Un’anglicana bussa alle porte di Roma

Deborah Gyapong analizza il viaggio di Benedetto XVI nel Regno Unito

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di Serena Sartini

OTTAWA, venerdì, 17 settembre 2010 (ZENIT.org).- Alla vigilia della visita del Papa nel Regno Unito, ZENIT ha potuto intervistare a lungo Debora Gyapong (http://deborahgyapong.blogspot.com), membro della Comunione anglicana tradizionale (TAC), una realtà che ha chiesto la piena comunione con la Chiesa cattolica.

Deborah Gyapong scrive in materia di religione e politica principalmente per i quotidiani cattolici ed evangelici, e in particolare per il Canadian Catholic News. Nel 2005, il suo romanzo The Defilers ha vinto il premio Best New Canadian Christian Fiction Award.

Come valuta la visita di Benedetto XVI in Inghilterra? Sotto il profilo ecumenico, che significato può avere?

Gyapong: Quando nell’ottobre 2009 è stata annunciata la Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, alcuni l’hanno considerata come una sorta di “scippo” e come un tentativo di “mettere i carri armati sul prato” dell’Arcivescovo di Canterbury. Ma, come è stato ribadito dal Papa e da altri membri della Curia romana, l’offerta rappresenta una risposta alle ripetute richieste, non solo nostre, ma anche di altri gruppi anglicani come Forward in Faith e altri, tra cui molti individui.

La Anglicanorum coetibus non si riferisce solo a noi che siamo nella TAC, ma anche ad altri gruppi di anglicani, e i previsti Ordinariati Personali per gli anglicani potrebbero essere un modo per ridare unità a tutti quegli anglicani che iniziano a sentire l’esigenza di porsi sotto il Ministero di Pietro e che tuttavia desiderano mantenere la bella liturgia anglicana e altri aspetti del nostro patrimonio.

Ma la Costituzione apostolica non ha lo scopo di incidere sui continui rapporti ecumenici con la Chiesa anglicana di Canterbury, che rappresenta milioni di persone nel mondo. La Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana hanno ancora molti progetti comuni, soprattutto nell’ambito dell’aiuto ai poveri. Questi continueranno, così come continueranno le buone relazioni che si sono stabilite nel corso degli anni.

Molti media britannici hanno criticato la visita del Papa nel Regno Unito e si preannunciano manifestazioni. Lei è preoccupata? Cosa ne pensa?

Gyapong: Non sono affatto preoccupata delle critiche dei media britannici circa la visita del Papa nel Regno Unito. Anzi, le considero positivamente: come un segnale che la visita del Santo Padre sarà una potente opera di Dio. Ho già assistito in passato a questo modo di fare.

Prima della Giornata mondiale della gioventù del 2002 a Toronto vi era stato un costante rullio di tamburi da parte dei media: che i giovani non avrebbero aderito, che il Papa è vecchio e lontano, e ogni altra cosa che poteva essere gettata addosso a Giovanni Paolo II e alla Chiesa. Ma quando il Papa ha messo piede sul suolo canadese, i media si sono sorpresi dell’impatto che questo uomo anziano e fragile suscitava non solo sulle centinaia di migliaia di giovani venuti da ogni luogo per ascoltarlo ma anche sugli stessi giornalisti. Mi è stato detto che alcuni membri dei media erano in lacrime e commossi dalla presenza di quel santo uomo. Quando poi è arrivato il momento degli eventi, i media avevano cambiato tono e i servizi giornalistici sulla GMG 2002 sono stati meravigliosi, rispettosi e hanno rappresentato una straordinaria opportunità di Nuova evangelizzazione attraverso i media non religiosi.

Lo stesso schema si è verificato prima della GMG di Colonia, la prima Giornata mondiale per Papa Benedetto XVI, che tutti prevedevano come un grande flop, ritenendo che il nuovo Papa mancasse del carisma di Giovanni Paolo II. Come sappiamo è stato tutt’altro che un flop! È stato un grande successo. La stessa cosa è avvenuta a Sydney.

Anche per la visita del Papa negli Stati Uniti vi erano stati servizi giornalistici negativi, compresa la riapertura delle ferite relative agli scandali degli abusi sessuali dei preti e ad altri problemi. Alla fine è stata invece una visita straordinaria, con gente che ha attraversato il Paese per poterlo vedere passare nella sua papamobile sulla Quinta strada o in altri raduni pubblici. L’esito è stato straordinario.

Non conosco bene il contesto britannico, ma credo che vi sarà maggiore curiosità e una disponibilità a rendere omaggio a questo grande e santo uomo, Papa Benedetto XVI, questo teologo che è rispettato dai cristiani di tutte le confessioni.

Quali sono le sue previsioni per l’incontro del Papa con l’arcivescovo Rowan Williams?

Gyapong: Sono sicura che l’incontro con l’arcivescovo Rowan Williams andrà molto bene. L’arcivescovo di Canterbury è un teologo rispettato e, per quanto ne so, un uomo di preghiera. È stato un periodo molto difficile per la Comunione anglicana, dovuto alla divisione tra le correnti più progressiste, altri gruppi più evangelici protestanti e altri più anglo-cattolici. Nel passato gli incontri sono stati cordiali e confido che i prossimi saranno altrettanto sereni.

Da anni avete chiesto al Papa la piena comunione con Roma. Come mai? Quali sono i tempi? Che risposte avete avuto?

Gyapong: Quando è stata fondata la Comunione anglicana tradizionale (Traditional Anglican Communion – TAC), nel 1990, con il radunarsi delle diverse chiese del movimento “Continuing Anglican” sparse nel mondo, una parte della sua missione era proprio quella dell’unità dei cristiani.

La parola “continuing” si riferisce a quegli anglicani che hanno ritenuto di non poter rimanere nella Comunione anglicana di Canterbury dopo che alcuni sinodi anglicani avevano iniziato ad approvare le ordinazioni delle donne risalenti alla fine degli anni Settanta. La considerazione era che in una religione rivelata non si possono cambiare i sacramenti voluti da Dio, come l’Ordine sacro, attraverso meccanismi democratici, o consentire alle ultime scoperte o tendenze della scienza di violare le Scritture e la Tradizione.

I Continuing Anglicans, tuttavia, senza il Ministero del Papa, sono diventati una sorta ti “Alphabet soup” (zuppa di lettere) di acronimi di chiese divise tra loro, talvolta per conflitti personali, altre volte per un diverso intendimento di cosa significhi essere anglicano.

La TAC è l’unico gruppo di Continuing Anglicans che si è reso conto che il Ministero del Papa, il Ministero di Pietro, è essenziale, non solo come segno dell’unità dei cristiani, ma come una necessità di avere un’autorità giuridica che assicuri che la fede, come ci è stata tramandata dai testimoni oculari della vita di Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, rimanga intatta da generazione in generazione. Alcuni dei vescovi membri della TAC desideravano l’unità dei cristiani sin da quando erano ancora nella Comunione anglicana di Canterbury.

Il vescovo Robert Mercer, in pensione nel Regno Unito, ha partecipato al dialogo dell’ARCIC (Anglican – Roman Catholic International Commission) negli anni Ottanta, quando era Vescovo di Matabeleland, nello Zimbabwe. Ma il desiderio di unità risale ancora più indietro. Sin dagli anni Sessanta vi erano grandi speranze, sotto Papa Paolo VI e l’Arcivescovo di Canterbury Michael Ramsay, di poter ricucire lo strappo, cosicché le “Chiese sorelle” potessero essere “unite ma non assorbite”.

Ma per Mercer questa speranza è stata spazzata via quando la Chiesa anglicana ha iniziato a deviare rispetto a ciò che aveva in comune con la Chiesa cattolica e con quella ortodossa. Egli ha abbandonato la Chiesa anglicana ed è poi diventato vescovo della Chiesa cattolica anglicana del Canada, che fa parte della TAC.

Ufficialmente, anche se solo per la TAC, i primi dialoghi informali sull’unità si sono svolti nei primi anni Novanta. L’allora Primate, l’arcivescovo Louis Falk era presente, con l’attuale Primate, l’arcivescovo Hepworth, allora sacerdote anglicano con funzioni di esperto o co
nsigliere. L’esito sostanzialmente è stato questo: continuare a crescere, non creare troppi nuovi Vescovi, e continuare a coltivare buoni rapporti con la Chiesa cattolica romana locale. I dialoghi informali avevano sostanzialmente lo scopo di ottenere consigli su come meglio procedere.

La TAC ha continuato a crescere e a fare ciò che gli era stato chiesto, e poi ha cercato consiglio su come fare per presentare una richiesta formale. L’Arcivescovo Hepworth ha girato il mondo visitando i diversi sinodi della TAC per assicurarsi di avere l’avallo dei Vescovi, dei chierici e dei laici, prima di presentare la richiesta formale. È stata indirizzata anche una lettera al Papa per chiedere consiglio su come fare. Il Santo Padre ha risposto dicendo che la richiesta formale doveva essere indirizzata alla Congregazione per la dottrina della fede. Nell’ottobre del 2007 la Conferenza dei vescovi della TAC si è incontrata a Portsmouth, in Inghilterra, e ha inoltrato la richiesta formale di entrare in comunione con la Sede di Pietro.

Credete in ciò che dice il Catechismo della Chiesa cattolica? Cosa è per voi l’Eucaristia?

Gyapong: I nostri Vescovi hanno firmato il Catechismo della Chiesa cattolica, il 5 ottobre 2007, sull’altare della chiesa di Sant’Agata a Portsmouth, in Inghilterra. In questo gesto hanno dichiarato: “Accettiamo che la più completa e autentica espressione e applicazione della fede cattolica, in questo momento storico, si trova nel Catechismo della Chiesa cattolica e nel suo Compendio, che abbiamo sottoscritto insieme a questa lettera, come attestazione della fede che aspiriamo ad insegnare e a mantenere”.

Come persona laica, come giornalista e non teologa, non pretendo di conoscere tutto ciò che è nel Catechismo, né di comprendere tutto ciò che insegna. Ma sono arrivata alla conclusione che non posso continuare ad essere un piccolo papa di me stessa, scegliendo e decidendo da me quali elementi di dottrina accogliere e quali rifiutare. Gran parte della mia formazione nella fede, l’ho vissuta da adulta, come evangelica protestante, e gradualmente ho capito che invece di comprendere prima di credere era meglio seguire il consiglio di Sant’Anselmo che dice “credo per comprendere”.

Quindi scelgo di mettermi sotto l’autorità del Magistero della Chiesa cattolica in base a ciò che credo. Avere una fede apostolica è fondamentale per trovare la libertà in Cristo e la libertà di vivere come dovremmo vivere.

Non essendo teologa non posso spigare il mistero dell’Eucaristia, ma posso credere che Gesù è pienamente presente – corpo, mente, anima e divinità – nel Santissimo Sacramento e che Lui ci nutre e ci purifica e ci manda, uniti a Lui, per essere le Sue mani, i Suoi piedi, la Sua voce, per proclamare il Suo amore e la Buona Novella della salvezza ad un mondo in rovina.

Con la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus è possibile avvicinare alcune comunità anglicane a Roma. Cosa ne pensa?

Gyapong: Credo che, inizialmente, il numero degli anglicani che si uniranno agli ordinariati sembrerà piuttosto esiguo, secondo gli standard globali. La TAC, rispetto alla Comunione anglicana, è piuttosto piccola. Molte delle persone di Forward in Faith, che è piuttosto numerosa nel Regno Unito, ma meno negli Stati Uniti, in Australia e altrove, dovrebbero lasciare stipendi sicuri, tradizioni musicali, palazzi bellissimi e i laici per i quali sentono una responsabilità pastorale, se decidessero di andare via.

Esiste un grande ostacolo: “l’ignoto”, il dover “prendere il largo”, come si dice. Molti anglicani si trovano oggi in un difficile processo di discernimento. Alcuni adottano l’atteggiamento del “wait and see” (aspettiamo e vediamo) per verificare se saranno veramente in grado di mantenere la loro identità anglicana pur diventando membri a pieno titolo della Chiesa cattolica romana.

Ma io credo che i primi Ordinariati saranno come i semi di senape che germoglieranno, cresceranno e diventeranno sempre più attraenti, non solo per gli anglicani, ma per tutti i cristiani che ritengono che una bella liturgia, vissuta con partecipazione, aiuti l’intera congregazione ad entrare nel mistero del Sacrificio unico di Gesù Cristo.

Gli Ordinariati faranno parte del rinnovamento liturgico auspicato dal Santo Padre, ma la bella liturgia si sposerà anche con l’abbraccio accorato della fede cattolica, con l’insegnamento del catechismo da parte di preti e vescovi che credono in ciò che dice, senza dover incrociare le dita dietro la schiena o ridurre il mondo soprannaturale di Dio a una metafora.

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ZENIT Staff

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