Critiche e difese riguardo la codificazione di Pio XII

di padre Hani Bakhoum Kiroulos

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ROMA, giovedì, 9 settembre 2010 (ZENIT.org).- La codificazione canonica di Pio XII per le Chiese Orientali è stata molto criticata da vari autori. La critica principale è che la cosiddetta codificazione è stata presa letteralmente dal Codice Latino del 1917[1]. Nonostante che, il Papa affermava che “è assolutamente necessario togliere ogni ombra di latinizzazione…”[2] nel processo di codificazione del codice per le Chiese Orientali, “nella prima adunanza dei delegati orientali fu discusso e deciso, con voto unanime, di seguire come guida il CIC nella preparazione del CICO”[3]. Con questo metodo si potrebbe considerare tale codificazione come un tentativo di latinizzare il codice orientale[4].

Secondo Padre Ivan Žužek seguire il codice del 1917 come modello del nuovo codice orientale è stato un grande errore. Egli afferma: che sono stati trascurati i Sacri Canoni Orientali, i quali non sono stati presi come base per il nuovo Codice[5].

Il Padre Wuyts sin dall’inizio del suo articolo menziona che:

“Una prima lettura del nuovo Motu Proprio sul diritto delle persone nella Chiesa orientale può forse lasciare l’impressione che, la Santa Sede, nella sua codificazione orientale, abbia voluto fare piuttosto un lavoro di adattamento del Codice latino alle necessità delle comunità cattoliche d’oriente.

Infatti, lo schema del Motu Proprio Cleri Sanctitati segue esattamente quello del Codice latino, introducendovi, al posto conveniente, le istituzioni tipicamente orientali come quella del Patriarca, dell’Arcivescovo, di vari sinodi ed altre”[6].

La critica arriva fino al punto che Rohban nel suo articolo, sulla codificazione del diritto canonico orientale, afferma che i primi canoni del Motu Proprio Cleri Sanctitati e in modo particolare il primo canone assomiglia di più ad una “orazione funebre all’orientale”, che ad un testo giuridico[7].

Da notare che il Motu Proprio Cleri Sanctitati non è stato l’unico che ha seguito esattamente il Codice latino. Gli altri Motu Proprio anche essi hanno seguito il medesimo. Padre Gallagher, nel suo articolo, afferma che: “la maggioranza dei canoni nei Motu Proprio semplicemente riproducono – spesso letteralmente – i canoni del Codice Latino”[8].

Da una parte, il fatto di seguire il Codice Latino del 1917, è stato molto criticato e considerato come un modo per latinizzare il Codice Canonico Orientale.

Dll’altra parte, però, bisogna affrontare il vero problema, come afferma Toynbee[9]. Il problema secondo il medesimo autore non è tanto la distinzione tra ciò che appartiene alla Chiesa Latina e ciò che appartiene alle Chiese Orientali, ma è la distinzione tra ciò che appartiene al Cristianesimo e quello che appartiene invece alla “eruzione affine, insolitamente violenta – e generalmente nota sotto il nome di Rinascimento”[10]. Egli afferma che il vero problema non è tanto la latinizzazione degli orientali, ma il processo di universale occidentalizzazione tramite una mentalità laicista e l’idealismo giuridico, che non appartiene a nessuna delle tradizioni sia orientale che occidentale. È da ciò “che gli orientali devono guardarsi”[11].

Infatti Bucci, seguendo tale pensiero, afferma che “La latinizzazione non deve essere un pericolo da evitare, ma un rischio da accettare nella misura in cui saprà discernere, nel confronto e all’interno della legislazione latina, ciò che veramente è latino e ciò che tale non è, ma solo influsso di dottrine ad essa esterne,…l’esperienza giuridica latina serve alle Chiese Cattoliche Orientali, così come la tradizione giuridica di queste serve alla prima: per unificarsi nell’unica esperienza giuridica della Sede di Pietro”[12].

Inoltre, le varie Commissioni per la Revisione del Diritto Canonico Orientale, hanno avuto una difficoltà seria per la raccolta delle Fonti del Diritto Canonico Orientale. Tale difficoltà nasceva da “la mancanza totale di dati e materiali precedenti. … I dati materiali sono stati recuperati parallelamente al lavoro di redazione”[13]. È ovvio che finché non si fosse ottenuta una conoscenza precisa di tali Fonti, “non si sarebbe potuta realizzare una codificazione ragionata e seria per gli Orientali”[14].

La sfida, dunque secondo il mio parere, non è combattere la latinizzazione, ma recuperare la tradizione giuridica originaria della Chiesa. Tale sfida ha spinto molti Padri Orientali e Occidentali, nel Concilio Vaticano II, ad affrontare una tale problematica e a proporre nuovi schemi per una codificazione.

 

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[1] Cfr. J. CHIRAMEL, The Patriarchal Churches in The Oriental Canon Law, 137 e O. BUCCI, Il Codice di Diritto Canonico Orientale nella Storia, 409- 410.

[2] Cfr. D. FALTIN, La Codificazione del Diritto Canonico Orientale, 128.

[3]  Cfr. Idem., 129.

[4] Cfr. J. CHIRAMEL, The Patriarchal Churches in The Oriental Canon Law, 137.

<p> [5] Cfr. I. ŽUŽEK, The Ancient Oriental Sources of Canon Law and The Modern Legislation for Oriental Catholics, in Kanon I (1973), 148.

[6] Idem. 175.

[7] “Le style des six premiers canons du MP (CS), surtout le tout premier canon, ressemble, plus à celui d’une oraison funèbre – à l’orientale! – qu’à un texte juridique” L. ROHBAN, Codification du Droit Canonique Oriental, note 31, 258.

[8] “In fact, most of the canons in the motu proprio simply reproduce – frequently verbatim – the canons of the Latin code”. C. GALLAGHER, The Revised Code of Eastern Canon Law and The Second Vatican Council, in Seminarium, 3, 225. La traduzione è fatta dallo studente.

[9] Cfr. A. J. TOYNBEE, La Nostra Tradizione Giuridica Greco –Romana e Tradizione Giuridica Della Chiesa, in Aquinas, 19 (1976), 386- 410 e A. J. TOYNBEE, Il Mondo Ellenico, Torino, 1976, 225- 229.

[10] Idem. 229.

[11] O. BUCCI, Il Codice di Diritto Canonico Orientale nella Storia della Chiesa, 426.

[12] Idem. 427.

[13] Idem. 445.

[14] Idem.

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ZENIT Staff

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