KÖNIGSTEIN, martedì, 4 novembre 208 (ZENIT.org).- Né il Governo bosniaco né la comunità internazionale interviene per far sì che i rifugiati cattolici possano tornare in Bosnia, ha lamentato il Vescovo di Banja Luka, Franjo Komarica, visitando la sede centrale dell’associazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).
Dal 1992 al 1995, la guerra in Bosnia-Erzegovina ha provocato lo smembramento della Yugoslavia, costando la vita a 243.000 persone e provocando 2 milioni di sfollati a causa della ridistribuzione territoriale.
Il presule ha denunciato che si pretende invece che siano il Vescovo e i sacerdoti a incaricarsi di ristabilire le infrastrutture necessarie ad accogliere i rifugiati, spiega un comunicato inviato da ACS a ZENIT.
“Il Governo ritiene che i cattolici non rientrino nelle sue competenze – osserva il testo -, ma in quelle del Vescovo, al che monsignor Komarica risponde che non è un dovere della Chiesa incaricarsi del fatto che ci siano strade e abitazioni con luce e acqua corrente”.
Monsignor Komarica deplora il fatto che a tredici anni dalla guerra che ha devastato i Balcani solo il 2% dei cattolici fuggiti all’epoca sia tornato nelle proprie case.
“Si ignorano le nostre grida di aiuto, le nostre richieste e proteste – ha dichiarato il Vescovo -. Si calpesta la giustizia!”.
“Perché, ad esempio, si rispettano i diritti umani in Germania, Francia e negli Stati Uniti e non lo si fa in Bosnia?”, ha chiesto.
La Chiesa cattolica, ha ribadito monsignor Komarica, vuole “dare un contributo fecondo al futuro del Paese”. “Per farlo, però, dobbiamo poter vivere qui”, ha constatato.