Regno Unito: un giudice difende la vita di una donna con danni cerebrali

Un teologo mette in guardia contro una “linea arbitraria”

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di Kathleen Naab

LONDRA, lunedì, 3 ottobre 2011 (ZENIT.org).- I familiari di una donna inglese di 52 anni hanno perso una battaglia legale nella quale stavano cercando di ottenere il permesso di porre fine alla vita della parente smettendo di darle cibo e acqua.

La donna, alla quale durante il processo ci si è riferiti come M, ha una coscienza molto ridotta, uno stato ritenuto un passo al di sopra del cosiddetto stato vegetativo persistente. Ha subito dei danni cerebrali a causa di un’encefalite virale otto anni fa.

Il giudice dell’Alta Corte Scott Baker ha dichiarato mercoledì scorso nella sua sentenza che il fattore che ha avuto un “peso sostanziale” nella sua decisione “è la conservazione della vita”.

“Miglior interesse”

Ad ogni modo, la sentenza di 76 pagine del giudice manifesta la base poco solida sulla quale ha preso la sua decisione.

“Nonostante non sia una regola assoluta, la legge considera la conservazione della vita un principio fondamentale”, ha osservato.

“M sperimenta dolore e sconforto, e la sua disabilità limita gravemente ciò che può fare”.

Il giudice dice di aver “considerato tutte le prove” e di aver verificato “che ha alcune esperienze positive e, cosa importante, che c’è una prospettiva ragionevole che queste esperienze possano essere estese con un programma pianificato di maggiore stimolazione”.

“Avendo soppesato tutti i fattori rilevanti, concludo che non è nel miglior interesse di M che l’alimentazione e l’idratazione vengano eliminate”, ha osservato il giudice.

Premessa erronea

E. Christian Brugger, titolare della cattedra di Teologia morale al St. John Vianney Theological Seminary, ha commentato che “delle due direzioni che il giudice avrebbe potuto prendere, ha scelto chiaramente quella migliore”.

“La sua analisi, però, include la premessa erronea che la morte è a volte il ‘miglior interesse’ di un paziente” e che la vita per qualcuno può non essere un beneficio. “Sappiamo che questo è sbagliato”, ha dichiarato Brugger.

Il teologo ha indicato che i tribunali negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno “normalizzato la conclusione legale per cui le persone possono essere a ragione private di cibo e acqua quando hanno subito un’irreversibile perdita di consapevolezza, che M non ha”.

Brugger ha anche avvertito che “se – e questa è la questione fondamentale – la vita di qualcuno può davvero raggiungere il punto di essere ‘non più degna di essere vissuta’, allora la linea arbitraria tracciata finora per la consapevolezza può essere ridisegnata per la ‘minima consapevolezza’”.

“Non è allarmista temere che tra poco le vite come quella di M verranno giudicate di una ‘scarsa qualità’ tale che i tribunali imporranno il blocco totale di nutrizione e idratazione”.

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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