I missionari non sono operatori sociali

Intervista a padre Piero Gheddo

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di Antonio Giuliano

ROMA, venerdì 28 ottobre 2011 (ZENIT.org) – Sono ancora migliaia i nostri connazionali pronti a rischiare la propria pelle per portare il Vangelo nei cinque continenti. Ma i missionari italiani diminuiscono inesorabilmente.

L’ultimo dossier rilanciato in questi giorni dalla fondazione Missio – organismo della Conferenza episcopale italiana – presenta cifre impietose: se negli anni Novanta i nostri missionari (sacerdoti di istituti missionari, preti fidei donum, religiosi, suore e laici) hanno raggiunto la quota record di 20 mila unità, oggi il loro numero è quasi dimezzato, 10 mila appena. Con un’età media che si attesta sui 63 anni. Ne abbiamo parlato con uno dei missionari italiani più noti e di maggiore esperienza: padre Piero Gheddo.

Padre Gheddo, se l’aspettava?

Gheddo: Sì, ma non in questa misura diciamo catastrofica: secondo me il rapporto è fra 16.000 e 12.000, tutto dipende dai criteri che si usano per l’indagine. Avevo studiato i dati di questo fenomeno nel mio libro del 2003 La missione continua (San Paolo). Dipende da una serie di fattori. C’è un calo notevole della natalità in Italia e una evidente crisi vocazionale. Molti vescovi, comprensibilmente, sono restii a far partire i seminaristi perché in molte diocesi il numero dei preti è del tutto insufficiente. E i seminari diocesani sono da sempre il serbatoio delle missioni. Ma il motivo principale è un altro.

Quale?

Gheddo: Dagli anni 70-80, in seguito alla crisi di fede del dopo Concilio e del’68, l’animazione  missionaria non ha più presentato la vera identità di uomini e donne mandati dalla Chiesa ad annunziare Cristo ai popoli del mondo. Gli istituti missionari e religiosi sulla scia della secolarizzazione hanno ridotto il missionario a un operatore sociale. Ormai ci concentriamo solo su campagne e slogan contro la fame del mondo, la vendita delle armi, le multinazionali che sfruttano i popoli, il debito estero dei paesi africani, la privatizzazione dell’acqua… E sulle riviste viene fuori un’immagine fuorviante del missionario. Un tempo io stesso fui conquistato dalle testimonianze di padre Vismara sulla rivista Italia missionaria del Pime. Oggi però fanno notizia quasi solo Zanotelli e altri perché, magari strumentalizzati contro le loro stesse intenzioni, manifestano per l’acqua pubblica o contro la vendita delle armi…

Secondo il dossier aumentano però i missionari laici.

Gheddo: Ne dubito. Uomini e donne sposate che partono per le missioni, come medici, infermieri, insegnanti o costruttori stanno diminuendo. Negli anni Ottanta quando c’era il boom delle ong, i laici in missione in Africa erano 1700, oggi sono circa 700. Anche i fidei donum (i sacerdoti che i vescovi mandano in missione per un certo tempo), frutto di una grande intuizione di Pio XII, purtroppo sono sempre meno. Anche gli ordini religiosi, che non hanno uno specifico carisma missionario (gesuiti, francescani, ecc,), soffrono la crisi demografica e ll calo di vocazioni.

Il rapporto evidenzia l’incremento delle vocazioni locali nelle missioni e già oggi sacerdoti asiatici, africani e latinoamericani vengono in Europa. Cosa pensa di questo fenomeno?

Gheddo: Mi pare del tutto positivo, se realizzato con la debita prudenza. Parecchie giovani Chiese sono state fondate da missionari italiani e oggi loro aiutano noi che siamo in crisi. Ma rimane il nostro dovere di mandare missionari dove sono richiesti dai vescovi locali dei paesi non cristiani. E le richieste sono sempre molte, specialmente per compiuti specialistici che il clero locale non è ancora in grado di affrontare.

È vero però che sono tempi difficili per i cristiani nel mondo. Il 17 ottobre è stato ucciso nelle Filippine un altro missionario italiano, padre Fausto Tentorio del Pime. C’è anche nei giovani la paura  di perdere la vita?

Gheddo: Non credo. Il vero problema, ripeto, è la crisi di fede nel popolo cristiano e l’orientamento secondo me errato dell’animazione e della stampa missionaria. C’è bisogno che i missionari riacquistino la loro vera identità, debbono essere conosciuti come testimoni appassionati del Vangelo fra i non cristiani. La Chiesa, la scuola, le famiglie devono ritornare a parlare della bellezza dell’annuncio cristiano, specie ora quando Benedetto XVI ha lanciato la campagna per la “Nuova evangelizzazione” dei popoli cristiani. Di recente ho intervistato mons. Cesare Bonivento, da oltre vent’anni vescovo in Papua Nuova Guinea. Mi diceva che ha pochi preti, ma sono contenti della loro vocazione. Quando incontra e si converte a Cristo, il popolo papuano si commuove e diventa lui stesso missionario, perché sperimenta la differenza tra il cristianesimo e la religione animista, il culto degli spiriti. Oggi costa rinunciare al benessere della nostra società, ma chi accoglie con generosità la chiamata di Dio alle missioni sappia che è bello fare il missionario. Se ti dai tutto a Cristo, lui ti rende, già in questa vita, “il cento per uno e poi la vita eterna”. I giovani sono sempre animati da grandi aspirazioni e ideali. Il problema è che noi missionari non gli presentiamo più la bellezza e la felicità della vita missionaria.

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ZENIT Staff

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