Ruanda: un genocidio ancora poco conosciuto

A Parigi una mostra rievoca il ventennale della tragedia

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Estate può significare riposo e meditazione, ma è  anche un tempo per rivisitare episodi significativi della storia. È il pensiero dei molti turisti che si recano a Parigi, lontano dagli sfarzi della città, per visitare il Mémorial della Shoah dove, fino al 5 ottobre 2014, è aperta  l’esposizione Rwanda 1994, le génocide des Tutsi, a 20 anni dai tragici episodi.

Una barbarie  che va «oltre la guerra perché l’intenzione dura per sempre, anche se non è coronata dal successo», così affermava la cittadina ruandese  Christine Nyiransabimana, per descrivere i genocidi, definiti secondo l’ONU come  «atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».

Una politica coloniale ed un’ideologia razzista dei paesi occidentali nel XIX secolo,  sono alcune delle profonde radici di un conflitto che, secondo fonti delle Nazioni Unite, ha causato  più di 800.000 morti.

I Tutsi sono considerati dai colonizzatori belgi, una “classe” dominante, fino agli anni della decolonizzazione. Ma negli anni ‘60 il Movimento di liberazione coloniale si instaura nella società ruandese e viene proposto un rifiuto di questa etnia, quale classe privilegiata.

“ Sfruttata ed esaltata, favorita anche dalla delicata situazione regionale, l’idea di un antagonismo su basi etniche, diventa una componente essenziale della società ruandese  che cerca di trasformare, progressivamente, ogni forma di opposizione politica in una discriminazione razziale”, si legge in una nota del Mémorial.

Nel 1993, si era raggiunto faticosamente un accordo che prevedeva la spartizione del potere tra Tutsi e Hutu, ma una frangia estremista Hutu, considerato compromesso il proprio potere acquisito in seguito alla decolonizzazione, ha organizzato lo sterminio dell’etnia rivale.

Il 7 aprile1994 inizia, a Kigali, capitale del Ruanda, una delle stragi  più terribili della storia, a seguito dell’uccisione in un attentato del presidente di etnia Hutu, Juvénal Habyarimana (8 marzo 1937 – 6 aprile 1994). Teatro degli eccidi, oltre al Ruanda, sono stati i paesi confinanti: l’Uganda, il Burundi, il Congo e  la Tanzania.

“Impreparati, disarmati e non numerosi rispetto al nemico, i tutsi hanno provato a difendersi come potevano. Nello stesso tempo alcuni hutu hanno cercato di nascondere, a loro rischio e pericolo , vicini o amici tutsi”, ricorda l’esposizione.

Documenti sonori ed immagini ripropongono la propaganda feroce contro il nemico, anche durante la presidenza Habyarimana. Definita come composta di insetti e scarafaggi, la popolazione Tutsi assumeva, infatti, tratti quasi animaleschi e disumanizzanti, realtà certamente simili a quelle antisemite della Germania nazista degli anni ‘30, che hanno contribuito all’organizzazione sistematica del massacro.

E a vent’anni di distanza da questo genocidio, ancora poco conosciuto, si contano  quasi 20mila bambini nati dalle violenze subite da mezzo milione di donne, durante i cento giorni di pulizia etnica.

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Giorgia Innocenti

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