Caso Eluana: carità o violenza?

Il documento del Movimento di Comunione e Liberazione

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CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 14 novembre 2008 (ZENIT.org).- “Che società è quella che chiama la vita ‘un inferno’ e la morte ‘una liberazione’?”. E’ l’interrogativo con cui si apre il documento sul caso di Eluana Englaro, preparato da Comunione e Liberazione (Cl).

“Dov’è il punto di origine di una ragione impazzita, capace di ribaltare bene e male e, quindi, incapace di dare alle cose il loro vero nome?”, ci si interroga ancora.

In riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Milano, Cl definisce poi “un omicidio” l’annunciata sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione, e afferma che “la cosa è tanto più grave in quanto impedisce l’esercizio della carità, perché c’è chi si è preso cura di lei e continuerebbe a farlo”.

“Nella lunga storia della medicina – prosegue il documento – il suo sviluppo è diventato più fecondo quando, in epoca cristiana, è cominciata l’assistenza proprio agli ‘inguaribili’, che prima venivano espulsi dalla comunità degli uomini ‘sani’, lasciati morire fuori dalle mura della città o eliminati”.

“Chi se ne fosse occupato avrebbe messo a rischio la propria vita – si legge di seguito –. Per questo chi cominciò a prendersi cura degli inguaribili lo fece per una ragione che era più potente della vita stessa: una passione per il destino dell’altro uomo, per il suo valore infinito perché immagine di Dio creatore”.

“Così il caso Eluana – afferma Cl nel documento – ci mette davanti alla prima evidenza che emerge nella nostra vita: non ci facciamo da soli. Siamo voluti da un Altro”.

“Senza questo riconoscimento diventa impossibile abbracciare Eluana e vivere il sacrificio di accompagnarla – si afferma –; anzi, diventa possibile ucciderla e scambiare questo gesto, in buona fede, per amore”.

Alle origini del cristianesimo, ricorda il documento, vi è invece la “passione per l’uomo”: “Cristo ha avuto pietà del nostro niente fino a dare la vita per affermare il valore infinito di ciascuno di noi, qualunque sia la nostra condizione”.

“Capire le ragioni della fatica – conclude il documento, riportando un pensiero del fondatore di Cl, don Luigi Giussani – è la suprema cosa nella vita, perché l’obiezione più grande alla vita è la morte e l’obiezione più grande al vivere è la fatica del vivere; l’obiezione più grande alla gioia sono i sacrifici… Il sacrificio più grande è la morte”.

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ZENIT Staff

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