Cuba: 2 anni fa moriva Oswaldo Payá

A colloquio con la figlia Rosa Maria, ricevuta in udienza con la famiglia da papa Francesco il 14 maggio scorso, sull’anniversario e sulla situazione nell’isola

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Nato nel 1952 nel quartiere di El Cerro a L’Avana, Oswaldo Payá, laico cattolico di forte impronta sociale, fondò nel 1987 il Movimiento cristiano de Liberacion, movimento politico di ispirazione cristiana che postulava per Cuba una necessaria transizione verso la democrazia, ma senza l’uso di violenza, utilizzando le possibilità che – almeno formalmente – la Costituzione cubana garantiva di iniziativa politica da parte dei cittadini. Nacquero così il Proyecto Varela (sottoscritto, nonostante le intuibili difficoltà da 14mila cubani e stroncato quasi subito dal governo con un referendum a risultato naturalmente plebiscitario e accompagnato da un’ondata di arresti, la cosiddetta Primavera negra) e nel 2011 El camino del pueblo, piattaforma rivendicativa nel senso del Proyecto Varela, firmata da 70 organizzazioni e 1200 dissidenti. Mai arrestato, al contrario dei suoi collaboratori, ma fatto segno di continue minacce di morte (anche molto concrete, vedi un rischiato ‘incidente automobilistico’ premonitore), Oswaldo Payá perse la vita in un incidente automobilistico accaduto il 22 luglio 2012 vicino a Bayamo, a 700 chilometro da L’Avana. Con lui perì una ‘speranza’ del Movimiento cristiano de Liberacion, Harold Cepero. L’auto era guidata dal giovane democristiano spagnolo Angel Carromero (poi condannato a 4 anni di reclusione per “omicidio colposo” – rimandato in Spagna, sconta la pena a piede libero, ma con un braccialetto elettronico), accanto al quale sedeva Aron Modig, giovane democristiano svedese. I due avevano riportato ferite leggere nell’incidente. Carromero ha parlato ancora recentemente di un “giudizio-farsa”, descrivendo così lo strano incidente: “Eravamo in viaggio, quando fummo investiti da un’altra macchina che ci buttò fuori di strada. Immediatamente apparve dal nulla un furgoncino e mi portarono a un ospedale militarizzato. Però, se gli altri passeggeri stavano peggio di me, perché mi presero per primo?” Ancora: è credibile “che io guidassi a cento all’ora in una strada piena di buche”, come mi è stato imputato? Sullo stranissimo incidente è stata chiesta dalla famiglia Payá e anche da Carromero un’indagine internazionale, fin qui non concessa. Del secondo anniversario della morte di Oswaldo Payá e di Harold Cepero si fa memoria nelle sante messe previste tra l’altro a Cuba, negli Stati Uniti, in Spagna. A L’Avana la celebrazione è presso la chiesa dei Passionisti, mentre a Santiago di Cuba è stato vietato il ricordo promosso dal locale MCL. 

La famiglia Payá (vedova Ofelia Acevedo, figlia Rosa Maria, figli Oswaldo junior e Reinaldo) è stata ricevuta in udienza per 23 minuti mercoledì 14 maggio 2014 da Papa Francesco a Santa Marta. Con la ventiquattrenne Rosa Maria abbiamo voluto ricordare Oswaldo Payá per il secondo anniversario della morte, approfondendo nel contempo la situazione sull’isola caraibica, in cui ultimamente si sono evidenziati due fatti potenzialmente significativi: la concessione di costruire una chiesa a Sandino (Pinar del Rio, la prima dopo 55 anni di castrismo) e le dimissioni o destituzione sostanziale a seconda dei punti di vista dei due editori di Espacio laical, la controversa rivista dell’arcidiocesi di L’Avana (dura in questi anni con gli oppositori cattolici del regime e nel contempo promotrice alcuni mesi fa di un progetto di riforma democratica dello stesso). Ma torniamo alla nostra sorridente, competente e appassionata interlocutrice…

Rosa Maria, a due anni dalla sua morte quanto è ancora presente tuo padre Oswaldo nella tua, nella vostra vita di famiglia? 

Per me papà non è un ricordo, è una presenza. Una presenza costante. Noi viviamo quotidianamente con l’ottimismo, con il carisma, con la fede di papà in Dio e nella possibilità di cambiare le persone e dunque anche la società cubana.

Sotto l’aspetto politico quanto sono ancora attuali e concretizzabili oggi le idee di tuo papà, fondatore del Movimiento Cristiano de Liberacion?

Mio padre resta l’alternativa politica al totalitarismo cubano. Lo era come persona, incarnava l’alternativa, il governo lo sapeva e per questo lo ha ammazzato. Lo era come leaderpolitico, il governo pure lo sapeva e lo considerava il suo peggior nemico. L’idea di mio papà, che si concretizza oggi nella proposta conosciuta come “Camino del pueblo”, dava e dà voce ai sentimenti di migliaia di cubani, desiderosi di un dialogo nazionale aperto a tutti per l’instaurazione di una società più giusta e più democratica.

Quanto il Movimiento Cristiano de Liberacion ha sofferto la morte di tuo papà? Quanto è ancora attivo a Cuba? 

E’ stato un colpo molto duro, una circostanza molto triste, ma il Movimiento resta ben vivo dentro Cuba. Lavoriamo dentro e fuori Cuba per il consolidamento e la crescita di un movimento sociale e in particolare attorno alla proposta di un plebiscito nazionale, che sarebbe il primo passo sul cammino di una transizione verso la democrazia.

In che cosa consisterebbe il plebiscito?

Si dovrebbe chiedere ai cittadini cubani se vogliono partecipare a un processo di elezioni libere, con garanzie democratiche. Certo il plebiscito potrebbe essere il detonatore per l’implosione del totalitarismo. Stiamo formando dei leaderdentro Cuba e stiamo diffondendo sempre più il nostro messaggio che non consiste solo nella richiesta di una consultazione nazionale dei cubani sul loro avvenire, ma anche nella conoscenza e nella valorizzazione dei diritti fondamentali della persona umana. Per 55 anni Cuba ha vissuto reprimendoli da una parte, ignorandoli dall’altra: si tratta di farli conoscere a chi li ignora, così che possano poi essere reclamati un po’ dappertutto nell’isola. Questo è il lavoro del Movimiento Cristiano de Liberacion a Cuba.

Perché un anno fa tu e la tua famiglia avete lasciato Cuba per gli Stati Uniti?

Nei primi giorni di giugno 2013 abbiamo lasciato Cuba per Miami a causa della repressione poliziesca che era diventata insostenibile…

Anche dopo la morte di tuo papà?

Sì. Anzi, dopo la morte di papà, si è intensificata. Pedinamenti, minacce di morte al telefono alle quattro di mattina…a mia nonna telefonavano che mi avrebbero uccisa…non riuscivamo più a vivere con quel minimo di tranquillità necessaria per poter accompagnare nella crescita il Movimiento. Abbiamo dovuto decidere di espatriare temporaneamente da Cuba per poter continuare meglio a lavorare e a lottare per la libertà dell’isola. Siamo qui, ripeto, temporaneamente. Il passaporto cubano è valido ancora per un anno e dunque, nel caso, potremmo tornare. Io penso che tornerò il prima possibile, mentre mia madre e i miei fratelli resteranno, però sempre temporaneamente, per un periodo più lungo a Miami.

Il 14 maggio 2014 avete avuto una grande emozione: essere ricevuti in udienza privata per più di venti minuti (è il tempo normalmente dedicato ai Capi di Stato) a santa Marta da papa Francesco. Quali speranze vi ha dato tale incontro?

E’ stata un’udienza sperata, molto sperata. Era già un sogno di mio papà essere ricevuto in udienza dal Vicario di Cristo. Ci ha dato speranza il fatto che Sua Santità voglia seguire con attenzione ciò che succede dentro Cuba.

Ha ascoltato, non solamente sentito, quello che gli avete detto…

Ha ascoltato da noi che la repressione continua e si intensifica. Gli abbiamo parlato dei problemi quotidiani della popolazione di Cuba, di papà, della sua morte e della necessità di un’indagine intern
azionale; poi della proposta di plebiscito. Sua Santità per la maggior parte del tempo ha ascoltato e siamo sicuri che non resterà passivo sui problemi che gli abbiamo esposto; sa, insieme con la Chiesa, che a Cuba non c’è stato fin qui un cambiamento reale nell’atteggiamento del regime verso la popolazione.

Internazionalmente il governo vanta dei cambiamenti in senso liberale…

Fumo negli occhi. I cambiamenti che ci sono stati si riflettono su una piccola parte di popolazione, praticamente la nomenclatura del partito e pochi altri.

Ad esempio la liberalizzazione dal primo gennaio della compravendita delle vetture ha fruttato numeri modestissimi: 50 auto vendute e 4 moto. Però, quando si sa, che per comprare un’auto, un lavoratore cubano medio deve impegnare oltre 13mila stipendi mensili, si è detto tutto…

Sono piccole trasformazioni che non vanno nella direzione di concedere diritti democratici; permettono invece al governo di sopravvivere e di reclamizzare il cambiamento in sede internazionale. In realtà il governo è il medesimo da 55 anni a questa parte e vuole continuare così. Al governo non interessa se essere comunista o capitalista, interessa principalmente sopravvivere gestendo come sempre il suo potere totalitario. Al governo non interessano i diritti fondamentali della persona. Un conto è ampliare i privilegi di pochi, un altro concedere ai cittadini i diritti democratici. Meglio ancora: il governo cubano sta facendo delle riforme proprio per non riconoscere i diritti di tutti. 

Da Miami tu stai lavorando molto attivamente per il futuro dell’isola…

La campagna che stiamo conducendo è a livello internazionale e mira a far conoscere sempre più la proposta del plebiscito e ad accrescere il numero dei simpatizzanti e dei volontari. E’ una campagna che non ha colore partitico, è per i diritti di tutti. I cubani devono ricevere la solidarietà internazionale poiché vivono la repressione del governo, caratterizzata da una violenza cinica e persistente. Continuano ad esempio la pratica degli arresti per poche ore o per pochi giorni – che in ogni caso ti destabilizzano – e quella degli ‘atti di ripudio’, manifestazioni di ‘fedeli al governo’ organizzate davanti alle case degli oppositori, insultati, minacciati, con lancio di oggetti contro le mura.

Solidarietà internazionale per il popolo cubano? Non è facile, considerato quello che succede in casi analoghi nel mondo… 

Siamo tristi non solo per Cuba, perché dobbiamo constatare ad esempio che c’è poca solidarietà internazionale per il popolo venezuelano, confrontato pure con un regime lontano dall’essere democratico.

Il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, è stato nunzio in Venezuela fino all’anno scorso e sa che nel Paese la situazione è molto delicata: la diplomazia vaticana sta operando perché le parti in conflitto dialoghino seriamente, concretamente attorno a un tavolo…

Da cubana, posso anche dire che l’ingerenza del regime castrista in Venezuela è molto forte. Non solo nell’istruzione, nella sanità, ecc… perché pure a livello di governo l’intellighenziacubana ha un influsso rilevante.

Il che significa che un cambiamento vero a Cuba avrebbe influssi molto positivi sul resto dell’America latina?

Sì, il cambiamento vero a Cuba si rifletterebbe su tutta l’America latina. Diversi Paesi non conoscono oggi la democrazia sostanziale, sono succubi dell’antidemocrazia, ma la fonte originale, pesante e pensante è senza dubbio a L’Avana.

Avete segnalato anche questo a papa Francesco?

Sì, gliel’abbiamo detto. Sua Santità sa che il cambiamento vero a Cuba è molto importante: speriamo che anche la diplomazia vaticana accompagni la campagna internazionale, per il plebiscito, per la transizione verso la democrazia. Continuo a pensare che Cuba giochi un ruolo di grande rilievo nell’America latina. E credo che la democrazia nell’America latina possa concretizzarsi veramente soltanto se Cuba diverrà anch’essa democratica. 

Fonte: Rossoporpora

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Giuseppe Rusconi

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