di Giovanni Marseguerra*


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 27 novembre 2008 (ZENIT.org).- La crisi finanziaria che sta colpendo in modo sempre più violento i Paesi industrializzati e i cui effetti, sommandosi a quelli di una delle più gravi recessioni globali dell’ultimo secolo, cominciano ad avvertirsi in maniera pesante su famiglie e imprese, ha radici lontane, certamente molto più lontane dell’agosto 2007 che è la data simbolo in cui è esplosa la crisi dei mutui subprime americani.

L’impressionante escalation che si è avuta a partire dal settembre 2008, con crolli ripetuti e sostenuti dei mercati borsistici di tutto il mondo, sta mostrando in modo sempre più evidente come lo straordinario cambiamento avvenuto nei Paesi emergenti abbia modificato profondamente la natura delle relazioni economiche tra i Paesi ricchi e il resto del mondo. Stiamo assistendo al fallimento di un intero modello di sviluppo fondato, da un lato, su un eccesso di consumo a debito e, dall’altro, su un massiccio utilizzo della finanza e dei suoi sofisticati strumenti, il tutto a scapito della demografia e dell’economia reale.

E’ probabilmente ancora troppo presto per trarre delle conclusioni definitive su una crisi di cui ancora non si vede la fine ma quello che certamente si può dire sin da ora è che il risultato più negativo di quanto è successo è costituito da una perdita generalizzata di fiducia verso il sistema creditizio: la sfiducia non solo è diffusa all’interno del sistema bancario ma anche tra le banche e i risparmiatori, tra le banche e le imprese, e via discorrendo.

E’ allora importante domandarsi da dove nasca questa crisi di fiducia e quali rimedi possano essere messi in atto per ripristinarla. La fiducia è un collante essenziale della vita sociale ed è oggi venuta meno essenzialmente per colpa di comportamenti che, nel migliore dei casi, possiamo definire eticamente discutibili ma che molto spesso sono stati scorretti al limite della fraudolenza. Ad un corretto rapporto tra etica ed economia si è sostituita un’etica degli affari pensata solo per permettere a pochi di trarre profitto dalla buona fede di molti.

Chi opera nel settore finanziario dovrebbe avere una coscienza etica profonda e tenere un comportamento responsabile, ricordandosi che è la finanza che deve servire l’uomo e non viceversa. Questa coscienza negli ultimi dieci-quindici anni è venuta a mancare in modo marcato e il risultato complessivo è stato il prevalere dell’egoismo personale sul bene comune.

Il ripristino dell’etica della correttezza e della responsabilità è quindi la prima essenziale riforma per riconquistare la fiducia dei risparmiatori. E’ necessaria poi una riforma che serva a ridefinire le regole dell’economia e soprattutto della finanza internazionale. Abbiamo bisogno di regole nuove ed efficaci perché solamente all’interno di una cornice regolamentare e normativa appropriata un mercato può funzionare.

Sotto questo profilo, la crisi ha rivelato come il sistema di vigilanza americana, suddiviso tra diverse autorità non sempre coordinate tra loro, abbia mancato completamente ai suoi compiti istituzionali, mostrando limiti di una gravità inaspettata. Per non parlare poi delle gravissime responsabilità delle agenzie di rating, che hanno superficialmente certificato la solidità di bilanci che sani non erano affatto. Per ripristinare la fiducia servono dunque, in sintesi, regole efficaci e soprattutto comportamenti eticamente ispirati.

In riferimento poi più specificamente al nostro Paese, risulta sempre più chiaro che se gli effetti, almeno della crisi finanziaria, non sono stati da noi sinora così dirompenti come altrove, questo è dovuto essenzialmente ala nostra capacità di valorizzare e far crescere nel tempo un’economia locale, a vocazione globale ma fortemente basata sul territorio e sulla comunità.

Avremo tempo in successivi interventi di approfondire queste tematiche ma in via di sintesi possiamo dire che alla base del modello di sviluppo industriale italiano vi è un’imprenditorialità competente e capace, basata sui valori forti della famiglia e della responsabilità, resa concreta sul territorio dalla presenza di migliaia di piccole e piccolissime imprese capaci negli ultimi anni di generare straordinari risultati in termini di export complessivo.

Per quanto poi attiene alla finanza, il nostro sistema bancario presenta il vantaggio di fondarsi, oltre che sulla presenza di poche grandi banche nazionali, anche su una rete di piccole-grandi banche, per lo più appartamenti alla rete del credito cooperativo e popolare, fortemente ancorate al territorio, che sono state capaci, a nostro avviso non casualmente, di restare quasi totalmente immune dalla ubriacatura della tecnofinanza anglosassone e, anche in anni difficili, si sono invece caratterizzate, come è nella loro storia e tradizione, per la vicinanza agli operatori ed ai mercati locali e per l’inclinazione ad instaurare relazioni di lungo periodo.

Si tratta di caratteristiche economico-sociali che si stanno rivelando di grande importanza in un momento di crisi ampia e generalizzata perché ogni processo di sviluppo che voglia coniugare crescita e sostenibilità, innovazione e solidarietà, deve avere come necessario ed essenziale punto di partenza la ricchezza e la varietà del capitale umano e sociale disponibile, ovvero competenze e conoscenze ma anche relazioni e legami fiduciari.

Sono ormai questi gli elementi chiave per garantire una crescita equa, bilanciata e sostenibile, e generare così un processo di vero sviluppo. Si tratta di considerazioni che si ritrovano in maniera nitida in molti passi della dottrina sociale cattolica che dimostra così, ancora una volta, la sua straordinaria capacità di precorrere i tempi.

E’ sufficiente per questo rileggere due brani di due recenti Encicliche sociali. Il primo è tratto dalla Centesimus Annus che, a quasi due decenni di distanza dalla sua elaborazione, si dimostra sempre di una singolare attualità e rilevanza: “In effetti, la principale risorsa dell'uomo insieme con la terra è l'uomo stesso. È la sua intelligenza che fa scoprire le potenzialità produttive della terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti.” (Centesimus Annus, n.32).

Il secondo è invece tratto dalla Spe Salvi di Papa Benedetto XVI: “Anche le strutture migliori funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini ad una libera adesione all'ordinamento comunitario. La libertà necessita di una convinzione; una convinzione non esiste da sé, ma deve essere sempre di nuovo riconquistata comunitariamente (Spe Salvi, n.24).

Dunque primato dell’uomo e valorizzazione della comunità come capisaldi su cui costruire lo sviluppo. Sono questi i principi da cui dobbiamo ripartire se vogliamo davvero uscire dalla crisi.

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* Professore straordinario di Economia politica all’Università Cattolica di Milano e Segretario scientifico della Fondazione Vaticana Centesimus Annus - Pro Pontifice.