse in quella nobile terra ho avuto la grande gioia di parlare al cuore degli abitanti del Regno Unito, ed essi hanno parlato al mio, specialmente con la loro presenza e con la testimonianza della loro fede. Ho potuto infatti constatare quanto l’eredità cristiana sia ancora forte e tuttora attiva in ogni strato della vita sociale. Il cuore dei britannici e la loro esistenza sono aperti alla realtà di Dio e vi sono numerose espressioni di religiosità che questa mia visita ha posto ancora più in evidenza. Sin dal primo giorno della mia permanenza nel Regno Unito, e durante tutto il periodo del mio soggiorno, ovunque ho ricevuto una calorosa accoglienza» (Benedetto XVI 2010v).
a. Ritornare alle radici
Per riaffermare la rilevanza pubblica del cristianesimo in Gran Bretagna, il beato Newman aveva deciso di lanciare una collana di volumetti dedicata ai santi britannici. Ne sarebbe emerso che la storia britannica era strettamente legata ai santi e alla Chiesa. Il venerabile Giovanni Paolo II (1978-2005) e Benedetto XVI hanno fatto di questo programma un metodo. In qualunque Paese di tradizione cristiana si siano recati, sempre hanno insistito sul fatto che le origini e la storia di questo Paese sono segnate dall’opera dei santi e da una particolare presenza della Madonna. Infatti, «le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col “genio” e la storia dei rispettivi popoli, e la Chiesa non cessa di lavorare per mantenere continuamente desta questa tradizione spirituale e culturale» (Benedetto XVI 2010v).
Sulla scia di Newman, Benedetto XVI ritorna sistematicamente nel suo viaggio al tema della «lunga storia dell’Inghilterra, così profondamente segnata dalla predicazione del Vangelo e dalla cultura cristiana dalla quale è nata» (Benedetto XVI 2010i), e delle «profonde radici cristiane che sono tuttora presenti in ogni strato della vita britannica» (Benedetto XVI 2010b). La stessa architettura e l’arte, cui Benedetto XVI non manca mai di essere attento, «parlano in maniera tanto eloquente della nostra comune eredità di fede» (Benedetto XVI 2010l), e dalle abbazie e cattedrali «non possiamo non essere richiamati a come la fede cristiana abbia plasmato in modo così profondo l’unità e la cultura dell’Europa ed il cuore e lo spirito del popolo inglese» (ibid.).
Questa memoria si articola in quattro diversi passaggi. In primo luogo, il Pontefice – proprio per sottolineare il rilievo pubblico e politico della fede – ricorda i re, le regine e le principesse canonizzate, che non si ritrovano soltanto in Gran Bretagna ma qui hanno espresso più di una figura di grande rilievo spirituale e storico. Rivolgendosi alla r
egina Elisabetta II il Papa così si esprime: «I monarchi d’Inghilterra e Scozia erano cristiani sin dai primissimi tempi ed includono straordinari Santi come Edoardo il Confessore [1002-1066] e Margherita di Scozia [1045-1093]. Come Le è noto, molti di loro hanno esercitato coscienziosamente i loro doveri sovrani alla luce del Vangelo, modellando in tal modo la nazione nel bene al livello più profondo. Ne risultò che il messaggio cristiano è diventato parte integrale della lingua, del pensiero e della cultura dei popoli di queste isole per più di un millennio. Il rispetto dei vostri antenati per la verità e la giustizia, per la clemenza e la carità giungono a voi da una fede che rimane una forza potente per il bene nel vostro regno» (ibid.). In particolare, Sant’Edoardo il Confessore, «re d’Inghilterra, rimane un modello di testimonianza cristiana ed un esempio di quella vera grandezza alla quale il Signore nelle Scritture chiama i suoi discepoli» (Benedetto XVI 2010l).
In secondo luogo – citando esplicitamente il suo viaggio in Francia del 2008, dove aveva affermato che le radici dell’Europa non sono solo cristiane, ma monastiche (cfr. Introvigne 2008) – Benedetto XVI richiama il ruolo essenziale svolto per la nascita delle nazioni che compongono la Gran Bretagna dai «monaci che hanno così tanto contribuito alla evangelizzazione di queste isole. Sto pensando ai Benedettini che accompagnarono Sant’Agostino [di Canterbury, 534-604] nella sua missione in Inghilterra, ai discepoli di San Columba [521-597], che hanno diffuso la fede in Scozia e nell’Inghilterra del Nord, a San Davide [ca. 512-601] e ai suoi compagni nel Galles» (Benedetto XVI 2010d). Salutando i cattolici del Galles, che il Papa non ha potuto includere nella sua visita, convenuti nella cattedrale di Westminster a Londra, Benedetto XVI afferma che il loro patrono «San Davide fu uno dei grandi santi del sesto secolo, quell’epoca d’oro di santi e missionari in queste isole, e fu per questo un fondatore della cultura cristiana che sta alle radici dell’Europa moderna» (Benedetto XVI 2010o).
Ancora prima la Scozia fu evangelizzata dal monaco san Mungo (518-603), presentato da Benedetto XVI come continuatore dell’opera di san Ninian (di cui s’ignorano le date di nascita e di morte), di cui afferma che «non ebbe paura di essere una voce solitaria. […] Ninian fu uno dei primissimi missionari cattolici a portare ai suoi connazionali la buona novella di Gesù Cristo. La sua missione a Galloway divenne un centro per la prima evangelizzazione di questo Paese» ( Benedetto XVI 2010c). Il Papa prende così posizione nella controversia sull’esistenza storica di san Ninian, oggi considerato da alcuni una figura meramente mitologica.
E nel secolo successivo all’epoca d’oro dei santi inglesi, il settimo, il Papa evoca la figura del benedettino san Beda il Venerabile (672-735), il quale «comprese sia l’importanza della fedeltà alla parola di Dio come trasmessa dalla tradizione apostolica, sia la necessità di un’apertura creativa ai nuovi sviluppi e alle esigenze di un adeguato radicamento del Vangelo nel linguaggio e nella cultura del suo tempo» (Benedetto XVI 2010l). Il santo benedettino è tanto più meritevole di essere ricordato oggi, quando «questa nazione, e l’Europa che Beda e i suoi contemporanei hanno contribuito ad edificare, ancora una volta si trova alle soglie di una nuova epoca» (ibid.).
I monaci hanno davvero diritto a essere ricordati come edificatori delle nazioni britanniche e dell’Europa. «Poiché la ricerca di Dio che si colloca nel cuore della vocazione monastica, richiede un attivo impegno coi mezzi tramite i quali egli si fa conoscere – la sua creazione e la sua parola rivelata – era semplicemente naturale che il monastero dovesse avere una biblioteca ed una scuola» (Benedetto XVI 2010d), e che dunque ne sia nata una cultura. «Fu l’impegno dei monaci nell’imparare la via sulla quale incontrare la Parola Incarnata di Dio che gettò le fondamenta della nostra cultura e civiltà occidentali» (ibid.).
In terzo luogo, Benedetto XVI ricorda che la storia della Gran Bretagna cristiana riposa sulle più solide delle fondamenta, quelle bagnate dal sangue sacro dei martiri. «L’Inghilterra ha una grande tradizione di Santi martiri, la cui coraggiosa testimonianza ha sostenuto ed ispirato la comunità cattolica locale per secoli» (Benedetto XVI 2010r). Ai martiri uccisi dai pagani al tempo della prima evangelizzazione fanno seguito i due Lord Cancellieri del Regno che preferirono obbedire alla propria coscienza e al Papa piuttosto che al loro sovrano: il già citato san Tommaso Moro e prima di lui san Tommaso Becket (1118-1170) che, anch’egli, «rese testimonianza a Cristo versando il proprio sangue» nella cattedrale di Canterbury (Benedetto XVI 2010g). Vengono poi i cattolici che pagarono con la vita la fedeltà a Roma dopo lo scisma di Enrico VIII. Il Papa ricorda i martiri di Tyburn, presso Londra, beatificati nel 1987, i quali «morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore» (Benedetto XVI 2010q). Tanti altri furono in quei secoli «impiccati, affogati e squartati» (ibid.) per la loro indomita «fedeltà al Vangelo» (ibid.).
Il martirio non appartiene solo al passato. Anzitutto, vi sono luoghi nel mondo dove il martirio cruento continua ancora oggi. Il Papa celebra i «martiri di ogni tempo, che hanno bevuto al calice da cui Cristo stesso ha bevuto, ed il cui sangue, sparso in unione al suo sacrificio, dà nuova vita alla Chiesa. Ciò è anche riflesso nei nostri fratelli e sorelle nel mondo, che ancora oggi soffrono discriminazioni e persecuzioni per la loro fede cristiana» (Benedetto XVI 2010m). In secondo luogo, non c’è solo il martirio cruento. Talora «il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo» (Benedetto XVI 2010q) non è quello di essere torturati e uccisi ma «implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia» (ibid.). La stessa vita del beato Newman, che dopo la conversione al cattolicesimo fu ripudiato da amici e perfino da familiari, «ci insegna che la passione per la verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina comportano un grande prezzo da pagare» (ibid.). Ma il sangue dei martiri è sempre fondamento di cristianità rinnovate. «Nella vita della Chiesa, nelle sue prove e tribolazioni, Cristo continua, secondo l’incisiva espressione di [Blaise] Pascal [1623-1662], ad essere in agonia fino alla fine del mondo (Pensées, 553, éd. [a cura di Lèon] Brunschvicg [1869-1944])» (Benedetto XVI 2010m).
Una terza memoria, che il Papa non omette mai nei suoi viaggi in Europa, è quella – tanto cara al beato Newman – delle radici mariane delle nazioni britanniche. «Quando il Beato John Henry Newman venne a vivere a Birmingham, diede il nome di “Maryvale” alla sua prima casa. L’Oratorio da lui fondato è dedicato all’Immacolata Concezione della Beata Vergine. E l’Università Cattolica dell’Irlanda venne da lui posta sotto la protezione di Maria, Sedes sapientiae» (Benedetto XVI 2010s). E ai gallesi il Papa ricorda che «nella sua secolare storia, la gente del Galles si è distinta per la sua devozione alla Madre di Dio; ciò è posto in evidenza dagli innumerevoli luoghi del Galles chiamati “Llanfair” – Chiesa di Maria» (Benedetto XVI 2010o), nonché dall’importanza nella storia del Paese del «Santuario Nazionale di Nostra Signora di Cardigan» (ibid.).
Vi è, infine, una quarta memoria storica che Benedetto XVI ricorda. È l’eredità giuridica e politica di quello che chiama il «desiderio di raggiungere un giusto equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello Stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti. Se da un lato, nella vostra storia, sono stati compiuti a più riprese dei passi decisivi per porre dei
limiti all’esercizio del potere, dall’altro le istituzioni politiche della nazione sono state in grado di evolvere all’interno di un notevole grado di stabilità» (Benedetto XVI 2010h). Questa tradizione, che parte almeno dalla Magna Charta Libertatum del 1215 e trova una base nel «senso istintivo di moderazione presente nella Nazione» (ibid.</i>), apprezzato pure dal beato Newman, nella sua parte essenziale e migliore secondo Benedetto XVI «ha molto in comune» (ibid.) con «la dottrina sociale cattolica, pur formulata in linguaggio diverso» (ibid.).
Al di là delle singole, complesse vicende storiche il Papa vede in due episodi della storia moderna l’impronta della passione della libertà che caratterizza la storia istituzionale britannica. Il primo è il contributo della Gran Bretagna all’«abolizione del commercio degli schiavi. La campagna che portò a questa legislazione epocale, si basò su principi morali solidi, fondati sulla legge naturale, e ha costituito un contributo alla civilizzazione di cui questa nazione può essere giustamente orgogliosa» (ibid.), e alle cui origini si situano peraltro cristiani mossi da motivazioni religiose, «figure come [l’uomo politico anglicano] William Wilberforce [1759-1833] e [il missionario ed esploratore riformato scozzese] David Livingstone [1813-1873]» (Benedetto XVI 2010b).
Il secondo episodio riguarda il modo con cui il popolo inglese e molti suoi leader percepirono la Seconda guerra mondiale: una lotta contro «una tirannia nazista che aveva in animo di sradicare Dio dalla società» (ibid.). Beatificando il cardinale Newman proprio nel «giorno prescelto per commemorare il 70mo anniversario della “Battle of Britain”» – la battaglia aerea combattuta nel 1940 fra le aviazioni britannica e tedesca per il controllo dello spazio aereo sopra la Gran Bretagna –, il Papa tedesco confida: «Per me, che ho vissuto e sofferto lungo i tenebrosi giorni del regime nazista in Germania, è profondamente commovente essere qui con voi in tale occasione, e ricordare quanti dei vostri concittadini hanno sacrificato la propria vita, resistendo coraggiosamente alle forze di quella ideologia maligna» (Benedetto XVI 2010r).
b. Rispondere al secolarismo
Ma c’è anche un’altra storia. Se è vero che «i Paesi occidentali hanno tutti, ognuno nel loro modo specifico e secondo la loro propria storia, forti correnti anticlericali e anticattoliche» (Benedetto XVI 2010a), «naturalmente la Gran Bretagna ha una sua propria storia di anticattolicesimo» (ibid.). E l’anticattolicesimo oggi diventa parte di un più generale secolarismo che mira a emarginare la religione dalla vita pubblica riducendola a un mero fatto privato, secondo una tendenza che, come si è visto, già il beato Newman aveva denunciato nel suo Biglietto Speech. «Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale» (Benedetto XVI 2010l).
«Non posso che esprimere la mia preoccupazione – ha detto Benedetto XVI ai parlamentari inglesi – di fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del Cristianesimo, che sta prendendo piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore. Vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe messa a tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata. Vi sono alcuni che sostengono che la celebrazione pubblica di festività come il Natale andrebbe scoraggiata, secondo la discutibile convinzione che essa potrebbe in qualche modo offendere coloro che appartengono ad altre religioni o a nessuna. E vi sono altri ancora che – paradossalmente con lo scopo di eliminare le discriminazioni – ritengono che i cristiani che rivestono cariche pubbliche dovrebbero, in determinati casi, agire contro la propria coscienza. Questi sono segni preoccupanti dell’incapacità di tenere nel giusto conto non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica» (Benedetto XVI 2010h).
«Mentre riflettiamo sui moniti dell’estremismo ateo del ventesimo secolo, non possiamo mai dimenticare come l’esclusione di Dio, della religione e della virtù dalla vita pubblica conduce in ultima analisi ad una visione monca dell’uomo e della società» (Benedetto XVI 2010b). Oggi viviamo «in una società che è divenuta sempre più indifferente e perfino ostile al messaggio cristiano» (Benedetto XVI 2010l), giacché «vede il Vangelo come un limite alla libertà umana, invece che come verità che libera» (Benedetto XVI 2010m), e in cui «la cultura che ci circonda si sviluppa in modo sempre più distante dalle sue radici cristiane, nonostante una profonda e diffusa fame di nutrimento spirituale» (Benedetto XVI 2010g). Nella Gran Bretagna «multiculturale» (ibid.), che «così spesso sembra a rischio di frammentazione» (ibid.), c’è il pericolo che venga meno il «rispetto per quei valori tradizionali e per quelle espressioni culturali che forme più aggressive di secolarismo non stimano più, né tollerano più. Non si lasci oscurare il fondamento cristiano che sta alla base delle sue libertà» (Benedetto XVI 2010b). Di questo oscuramento sono talora agenti primari imedia: e «poiché le loro opinioni raggiungono un così vasto uditorio, i media britannici hanno una responsabilità più grave di altri» (ibid.).
Richiamando la sua enciclica Caritas in veritate, del 2009, Benedetto XVI ricorda pure come l’esclusione del fondamento religioso – e quindi, inevitabilmente, di quello etico – della società e dell’economia sia stata fra le cause della crisi economica del 2008, che ha colpito duramente la Gran Bretagna. «L’inadeguatezza di soluzioni pragmatiche, di breve termine, ai complessi problemi sociali ed etici è stata messa in tutta evidenza dalla recente crisi finanziaria globale. Vi è un vasto consenso sul fatto che la mancanza di un solido fondamento etico dell’attività economica abbia contribuito a creare la situazione di grave difficoltà nella quale si trovano ora milioni di persone nel mondo» (Benedetto XVI 2010h). Come risultato, «lo spettro della disoccupazione sta stendendo le proprie ombre sulla vita di molta gente, ed il costo a lungo termine di pratiche d’investimento dei tempi recenti, mal consigliate, sta diventando quanto mai evidente» (Benedetto XVI 2010s). Ne deriva purtroppo «un retroterra di crescente cinismo addirittura circa la possibilità di una vita virtuosa» (ibid.). Ma dal messaggio del beato Newman emerge un invito a reagire e a «lavorare strenuamente per difendere le immutabili verità morali che, riprese, illuminate e confermate dal Vangelo, stanno alla base di una società veramente umana, giusta e libera» (Benedetto XVI 2010v).
Il beato «Newman ci insegna che se abbiamo accolto la verità di Cristo e abbiamo impegnato la nostra vita per lui, non vi può essere separazione tra ciò che crediamo ed il modo in cui viviamo la nostra esistenza» (Benedetto XVI 2010l). Anche per questo compito – ricorda il Papa ai vescovi britannici – «è stato di recente costituito un Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione dei Paesi di lunga tradizione cristiana, e desidero incoraggiarvi ad avvalervi dei suoi servigi per affrontare i compiti che vi stanno innanzi» (Benedetto XVI 2010t).
Con i parlamentari, Benedetto XVI ritorna sul caso esemplare di san Tommaso Moro. «Il dilemma con cui Tommaso Moro si confrontava, in quei tempi difficili, la perenne questione del rapporto tra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio, mi offre l’opportunità di riflettere brevemente con voi sul giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politico» (Benedetto XVI 2010h). «In verità, le questioni di f
ondo che furono in gioco nel processo contro Tommaso Moro continuano a presentarsi, in termini sempre nuovi, con il mutare delle condizioni sociali. Ogni generazione, mentre cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi sempre di nuovo: quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali? Queste questioni ci portano direttamente ai fondamenti etici del discorso civile» (ibid.).
Come il venerabile Giovanni Paolo II e lo stesso Benedetto XVI hanno più volte ricordato, non è sufficiente rispondere che l’autorità suprema è costituita dalla democrazia e dal voto liberamente espresso dalla maggioranza dei cittadini. «Se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza. Qui si trova la reale sfida per la democrazia» (ibid.). «La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche?» (ibid.). La risposta del Papa è che questo fondamento può essere trovato soltanto nella legge naturale, che la ragione – come si è accennato – può conoscere, ma con difficoltà, così che l’aiuto offerto dalla fede non può essere rifiutato senza grave pericolo. «La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione» (ibid.).
Benedetto XVI, rispondendo a polemiche non solo inglesi, ha espresso soddisfazione perché – a differenza di quanto avvenne per la visita del venerabile Giovanni Paolo II nel 1982 – il suo viaggio apostolico è stato considerato dal Regno Unito come visita di Stato. «Sono molto grato a Sua Maestà la Regina Elisabetta II, che ha voluto dare a questa visita il rango di una visita di Stato, che sa esprimere il carattere pubblico di questa visita e anche la responsabilità comune tra politica e religione» (Benedetto XVI 2010a). Non si tratta di una questione di mera forma. Infatti «mette al centro dell’attenzione, questo carattere di visita di Stato, le coincidenze tra l’interesse della politica e della religione. La politica sostanzialmente è creata per garantire giustizia, e con la giustizia libertà, ma giustizia è un valore morale, un valore religioso e così la fede, l’annuncio del Vangelo, si collega, nel punto “giustizia”, con la politica» (ibid.). «Naturalmente questo fatto che giuridicamente è una visita di Stato non rende la mia visita un fatto politico, perché se il Papa è capo di Stato, questo è solo uno strumento per garantire l’indipendenza del suo annuncio e il carattere pubblico del suo lavoro di Pastore» (ibid.).
Il Papa non ha mancato di fare cenno anche a problemi specifici. Così, ha ricordato ai parlamentari che «le istituzioni religiose, comprese quelle legate alla Chiesa cattolica, devono essere libere di agire in accordo con i propri principi e le proprie specifiche convinzioni, basate sulla fede e sull’insegnamento ufficiale della Chiesa» (Benedetto XVI 2010h). L’allusione è qui a leggi che pretendono d’imporre agli ospedali cattolici di praticare aborti e alle agenzie cattoliche che si occupano di adozioni di offrire bambini per l’adozione anche a coppie omosessuali.
Particolarmente toccanti sono state le parole che Benedetto XVI ha rivolto agli anziani di una casa di riposo di Londra, che ha tenuto a includere fra le mete del suo viaggio. «La vita è un dono unico, ad ogni stadio, dal concepimento fino alla morte naturale, e spetta solo a Dio darla e toglierla» (Benedetto XVI 2010p). La condanna dell’eutanasia diventa però una profonda riflessione del Papa ottantatreenne sulla condizione degli anziani. «Uno può godere buona salute in tarda età; ma ugualmente i Cristiani non dovrebbero avere paura di partecipare alle sofferenze di Cristo se Dio vuole che affrontiamo l’infermità. Il mio predecessore il Papa Giovanni Paolo, ha sofferto pubblicamente negli ultimi anni della sua vita. Appariva chiaro a tutti che viveva questo in unione alle sofferenze del nostro Salvatore. La sua letizia e pazienza nell’affrontare i suoi ultimi giorni furono un significativo e commovente esempio per tutti noi che dobbiamo portare il carico degli anni che avanzano» (ibid.).
Occorre dunque, all’estremo opposto della mentalità eutanasica, «riconoscere la presenza di un crescente numero di anziani come una benedizione per la società. Ogni generazione può imparare dall’esperienza e saggezza della generazione che l’ha preceduta. Inoltre il provvedere alla cura delle persone anziane non dovrebbe essere anzitutto considerata come un atto di generosità, ma come il ripagare un debito di gratitudine» (ibid.). «Mentre cresce il nostro normale periodo di vita – ha voluto aggiungere Benedetto XVI – le nostre capacità fisiche spesso vengono meno; e tuttavia questi periodi possono essere fra gli anni spiritualmente più fruttuosi della nostra vita. Questi anni sono un’opportunità per ricordare in una preghiera affettuosa tutti quelli che abbiamo amato in questa vita e porre tutto quello che siamo stati e abbiamo fatto davanti alla grazia e alla tenerezza di Dio» (ibid.).
c. Valorizzare il ruolo dei laici
Contemplando il grande crocifisso che domina la navata della cattedrale cattolica di Westminster, a Londra, realizzato a Bruges in Belgio su disegni dell’architetto della cattedrale John Francis Bentley (1839-1902) nello stile neo-medievale del secolo XIX per cui Benedetto XVI ha espresso più volte apprezzamento, il Papa – rivolgendosi in particolare ai fedeli laici – nota come «le mani di nostro Signore, stese sulla Croce, ci invitano a contemplare anche la nostra partecipazione al suo eterno sacerdozio e la responsabilità che abbiamo, in quanto membra del suo corpo, di portare al mondo in cui viviamo il potere riconciliante del suo sacrificio. Il Concilio Vaticano II parlò in maniera eloquente dell’indispensabile ruolo del laicato di portare avanti la missione della Chiesa, attraverso lo sforzo di servire da fermento del Vangelo nella società, lavorando per l’avanzamento del Regno di Dio nel mondo» (Benedetto XVI 2010m). «Il richiamo del Concilio ai fedeli laici ad assumere il loro impegno battesimale partecipando alla missione di Cristo richiama le intuizioni e gli insegnamenti di John Henry Newman» (Benedetto XVI 2010m).
Né si tratta solo della partecipazione dei laici, tramite il sacerdozio comune – che, naturalmente, è cosa ben distinta dal sacerdozio ministeriale dei presbiteri –, all’ufficio sacerdotale di Gesù Cristo e, tramite la consecratio mundi, al Suo ufficio regale. I laici partecipano anche al terzo ufficio di Gesù Cristo, quello profetico. Il beato Newman «fu il grande campione dell’ufficio profetico del laicato cristiano» (Benedetto XVI 2010l). E ai laici, sulla scia di Newman, il Papa si rivolge accoratamente da Glasgow: «Faccio appello in particolare a voi, fedeli laici, affinché, in conformità con la vostra vocazione e missione battesimale, non solo possiate essere esempio pubblico di fede, ma sappiate anche farvi avvocati nella sfera pubblica della promozione della sapienza e della visione del mondo che derivano dalla fede. La società odierna necessita di voci chiare, che propongano il nostro diritto a vivere non in una giungla di libertà auto-distruttive ed arbitrarie, ma in una società che lavora per il vero benessere dei suoi cittadini, offrendo loro guida e protezione di fronte alle loro debolezze e fragilità» (Benedetto XVI 2010c).
Le riflessioni del beato Newman sui laici si radicano in un suo profondo accostamento alla tematica della vocazione. Il beato «ci dice che il nostro divino Maestro ha assegnato un compito specifico a ciascuno di noi, un “servizio ben
definito”, affidato unicamente ad ogni singolo: “io ho la mia missione – scrisse – sono un anello in una catena, un vincolo di connessione fra persone. Egli non mi ha creato per niente. Farò il bene, compirò la sua opera; sarò un angelo di pace, un predicatore di verità proprio nel mio posto… se lo faccio obbedirò ai suoi comandamenti e lo servirò nella mia vocazione” (Meditations and devotions, 301-2)» (Benedetto XVI 2010r).
«Una delle più amate meditazioni del Cardinale contiene queste parole: “Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri” (Meditations on Christian Doctrine). Vediamo qui il preciso realismo cristiano di Newman, il punto nel quale la fede e la vita inevitabilmente si incrociano. […] Nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società. […] Ciascuno di noi, secondo il proprio stato di vita, è chiamato ad operare per la diffusione del Regno di Dio impregnando la vita temporale dei valori del Vangelo» (Benedetto XVI 2010q).
Per realizzare la sua vocazione d’instaurazione cristiana dell’ordine temporale il laicato, insegnava il beato Newman, dev’essere formato. «“Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere” (The Present Position of Catholics in England, IX, 390)» (Benedetto XVI 2010r). E i laici non possono essere formati se mancano santi e dotti sacerdoti. «Più si sviluppa l’apostolato dei laici, più urgente viene sentito il bisogno di sacerdoti, e più il laicato approfondisce la consapevolezza della propria specifica vocazione, più si rende evidente ciò che è proprio del sacerdote» (Benedetto XVI 2010m). Nel beato Newman non vi è contrasto fra promozione dei laici e consapevolezza della dignità straordinaria e unica del sacerdozio.
3. L’emergenza educativa
Benedetto XVI ha parlato più volte di un’«emergenza educativa» (Benedetto XVI 2008). L’emergenza non è però solo degli ultimi anni. Il problema era già ben presente al beato Newman. «Desidero rendere onore – ha affermato il Papa – alla sua visione dell’educazione, che ha fatto così tanto per plasmare l’“ethos” che è la forza sottostante alle scuole ed agli istituti universitari cattolici di oggi […]. Il progetto di fondare un’università cattolica in Irlanda gli diede l’opportunità di sviluppare le proprie idee su tale argomento e la raccolta di discorsi da lui pubblicati come The Idea of a University contiene un ideale dal quale possono imparare quanti sono impegnati nella formazione accademica» (Benedetto XVI 2010r).
a. Per un’educazione integrale
Il beato Newman era «fermamente contrario ad ogni approccio riduttivo o utilitaristico» (ibid.) al problema dell’educazione, e «cercò di raggiungere un ambiente educativo nel quale la formazione intellettuale, la disciplina morale e l’impegno religioso procedessero assieme» (ibid.). Il beato concepiva «il compito dell’insegnante non [come] solo quello di impartire informazioni o di provvedere ad una preparazione tecnica per portare benefici economici alla società; l’educazione non è e non deve essere mai considerata come puramente utilitaristica. Riguarda piuttosto formare la persona umana, preparare lui o lei a vivere la vita in pienezza – in poche parole riguarda educare alla saggezza. E la vera saggezza è inseparabile dalla conoscenza del Creatore» (Benedetto XVI 2010d).
L’educazione integrale del beato Newman non trascura né svaluta le scienze. Al contrario, ripete Benedetto XVI, «le scienze umane e naturali ci forniscono una comprensione inestimabile di aspetti della nostra esistenza» (Benedetto XVI 2010f). Il loro studio è necessario. Ma non può essere sufficiente, perché «tuttavia queste discipline non danno risposta, e non possono darla, alla domanda fondamentale, perché operano ad un livello totalmente diverso. Non possono soddisfare i desideri più profondi del cuore umano, né spiegarci pienamente la nostra origine ed il nostro destino, per quale motivo e per quale scopo noi esistiamo, né possono darci una risposta esaustiva alla domanda: “Per quale motivo esiste qualcosa, piuttosto che il niente?”» (ibid.).
Ecco allora il grande insegnamento del beato Newman, che il Papa ripropone ai giovani: studiate ogni materia utile e lecita, ma inseritela sempre in un quadro più ampio. «Ricordate sempre però che ogni materia che studiate si inserisce in un orizzonte più ampio. Non riducetevi mai ad un orizzonte ristretto. Il mondo ha bisogno di buoni scienziati, ma una prospettiva scientifica diventa pericolosamente angusta, se ignora la dimensione etica e religiosa della vita, così come la religione diventa angusta, se rifiuta il legittimo contributo della scienza alla nostra comprensione del mondo. Abbiamo bisogno di buoni storici, filosofi ed economisti, ma se la percezione che essi offrono della vita umana all’interno del loro specifico campo è centrata su di una prospettiva troppo ristretta, essi possono seriamente portarci fuori strada» (Benedetto XVI 2010e).
b. La scuola cattolica
«Una buona scuola offre una formazione completa per l’intera persona. Ed una buona scuola cattolica, al di sopra e al di là di questo, dovrebbe aiutare i suoi studenti a diventare santi» (Benedetto XVI 2010e). C’erano buone scuole nella Gran Bretagna del beato Newman. Ma egli non se ne accontentò, e s’impegnò con i suoi confratelli oratoriani e con altri che – non senza difficoltà e incomprensioni – appoggiarono i suoi progetti a fondare scuole cattoliche e anche, come si è accennato, un’università cattolica in Irlanda. Non si trattava di una novità, ricorda Benedetto XVI: «in Scozia, penso alle tre università medievali fondate dai pontefici, compresa quella di S. Andrea, che sta per celebrare il sesto centenario della sua fondazione» (Benedetto XVI 2010c). Il Papa aggiunge un aneddoto personale. Questo tema, afferma, «mi offre l’opportunità di rendere grazie a Dio per la vita e l’opera della Venerabile Mary Ward [1585-1645], nativa di questa terra [inglese], la cui visione pionieristica di vita religiosa apostolica per le donne, ha portato così tanti frutti. Io stesso da giovane ragazzo sono stato educato dalle “Dame Inglesi” e devo loro un profondo debito di gratitudine» (Benedetto XVI 2010d).
Oggi come ai tempi della venerabile Mary Ward o del beato Newman, «Cristo […] ha bisogno di uomini e donne che dedichino la loro vita al nobile compito dell’educazione, prendendosi cura dei giovani e formandoli secondo le vie del Vangelo» (Benedetto XVI 2010q). Occorre tuttavia contrastare un equivoco. Spesso le scuole cattoliche sono riconosciute come istituti di formazione d’eccellenza: ma non è questa la loro ragion d’essere. La scuola cattolica dev’essere, appunto, cattolica e testimoniare quotidianamente l’ideale del beato Newman dell’educazione integrale: «C’è sempre un orizzonte più grande, nelle vostre scuole cattoliche, sopra e al di là delle singole materie del vostro studio e delle varie capacità che acquisite» (Benedetto XVI 2010e). La stessa «presenza dei religiosi nelle scuole cattoliche è un forte richiamo all’ampiamente discusso carattere cattolico, che è necessario permei ogni aspetto della vita scolastica» (Benedetto XVI 2010d). E «carattere cattolico» significa ortodossia del
la dottrina. C’è, afferma il Pontefice, un’«evidente esigenza che il contenuto dell’insegnamento dovrebbe essere sempre in conformità con la dottrina della Chiesa. Ciò significa che la vita di fede deve essere la forza guida alla base di ogni attività nella scuola [cattolica], così che la missione della Chiesa possa essere effettivamente servita» (ibid.).
c. Educare alla santità
La scuola cattolica, e l’educazione cattolica dei giovani in famiglia e nelle chiese, ha un ideale ancora più grande, tanto spesso sottolineato dal beato Newman: educare alla santità. «Vi sono molte tentazioni – ricorda il Papa ai giovani – che dovete affrontare ogni giorno – droga, denaro, sesso, pornografia, alcool – che secondo il mondo vi daranno felicità, mentre in realtà si tratta di cose distruttive, che creano divisione. C’è una sola cosa che permane: l’amore personale di Gesù Cristo per ciascuno di voi. Cercatelo, conoscetelo ed amatelo, ed egli vi renderà liberi dalla schiavitù dell’esistenza seducente ma superficiale frequentemente proposta dalla società di oggi» (Benedetto XVI 2010c).
Da Londra, collegato via Internet con tutte le scuole cattoliche d’Inghilterra, Scozia e Galles, Benedetto XVI ha tenuto il 17 settembre agli allievi una stupenda lezione sulla santità. «Non capita spesso ad un Papa – in verità nemmeno a qualsiasi altra persona – l’opportunità di parlare contemporaneamente agli studenti di tutte le scuole cattoliche dell’Inghilterra, del Galles e della Scozia. E dal momento che ora io ho questa possibilità, c’è qualcosa che mi sta davvero molto a cuore di dirvi. Ho la speranza che fra voi che oggi siete qui ad ascoltarmi vi siano alcuni dei futuri santi del ventunesimo secolo. La cosa che Dio desidera maggiormente per ciascuno di voi è che diventiate santi. Egli vi ama molto più di quanto voi possiate immaginare e desidera per voi il massimo. E la cosa migliore di tutte per voi è di gran lunga il crescere in santità. Forse alcuni di voi non ci hanno mai pensato prima d’ora. Forse alcuni pensano che essere santi non sia per loro. Lasciatemi spiegare cosa intendo dire. Quando si è giovani, si è soliti pensare a persone che stimiamo e ammiriamo, persone alle quali vorremmo assomigliare. Potrebbe trattarsi di qualcuno che incontriamo nella nostra vita quotidiana e che teniamo in grande stima. Oppure potrebbe essere qualcuno di famoso. Viviamo in una cultura della celebrità ed i giovani sono spesso incoraggiati ad avere come modello figure del mondo dello sport o dello spettacolo. Io vorrei farvi questa domanda: quali sono le qualità che vedete negli altri e che voi stessi vorreste maggiormente possedere? Quale tipo di persona vorreste davvero essere? Quando vi invito a diventare santi, vi sto chiedendo di non accontentarvi di seconde scelte. Vi sto chiedendo di non perseguire un obiettivo limitato, ignorando tutti gli altri. Avere soldi rende possibile essere generosi e fare del bene nel mondo, ma, da solo, non è sufficiente a renderci felici. Essere grandemente dotati in alcune attività o professioni è una cosa buona, ma non potrà mai soddisfarci, finché non puntiamo a qualcosa di ancora più grande. Potrà renderci famosi, ma non ci renderà felici. La felicità è qualcosa che tutti desideriamo, ma una delle grandi tragedie di questo mondo è che così tanti non riescono mai a trovarla, perché la cercano nei posti sbagliati. La soluzione è molto semplice: la vera felicità va cercata in Dio» (Benedetto XVI 2010e).
«E, una volta che voi siete entrati in amicizia con Dio – prosegue il Papa – ogni cosa nella vostra vita inizia a cambiare. Mentre giungete a conoscerlo meglio, vi rendete conto di voler riflettere nella vostra stessa vita qualcosa della sua infinita bontà. Siete attratti dalla pratica della virtù. Incominciate a vedere l’avidità e l’egoismo, e tutti gli altri peccati, per quello che realmente sono, tendenze distruttive e pericolose che causano profonda sofferenza e grande danno, e volete evitare di cadere voi stessi in quella trappola […] Quando queste cose iniziano a starvi a cuore, siete già pienamente incamminati sulla via della santità» (ibid.).
Il beato Newman aveva compreso che la santità si può apprendere, non solo con lo studio ma anzitutto con la preghiera. Nello stesso tempo, anche la preghiera s’impara e richiede un’educazione. «Il motto del Cardinale Newman,Cor ad cor loquitur, “il cuore parla al cuore”, ci permette di penetrare nella sua comprensione della vita cristiana come chiamata alla santità, sperimentata come l’intenso desiderio del cuore umano di entrare in intima comunione con il Cuore di Dio. Egli ci rammenta che la fedeltà alla preghiera ci trasforma gradualmente nell’immagine divina. Come scrisse in uno dei suoi forbiti sermoni: “l’abitudine alla preghiera, che è pratica di rivolgersi a Dio e al mondo invisibile in ogni stagione, in ogni luogo, in ogni emergenza, la preghiera, dico, ha ciò che può essere chiamato un effetto naturale nello spiritualizzare ed elevare l’anima. Un uomo non è più ciò che era prima; gradualmente… ha interiorizzato un nuovo sistema di idee ed è divenuto impregnato di freschi principi” (Parochial and plain sermons, IV, 230-231)» (Benedetto XVI 2010r).
Londra è stata descritta come la prima vera metropoli del XXI secolo, dove il tempo scorre così velocemente e freneticamente da indurre vere e proprie mutazioni qualitative nel modo di accostarsi alla vita e al lavoro (cfr. per esempio le inchieste del giornalista italiano, da anni residente nella capitale britannica, Marco Niada: Niada 2008, 2010). Proprio da Londra Benedetto XVI richiama a fermarsi per trovare un tempo di preghiera e di silenzio. «Nel profondo del vostro cuore egli vi chiama a trascorrere del tempo con lui nella preghiera. Ma questo tipo di preghiera, la vera preghiera, richiede disciplina: richiede di trovare dei momenti di silenzio ogni giorno. Spesso ciò significa attendere che il Signore parli. Anche fra le occupazioni e lo stress della nostra vita quotidiana abbiamo bisogno di dare spazio al silenzio, perché è nel silenzio che troviamo Dio, ed è nel silenzio che scopriamo chi siamo veramente» (Benedetto XVI 2010n).
La preghiera, insegnava il beato Newman, è essenziale perché anche i laici possano esercitare un vero apostolato. «Permettendo a questa luce della fede di risplendere nei nostri cuori e abbandonandoci ad essa mediante la quotidiana unione al Signore nella preghiera e nella partecipazione ai sacramenti della Chiesa, datori di vita, diventiamo noi stessi luce per quanti ci stanno attorno; esercitiamo il nostro “ufficio profetico”; spesso, senza saperlo, attiriamo le persone più vicino al Signore ed alla sua verità. Senza la vita di preghiera, senza l’interiore trasformazione che avviene mediante la grazia dei sacramenti, non possiamo – con le parole di Newman – “irradiare Cristo”; diveniamo semplicemente un altro “cembalo squillante” (1Cor 13, 1)» (Benedetto XVI 2010q). Benedetto XVI lo ricorda anzitutto a coloro, religiosi e laici, che fanno parte di realtà particolarmente ispirate al pensiero del beato Newman, fra cui cita «i membri della famiglia spirituale Das Werk» (Benedetto XVI 2010r), fondata da Julia Verhaeghe (1910-1997). Si tratta di una citazione non banale e non casuale, se si considera che Das Werk – «l’Opera», da non confondere con l’Opus Dei – è stata ripetutamente oggetto nel Paese in cui è stata fondata, in Belgio, di attacchi giornalistici e perfino governativi che hanno cercato di squalificarla come «setta» (cfr. Introvigne 1997).
d. Il sacerdote, primo educatore, e i suoi problemi
«Così come è l’Eucarestia che fa la Chiesa, il sacerdozio è centrale per la vita della Chiesa» (Benedetto XVI 2010c). Il beato Newman, così attento al ruolo dei laici, aveva piena coscienza del fatto che nella Chiesa nessuna educazione è possibile se viene meno il ruolo del sacerdo
te come primo educatore – insieme ai genitori per i figli – alla fede. Il nuovo beato s’inserisce in una lunga tradizione di santi sacerdoti britannici, fra i quali il Papa ricorda «l’esempio di dedizione, di generosità e di coraggio di San John Ogilvie [S.J. 1579-1615]» (Benedetto XVI 2010c), martire sventrato e impiccato nel 1615 a Glasgow per il suo rifiuto di tornare al calvinismo, in cui era nato ma da cui si era separato nel 1596 per diventare cattolico, poi gesuita e sacerdote.
Una sana vita sacerdotale, insegnava il beato Newman, trova il suo centro nell’Eucarestia, per cui molti martiri inglesi dopo la separazione della Comunione Anglicana da Roma hanno dato la vita. «La realtà del sacrificio Eucaristico è sempre stata al cuore della fede cattolica; messa in discussione nel sedicesimo secolo, essa venne solennemente riaffermata al Concilio di Trento, nel contesto della nostra giustificazione in Cristo. Qui in Inghilterra, come sappiamo, molti difesero strenuamente la Messa, sovente a caro prezzo, dando vita a quella devozione alla Santissima Eucaristia che è stata una caratteristica del cattolicesimo in queste terre» (Benedetto XVI 2010m). In tema di Eucarestia, Benedetto XVI menziona «l’imminente pubblicazione della nuova traduzione [inglese] del Messale Romano» (Benedetto XVI 2010t), che ha comportato a fronte di varie critiche una «revisione» (ibid.) di diversi testi. Il Papa invita i vescovi britannici a «cogliere l’occasione che questa nuova traduzione offre, per una approfondita catechesi sull’Eucaristia e per una rinnovata devozione nei modi in cui essa viene celebrata» (ibid.).
Il beato Newman aveva piena coscienza del fatto che i sacerdoti non sono angeli ma uomini, non esenti dai peccati e dai problemi comuni. «Il calore e l’umanità che sottostanno al suo apprezzamento del ministero pastorale vengono magnificamente espressi da un altro dei suoi famosi discorsi: “Se gli angeli fossero stati i vostri sacerdoti, cari fratelli, non avrebbero potuto partecipare alle vostre sofferenze, né compatirvi, né aver compassione per voi, né provare tenerezza nei vostri confronti e trovare motivi per giustificarvi, come possiamo noi; non avrebbero potuto essere modelli e guide per voi, ed avervi condotto dal vostro uomo vecchio a vita nuova, come lo possono quanti vengono dal vostro stesso ambiente (“Men, not Angels: the Priests of the Gospel”, Discourses to mixed congregations, 3)» (Benedetto XVI 2010r). Scrive ancora «il beato John Henry Newman: “Che Dio ci doni dei sacerdoti che sappiano sentire la propria debolezza di peccatori, e che il popolo li sappia compatire ed amare e pregare per la loro crescita in ogni buon dono di grazia” (Sermon, 22 marzo 1829). 191)» (Benedetto XVI 2010t).
Se l’umana debolezza dei sacerdoti è di ogni epoca, oggi un problema «che mina seriamente la credibilità morale dei responsabili della Chiesa è il vergognoso abuso di ragazzi e di giovani da parte di sacerdoti e di religiosi» (Benedetto XVI 2010t). Il Papa confida «che queste rivelazioni sono state per me uno choc. Sono una grande tristezza, è difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale sia stata possibile. Il sacerdote, nel momento dell’ordinazione, preparato per anni a questo momento, dice sì a Cristo per farsi la sua voce, la sua bocca, la sua mano e servirlo con tutta l’esistenza perché il Buon Pastore, che ama e aiuta e guida alla verità, sia presente nel mondo. Come un uomo che ha fatto e detto questo possa poi cadere in questa perversione, è difficile capire; è una grande tristezza, tristezza anche che l’autorità della Chiesa non sia stata sufficientemente vigilante e non sufficientemente veloce, decisa, nel prendere le misure necessarie. Per tutto questo siamo in un momento di penitenza, di umiltà e di rinnovata sincerità, come ho scritto ai Vescovi irlandesi [nella Lettera ai cattolici dell’Irlanda, del 19-3-2010]. Mi sembra che dobbiamo adesso realizzare proprio un tempo di penitenza, un tempo di umiltà, e rinnovare e reimparare un’assoluta sincerità» (Benedetto XVI 2010a).
Senza che si possa ridurre il viaggio in Gran Bretagna – come ha detto il Papa nella successiva udienza generale di mercoledì 22 settembre 2010, «scopo principale della visita era quello di proclamare beato il Cardinale John Henry Newman» (Benedetto XVI, 2010v), così che «in effetti, la cerimonia di beatificazione ha rappresentato il momento preminente del viaggio apostolico» (ibid.) – alla questione dei preti pedofili, che ha invece dominato certe cronache giornalistiche a scapito di ogni altro tema, è vero che – nel contesto della descrizione di una crisi educativa che è anche crisi del sacerdozio – Benedetto XVI non ha mancato di proporre qualche riflessione sul doloroso argomento. Non si è limitato a esprimere dolore e vergogna, ma ha tracciato un programma di azione. «Tre cose – ha detto – sono importanti. Primo interesse sono le vittime, come possiamo riparare, che cosa possiamo fare per aiutare queste persone a superare questo trauma, a ritrovare la vita, a ritrovare anche la fiducia nel messaggio di Cristo. Cura, impegno per le vittime è la prima priorità con aiuti materiali, psicologici, spirituali. Secondo, è il problema delle persone colpevoli: la giusta pena, escluderli da ogni possibilità di accesso ai giovani, perché sappiamo che questa è una malattia e la libera volontà non funziona dove c’è questa malattia; quindi dobbiamo proteggere queste persone contro se stesse, e trovare il modo di aiutarle e di proteggerle contro se stesse ed escluderle da ogni accesso ai giovani. E il terzo punto è la prevenzione nella educazione e nella scelta dei candidati al sacerdozio. Essere così attenti che secondo le possibilità umane si escludano futuri casi» (Benedetto XVI 2010a).
Al di là dell’indagine sulle cause e della messa in opera di possibili rimedi (su cui cfr. Introvigne 2010b) il Papa riporta il problema alla sua dimensione spirituale. Qui, anche nel fondo più buio di una crisi particolarmente vergognosa, nell’esprimere sentimenti di «profondo dolore alle vittime innocenti di questi inqualificabili crimini» (Benedetto XVI 2010d), il Papa non perde «la speranza che il potere della grazia di Cristo, il suo sacrificio di riconciliazione, porterà profonda guarigione e pace alle loro vite. Riconosco anche, con voi, la vergogna e l’umiliazione che tutti abbiamo sofferto a causa di questi peccati; vi invito a offrirle al Signore con la fiducia che questo castigo contribuirà alla guarigione delle vittime, alla purificazione della Chiesa ed al rinnovamento del suo secolare compito di formazione e cura dei giovani» (Benedetto XVI 2010m). Al fondo di ogni crisi morale – insegna il beato Newman – c’è sempre una crisi educativa. Per superare le crisi, occorre ripartire da un’educazione integrale che sia insieme educazione alla santità e alla preghiera.
Riferimenti
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