Due giorni, una notte

Nel nuovo film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, lo spirito di solidarietà tra colleghi non è più l’espressione di un collettivo atteggiamento ideologico ma la faticosa conquista di ognuno

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Sandra ha un lavoro precario presso una piccola azienda. Il proprietario ha messo i suoi operai a un bivio, lasciando a loro la responsabilità di decidere mediante una votazione. Licenziare la loro collega Sandra (spesso assente per le sue crisi depressive) e quindi lavorare tutti un po’ di più, guadagnando un bonus da mille euro oppure confermare Sandra, pena la perdita del bonus. Questa guerra fra poveri sembra ormai persa per Sandra: alla prima votazione i suoi colleghi hanno votato a favore del bonus. Sandra è presa da un grande sconforto ma sostenuta dal marito e aiutata da una collega, che riesce a ottenere che la votazione venga ripetuta, questa volta a scrutinio segreto. Ora Sandra ha solo i due giorni del week end per convincere i suoi ex colleghi a votare per lei…

Due giorni e una notte è decisamente un film insolito, non solo in riferimento alla filmografia corrente ma anche rispetto allo stile narrativo a cui ci hanno abituato i fratelli Dardenne. Tante volte abbiamo criticato da queste pagine sceneggiature di film o serial televisivi costruite sull’horror vacui: trame che a intervalli regolari fanno accadere qualcosa, perché troppo timorose che la storia principale non regga l’attenzione dello spettatore. Se Hank, il protagonista di The Judge, torna dopo tanti anni al suo paese natio per salvare suo padre da un’accusa di omicidio, lo sceneggiatore ha sentito il bisogno di aggiungere il subplot dell’incontro casuale del protagonista con una ragazza che potrebbe essere il frutto di una sua relazione avuta ai tempi del college. Se Emma, nella fiction televisiva Un’altra vita, cerca di rifarsi una vita nell’isola di Ponza con le sue due figlie, c’era da scommettere (come avviene) che dire figlia adolescente vuol dire restare incinta sui banchi di scuola.

Di fronte all’ultimo lavoro dei fratelli Dardenne ci troviamo di fronte a una situazione diametralmente opposta: la protagonista Sandra (Marion Cotillard) impiega i due giorni del weekend per convincere i suoi compagni di lavoro a votare il lunedì successivo in suo favore e lo fa andandoli a trovare in casa, parlando con  loro uno per uno. La sequenza è rigorosamente la stessa: lei prospetta la sua situazione, le risposte sono reticenti se non espressamente negative, così come il modo controllato con cui lei si congeda. Tutto questo avviene non una, ma almeno otto volte e questi incontri impegnano buona parte del film. Sembra quasi che i due autori belgi, già vincitori di due Palme d’oro al Festival di Cannes per Rosetta e L’enfant, abbiamo voluto sfidare con questo insolito rituale, i loro ammiratori per vedere fino a che punto hanno compreso l’essenza del loro cinema. In effetti, svanito l’interesse per l’intreccio, privati di ogni stimolo da una cinematografia che si sviluppa in modo tradizionale, cosa resta allo spettatore? Resta una storia di anime: quelle di Sandra, di suo marito e dei sedici compagni di lavoro che debbono prendere una decisione che interroga l’intimo delle loro coscienze.

Se mille euro in più fanno sempre comodo a questi operai abituati a vivere nel poco, il rifiutarli non comporta nessuna contropartita materiale ma solo un’attestazione di principio: la solidarietà fra compagni di lavoro. Svanita ogni ideologia sullo spirito di classe, nell’attuale neo-capitalismo della scarsità, la solidarietà scaturisce dall’intimo convincimento di ogni singolo operaio. Le risposte che questi danno a Sandra sembrano uguali solo in apparenza: lo spettatore è costretto ad acuire la sua attenzione e a percepire l’intimo imbarazzo del dubbio che traspare da questi colloqui  simili solo nella correttezza formale.

Anche Sandra è un personaggio complesso: resa fragile da una profonda depressione (ingurgita continuamente antidepressivi), si rifugia spesso nel letto perché vorrebbe come annullarsi. Sollecitata dal marito, si umilia a bussare alle otto porte: chiede con delicatezza, pronta a comprendere un loro rifiuto ma tuttavia chiede, anche se sottolinea che non vuole la pietà di nessuno. Alla fine il film, realizzato quasi in unità di spazio e di tempo, costruisce nel suo lento avanzare una forte stato di attesa ansiosa: i progressi sono minimi mentre il lunedì si avvicina.

Molto bello il rapporto fra Sandra e il marito Manu: è lui a portare ragione e buon senso in questa triste guerra fra poveri. Non sono solo le sue belle parole a convincere Sandra ad agire ma la sua attestazione di affetto: qualunque cosa accada, lui sarà sempre al suo fianco.  

Una Marion Cotillard incurvata, il volto senza trucco, è la luce che illumina dall’inizio alla fine questo insolito film. In una scena iniziale vediamo lei che telefona a un suo collega per invitarlo a votare in suo favore. Non sentiamo cosa le risponde l’uomo, lo intuiamo dalle sue espressioni. A un certo punto lei sospende la conversazione, la voce le trema, sopraffatta dall’ansia. Respira profondamente e poi riprende. E’ un assolo attoriale che vale tutto il film.

*

Titolo Originale: Deux jours, une nuit
Paese: BELGIO
Anno: 2014
Regia: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
Sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
Produzione: LES FILMS DU FLEUVE, ARCHIPEL 35, BIM DISTRIBUZIONE, EYEWORKS, FRANCE 2 CINÉMA, RTBF
Durata: 95
Interpreti: Marion Cotillard, Fabrizio Rongione, Pili Groyne, Catherine Salée

Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it

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Franco Olearo

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