Volere e Volare

di Mario Gargantini*

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ROMA, venerdì, 7 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Il libro “Volere e Volare”, scritto da Carlo Bellieni e Luigi Vittorio Berliri e pubblicato da Cantagalli, è un canto alla vita, all’accoglienza, al rispetto dell’altro ben oltre, anzi in contrapposizione, alla semplice tolleranza.

Un canto a due voci molto diverse come sensibilità, esperienza professionale e anche come forma letteraria, che però trova una efficace unitarietà e incisività nel messaggio, così sintetizzato dai due autori: “una sfida al comodo pensare che la diversità sia da integrare, che la parola magica sia tolleranza, come se il diverso fosse un extraterrestre o un delinquente”.

Berliri offre una serie di testimonianze a partire dai rapporti vissuti con persone affette da varie disabilità o difficoltà di integrazione, inserendo nel testo ricordi personali, scambi epistolari, profili di personaggi e resoconti di situazioni difficili, tutti accomunati da profonda attenzione per la persona e per il mistero che racchiude.

Tutt’altro stile quello di Bellieni, che intreccia due fiction: una che parte dalla Francia medievale al tempo della crociata contro i Catari, l’altra situata nella moderna Irlanda dove, nelle sue ricerche di bioingegneria, una giovane biologa si imbatte in strani indizi che la portano a indagare su un piano di manipolazione globale della popolazione.

Le due storie sono accomunate dal fatto che i due progetti rivoluzionari perseguono lo stesso obiettivo: la selezione di una razza eletta, di uomini puri, perfetti.

Il primo progetto si infrange con lo sterminio dei Catari ma ne resta un’eco concreta che percorre la storia e se ne ritrovano tracce all’inizio dell’Ottocento e su su fino alla follia nazista e all’attività della associazione Thule, creata dal fondatore delle SS e che avrebbe potuto portare alla realizzazione dell’arma invincibile e al trionfo della razza ariana.

Nelle concitate fasi della seconda storia, che si svolge a Dublino, emergono i temi caldi del dibattito attuale sulla vita, portati alle estreme conseguenze grazie alle risorse della tecnoscienza che risolve alla radice il problema dell’eugenetica: un preciso mix di onde elettromagnetiche, tramite un effetto di risonanza, riuscirebbe a corrompere l’ossitocina, l’ormone prodotto dalle doglie del parto e che provoca l’attaccamento tra madre e bambino, arrivando in tal modo a un totale controllo demografico.

Si tratta di un programma meticolosamente preparato e sorretto da un’antropologia negativa – “In fondo l’uomo è una specie di cancro per il pianeta – inquinamento, guerre – e dunque la sua scomparsa non lascerà rimpianti” – e da una cosmologia altrettanto negativa, ben espressa da un’affermazione di uno degli iniziati della setta dei nuovi “uomini buoni”: “Non c’è onore più grande di condurre il mondo alla morte per salvare ciò che è imperituro. Tutto nella creazione è malattia e tutto deve essere purificato svanendo nel fuoco”.

Anche questo progetto però non ha successo. E non tanto per la forza dell’opposizione, quanto per una “falla interna”, che smonta in un modo imprevedibile la presunzione di onnipotenza dei tecnoscienziati: sui “diversi” il sistema anti-procreazione non funziona. Le anomalie genetiche rendono l’organismo inattaccabile dalla nuova peste invisibile: chi non ha un Dna perfetto non ha neppure il bersaglio perfetto su cui le radiazioni letali possono agire.

Così “l’anomalia genetica è diventata un’autodifesa” e ha creato uno zoccolo duro di popolazione “che è indenne alle diavolerie di questi nuovi catari-tecnologici”.

Si riapre quindi la riflessione su cosa sia “normale” e cosa sia “diverso”, e appare con evidenza che la vera questione in gioco nel dibattito sulla tecnoscienza è quella antropologica, prima ancora che quella etica o bioetica.

A quale immagine di uomo e di relazioni tra uomini si rifanno tanti progetti che sembrano rispondere a desideri e aspirazioni “umani”? Un uomo al quale, a differenza dei neo-catari, non debba dispiacere che “qualcosa dentro di noi aiuti a pensare che ci sia un buon motivo per dare la vita”.

* Mario Gargantini è Direttore di Emmeciquadro, quadrimestrale di Scienza, Educazione e Didattica

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ZENIT Staff

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