ANCONA, mercoledì, 21 maggio 2008 (ZENIT.org).- Le differenze culturali e religiose, sociali, economiche e politiche non devono rappresentare un ostacolo al dialogo e alla collaborazione, ha affermato il Cardinale Renato Raffaele Martino questo mercoledì ad Ancona.
Rivolgendosi ai docenti e agli studenti dell’Università Politecnica delle Marche, il porporato, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha ricordato che “la Chiesa riconosce in tutte le culture semi di verità e valori autenticamente umani e umanizzanti e quindi apprezza e favorisce con tutti i suoi mezzi un dialogo fruttuoso con esse per meglio servire il bene integrale di tutti gli uomini”.
“Per la Chiesa – riferisce una nota del dicastero vaticano inviata a ZENIT.– ciò costituisce un dovere e una sfida cui non può rinunciare”.
Allo stesso modo, prosegue, si auspica che “un dialogo si realizzi tra i diversi gruppi sociali, particolarmente quando ci sono divergenze da ricomporre”.
Per questo motivo, il Cardinal Martino ha sottolineato che “il dialogo deve favorire la dignità integrale della persona umana e che la vita sociale è un campo particolarmente propizio per istituire tale dialogo, soprattutto quando le sfide che abbiamo di fronte si manifestano con il volto terrificante della violenza terroristica”.
Ciò non è tuttavia sufficiente: dal dialogo si deve passare infatti alla cooperazione, “lo strumento di cui dispongono le relazioni internazionali per garantire una solidale comprensione e concreta unità d’azione tra gli Stati, le organizzazioni interstatali e gli enti non governativi”.
Per raggiungere questo risultato, constata il porporato, è necessario colmare il divario provocato dai diversi gradi di sviluppo, sia a livello economico sia sul piano della forza politica e della capacità degli Stati di partecipare alle relazioni internazionali da protagonisti.
Il Cardinal Martino, ricorda il comunicato, ha anche insistito sul fatto che “la collaborazione allo sviluppo di tutto l’uomo e di ogni uomo è un dovere di tutti verso tutti e va realizzata in ogni parte del mondo altrimenti non può avvenire che a spese delle altre”.
Va quindi “concepita in senso integralmente umano, cioè non limitarsi ai contenuti economici ma abbracciare anche la dimensione spirituale, con rispetto di tutti i diritti fondamentali della persona e tra questi, in particolare, quelli inerenti alla coscienza umana”.
La cooperazione internazionale, pensata come “seme di pace”, per il porporato “non si può ridurre all’aiuto e all’assistenza, addirittura mirando ai vantaggi di ritorno per le risorse messe a disposizione”.
Al contrario, conclude il testo, “deve esprimere un impegno concreto e tangibile di solidarietà, tale da rendere i poveri protagonisti del loro sviluppo e consentire al maggior numero di persone di esplicare, nelle concrete circostanze in cui vivono, la creatività tipica dell’essere umano, da cui dipende la vera ricchezza delle Nazioni”.