Fare rinunce e accettare i cambiamenti che la Chiesa propone

A colloquio con il cardinale Georges Cottier, testimone diretto del Concilio Vaticano II/1

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di José Antonio Varela Vidal

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 10 luglio 2012 (ZENIT.org) – In un piccolo appartamento nella Città del Vaticano, vive uno dei teologi più longevi della Chiesa contemporanea. Non solo per il numero di anni in cui l’ha servita o per le opere pubblicate, ma anche per essere stato testimone di molti eventi, correnti teologiche, orientamenti ed atti storici di vari pontefici a cavallo del XX e XXI secolo, come la pubblicazione del nuovo Catechismo o la richiesta di perdono del Beato Giovanni Paolo II.

Ci riferiamo al 90enne cardinale svizzero, Georges Cottier O.P., cattedratico universitario per decenni, già segretario della Commissione Teologica Internazionale e teologo pontificio, tuttora molto vicino al pensiero dell’attuale papa. Zenit lo ha incontrato, inaugurando, così, una serie di interviste, in vista dell’imminente anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Offriamo ai nostri lettori la prima delle tre parti del nostro dialogo con il celebre teologo domenicano.

Arrivato a 90 anni, quale ritiene sia stato il momento più importante della sua vita?

Card. Cottier: Credo che davanti a Dio, le cose più importanti siano state il mio battesimo, e la mia educazione cristiana, poiché provengo da una famiglia che mi ha cristianamente educato. Poi c’è stata la mia vocazione all’ordine domenicano, che è stato il più grande regalo della mia vita. In quell’occasione, il dono più importante è stata la conoscenza del pensiero di San Tommaso d’Aquino.

E come cardinale?

Card. Cottier: La mia nomina cardinalizia fu una cortesia di Giovanni Paolo II che mi scelse in occasione del suo ultimo Concistoro, nel 2003. Lui morì nel 2005 e credo mi abbia creato cardinale per bontà.

Cosa significa per lei, essere stato un Teologo Pontificio?

Card. Cottier: Innanzitutto fu una sorpresa: ricordo che insegnavo ancora a Friburgo ed ero già in pensione a Ginevra. All’epoca avevo 68 anni e pensavo la mia vita si sarebbe conclusa lì. Poi, un giorno ricevetti un messaggio del nunzio, che mi riferiva la nomina da parte di Giovanni Paolo II: io non ne sapevo nulla, sapevo soltanto che era un posto riservato all’ordine domenicano. Quindi sono arrivato a Roma, qualche mese dopo: ho dovuto imparare sul posto di cosa si trattasse e… ho imparato (ride).

In questo momento di cosa si sta occupando? Scrive?

Card. Cottier: Sì, scrivo un po’. Dovrei fare qualcosa sulla Teologia della Storia, poi vedremo.

Quest’anno ricorrono i 50 anni dall’avvio del Concilio Vaticano II. Secondo Lei, che ha vissuto il passato e il presente della Chiesa, cosa ritiene sia stato assimilato meglio del Concilio?

Card. Cottier: Beh, direi sono state fatte molte cose. La prima cosa da dire è che il cambiamento è stato fortissimo, ed è percepibile non soltanto in campo liturgico ma anche, ad esempio, nella struttura delle Conferenze Episcopali e nel funzionamento di alcune di essere, nei dicasteri ecclesiali che non esistevano, nell’unione dei cristiani, nel dialogo con i non credenti. Tutto queste sono cose nuove, che funzionano e spesso funzionano molto bene. Anche il riferimento alla giustizia e alla pace, che prima del Concilio non esistevano, così come la preoccupazione per il dialogo con il mondo, l’idea stessa della nuova evangelizzazione è nata con il Concilio. Anche il Sinodo dei Vescovi e la stessa Dottrina degli ultimi Papi hanno come primo programma, l’applicazione del Concilio. Possiamo dire che il Concilio trova delle resistenze ma non trova una chiesa nazionale che dica di no, ovunque è accettato.

Ci sono settori della Chiesa che resistono. In che senso?

Card. Cottier: Dunque, io penso che bisognerebbe compiere un atto di fede nella Chiesa. La grande crisi che si affacciò dopo il Concilio, coinvolse molti cattolici che hanno visto la Chiesa non come un mistero di fede, il Corpo di Cristo, il Popolo di Dio, la Sposa di Cristo, ma come un fatto sociologico. Tutto questo succede perché alcuni sbagliano nelle idee. Allora bisogna innanzitutto avere uno sguardo di fede sulla chiesa e uno studio serio del Concilio, poiché non sono stati sufficientemente studiati i documenti per accettarli. Dico questo perché nella mia generazione, più che in quelle successive, ci sono persone che hanno nostalgia di quello che hanno vissuto. E tuttavia, riguardo a ciò bisogna essere capaci di fare rinunce…

In una intervista, lei dichiarò di essere rimasto assai colpito dal tema della libertà religiosa. Lei pensa che questo argomento abbia preparato la Chiesa per questi tempi in cui essa stessa soffre della mancanza di libertà religiosa?

Card. Cottier: Certo. Mi domando, se non ci fosse questo strumento, se sarebbe stata possibile una rappresentanza della Chiesa e delle grandi organizzazioni internazionali, come l’ONU o gli organismi specializzati nei diritti dell’uomo. E di fronte a tutti gli stati del mondo, è un documento fortissimo, perché è legato anche ai diritti dell’uomo e la chiesa può viverlo nel rispetto delle minoranze.

La storia è storia e va avanti. La Chiesa ha sempre letto nella storia quelli che il Concilio chiama “i segni dei tempi”. Non si parla più del mondo cristiano e tutto il resto fuori: qui si parla di un cambiamento enorme che, se vogliamo, ci riporta ai primi secoli della Chiesa, permettendole di esercitare la vocazione che le è propria, cioè la vocazione missionaria. La nuova evangelizzazione vuol dire anche questo.

Parlando di Nuova Evangelizzazione, Lei come vede il recente appello del Papa, quale aspetto le pare il più rilevante?

Card. Cottier: La nuova evangelizzazione vuol dire, innanzitutto, due cose: in primo luogo la tradizione missionaria che la Chiesa ha sempre avuto; tuttavia ora viviamo in un mondo nuovo, con due nuovi fenomeni: la globalizzazione, che prima non c’era; la crisi dell’occidente. Lì è il fondo della nuova evangelizzazione: non si devono dire cose nuove. Troviamo una cristianità occidentale, specie in Europa, più che in America, dove la gente crede di conoscere il Cristianesimo ma, in realtà, se n’è distaccata. Perché accade questo? Forse perché abbiamo continuato ad amministrare i sacramenti attraverso le strutture tradizionali ma non abbiamo continuato a predicare abbastanza il Vangelo. Quando il cristianesimo diventa un fatto sociale, la gente si lascia portare dalle tradizioni, dalle usanze e il contenuto tende a svuotarsi. E così abbiamo delle generazioni, anche nelle famiglie cristiane, e una gioventù che non sa più nulla del cristianesimo, al punto che, giustamente, si è parlato di analfabetismo.

A suo parere, i cattolici sanno come predicare e proclamare Gesù?

Card. Cottier: Ah, dipende, a dire la verità non so se sappiamo farlo. Tutto dipende dalla grazia di Dio. Siamo domenicani e penso che ci sia un grande sforzo da fare. Bisogna predicare Gesù ma anche portare avanti l’educazione cristiana, la catechesi, perché la predicazione, di colpo, ti risveglia: lo fanno in modo abbastanza forte e con molta emotività, le sette evangeliche ma non so se questo dura tutta la vita. Io direi che non va mai separato il tema dell’annuncio da quello della catechesi, perché il male è l’ignoranza, quindi non basta vivere una conversione improvvisa. Questo è vivere la fede.

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ZENIT Staff

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