ROMA, giovedì, 15 maggio 2008 (ZENIT.org).- Per la rubrica Dottrina Sociale e Bene Comune, pubblichiamo un articolo di analisi di Giuseppe Bertoni, Direttore dell’Istituto di Zootecnica alla Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

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Ascoltando “Zapping” di oggi, 14 maggio, ho avuto la conferma che i luoghi comuni sono duri a morire. Il giornalista-direttore Lanfranco Vaccari ha sostenuto appunto che gli agricoltori italiani (ed europei) sono poco efficienti, ricevono sostegni immeritati che, oltre a gravare in modo inopportuno sul bilancio UE, danneggiano i paesi meno sviluppati e contribuiscono all’aumento dei prezzi e quindi degli affamati.

Per me non è una novità, l’ho letto sul Nuovo Giornale di Piacenza (2 maggio 2008), l’ha ripetuto Padre Lombardi il 4 maggio nell’editoriale di “Octava Dies”; in precedenza ne aveva scritto, su L'Osservatore Romano del 28 aprile la prof.ssa Simona Beretta. Purtroppo la diagnosi – seppur parziale – è sempre la stessa: il sostegno all’agricoltura nei paesi ricchi porta a rendere non economica la produzione in quelli poveri. Ora poi, l’elevato consumo di cereali per fare più carne (Cina e India) o biocombustibili (Brasile, Europa, USA), ha portato alla loro ridotta disponibilità ed a prezzi “impazziti”.

Pur senza negare un fondo di verità in quanto sopra, credo che la realtà vera sia un po’ più complessa. Bisogna infatti considerare che:

-- l’agricoltura è strategica per “mille” motivi e lo sanno bene i paesi forti, dunque va intelligentemente protetta (un solo esempio: fra il 1960 e il 1997, i prezzi agricoli indicizzati sono scesi da 108 a 49; ad avvantaggiarsene sono stati i consumatori europei, non certo i contadini sopravvissuti solo grazie ai sussidi);

-- nel 1998 la FAO prevedeva che, entro il 2020, vi sarebbe stato un raddoppio di carne e latte consumati nei paesi emergenti (lo richiede anche la lotta alla malnutrizione). Pertanto, nel medesimo periodo, sarebbe stato necessario un aumento del 48% della produzione di cereali. Poiché l’aumento di un 2% l’anno non c’è mai stato, le scorte mondiali di cereali sono scese da 55 a 33 giorni di sopravvivenza (ideale 65 giorni), così innescando i processi speculativi che ovviamente prosperano in condizioni di scarsità (i biocombustibili ne sono stati il detonatore e nulla più);

-- dunque il reale punto su cui interrogarsi è, perchè non si è aumentata la produzione? I motivi sono pure “mille”: da quanti affermavano che – poichè si naviga negli eccessi – tanto vale diffondere l’agricoltura biologica e bloccare gli OGM, all’Europa che ha disaccoppiato i sussidi per cui non serve produrre per essere aiutati. Tuttavia, la cosa più preoccupante è che i paesi veramente “poveri” non sono in grado di produrre adeguatamente, perché mancano in essi le condizioni per farlo (non solo perché i prezzi internazionali sono bassi). Nonostante ciò, quasi nessuno va realmente alla radice del problema che è quello di rilanciare lo sviluppo.

Il vero problema è il sottosviluppo. Padre Giulio Albanese, scrivendo dell’Etiopia domenica 11 maggio (Avvenire p. 3) ha indicato alcune cause del problema: mancanza di servizi ed infrastrutture, disboscamento per bruciare (uso domestico), incapacità di gestire l’acqua e successivamente i prodotti raccolti, conservandoli e distribuendoli correttamente ecc.. Ma chi si preoccupa di questo ed in particolare della indispensabile formazione scolastica di base senza la quale nulla di serio e duraturo si può costruire?

Già Padre Albanese il 13 maggio (Avvenire, p. 2) fa una parziale “retromarcia” e torna a parlare dell’ “agrobusiness” e delle multinazionali all’origine di tutti i mali. Per carità, avranno mille colpe, ma l’Africa ed il Sud America poveri si salvano con una seria promozione autogestita delle loro economie (sia pure con il supporto esterno), non serve a nulla ripetere sino alla nausea che la loro povertà si deve alle multinazionali ed ai sussidi all’agricoltura dei paesi ricchi (questi andranno sicuramente gestiti meglio, ma non facciamone l’eterno alibi).

Ed ecco finalmente “un raggio di luce” su L’Osservatore Romano del 14 maggio, un articolo di Ettore Gotti Tedeschi che afferma:

-- discipliniamo meglio le politiche dei dazi agricoli (indubbiamente è vero, ma senza la pretesa di eliminarli);

-- sosteniamo le produzioni agricole con le biotecnologie verdi volte a ridurre acqua, concimi, pesticidi ecc., per aumentarne la disponibilità ed a costi contenuti.

Perfetto, è su questo che si deve aprire la sfida, poiché non basta dire che la terra potrebbe produrre il necessario a sfamare ben più di quanta gente la abita ora, bisogna trovare le soluzioni capaci di rispondere in modo equilibrato a tutte le esigenze; in primo luogo di una produzione sempre in leggero eccesso e tale da “sfamare” uomini ed animali, ma ora anche automobili e qualche industria che necessita di materie prime rinnovabili.

Al tempo stesso preoccupiamoci delle esigenze di sicurezza igienico-sanitaria, della sostenibilità ambientale, ma anche della sostenibilità economica per chi produce e per chi consuma. Indubbiamente, in questa sfida, la tecnologia sarà cruciale, ma con due grossi vincoli: nei paesi ricchi l’ “ignoranza” di ritorno contro la scienza; nei paesi poveri l’ignoranza primaria dovuta all’insufficiente impegno per la formazione scolastica. Queste sono le vere cause della fame nel mondo odierno.