ROMA, mercoledì, 5 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Dal 7 al 9 ottobre si svolgerà a Roma, presso il Palazzo della Cancelleria, il Congresso internazionale per il centenario della nascita di padre Cornelio Fabro, maestro di spiritualità e filosofo noto in Italia e all’estero.
Con l’adesione delle Università Pontificie romane e l’Università di Perugia parteciperanno all’incontro studiosi esperti sia in campo filosofico che teologico. I temi scelti ripercorreranno i punti fondamentali del ricco e multiforme percorso filosofico di padre Fabro.
Per l’occasione ZENIT ha intervistato padre Elvio Celestino Fontana, Segretario del Comitato per il Centenario della nascita di Cornelio Fabro.
Il primo tema che verrà affrontato è il rapporto fra essere e verità: qual è la soluzione proposta da padre Fabro?
Padre Fontana: È proprio nel caratterizzare questo rapporto fra essere e verità, problema fondamentale della filosofia fin dalle origini, che padre Fabro recupera quel “tomismo essenziale” che – attraverso la nozione di “partecipazione” – attinge una possibilità nuova e originale di pensare il rapporto fra il Creatore e la creatura al di là del semplice rapporto di causalità. È infatti in virtù non di un semplice atto di causalità estrinseca, ma del rapporto di appartenenza intrinseca propria della partecipazione all’interno dell’atto creativo che l’uomo attinge in qualche modo – attraverso l’emergenza dell’actus essendi come atto primario fondante sulla semplice existentia – l’essere e la vita stessa di Dio, sia nell’ordine dell’essere che in quello dell’operare, per cui l’uomo, elevato a imago Dei e reso capax Dei, diventa capace di verità e di libertà.
C’è poi il tema del rapporto fra il problema di Dio e il pensiero moderno: in che cosa consiste la deriva ateistica?
Padre Fontana: Il pensiero moderno caratterizzato, secondo padre Fabro, dall’autofondazione radicale del pensiero in se stesso, ha capovolto il rapporto essere-verità. Infatti con l’instaurazione del “principio d’immanenza”, conseguente al cogito cartesiano – erede della deriva essenzialistica della Scolastica – la coscienza diventa fondante rispetto all’essere, così che l’essere è concepito unicamente come “formale”, un essere cioè sotteso soltanto dal “nulla” di coscienza nel quale finisce poi per dissolversi, precludendo così all’origine qualsiasi possibile aggancio alla trascendenza come origine e fondamento primario dell’essere e della libertà.
Si arriva quindi al tema della libertà e del problema dell’uomo?
Padre Fontana: Il problema dell’uomo e del suo destino è stato fin dall’inizio l’idea-guida dell’intero percorso speculativo di padre Fabro e di qui la centralità che per lui assume il problema della libertà, a cui dedicherà intensi anni di studi e di ricerche. E se egli accoglie l’istanza radicale del pensiero moderno di una libertà originaria ne contesta però radicalmente la sua intrinseca riduzione ad arbitrio nell’orizzonte dell’immanenza. Il suo impegno filosofico sarà quello di condurre questa libertà radicale alla sua origine. Per padre Fabro, come già per Kierkegaard, solo la scelta assoluta dell’Assoluto libera l’uomo e lo realizza nella sua infinita dignità di uomo come “singolo davanti a Dio”.
Il problema della libertà e del destino dell’uomo richiama un altro tema che sarà fondamentale soprattutto nella speculazione degli ultimi anni di padre Fabro, quello del rapporto fra ragione e fede.
Padre Fontana: Anche qui sarà Kierkegaard a fare da guida a padre Fabro riconoscendo che ragione e fede sono “principi assolutamente eterogenei”, così come sono inconciliabili “filosofia” e “paradosso”. Porli in dialettica di continuità fra loro significa annullare la loro specificità e non riconoscerli come gli estremi opposti dell’aut-aut radicale della scelta, cioè del salto, che è il rischio supremo della libertà in vista della propria salvezza. La verità della fede infatti non si fonda sulle ragioni offerte dalla ragione, ma sulla Parola rivelata del Dio fatto uomo: è su questa fede, nell’addentrarsi nel mistero del “soprannaturale”, che si fonda la speranza e l’attesa del compiersi della giustizia e della consolazione annunciate nelle Scritture.
C’è un aiuto reciproco fra fede e ragione?
Padre Fontana: Rispondo con le parole che Fabro scelse per la sua tomba: “Scio cui credidi” (2 Tim 1,12) e il perché lo troviamo in una lezione sua di Perugia: “Credere è il massimo atto di libertà, massimo sacrificio oggettivo di libertà. Se per credere occorresse capire, il credere non sarebbe credere, ma c’è un capire anche nel credere; il capire del credere non riguarda l’oggetto, ma l’atto: io capisco che devo credere in Qualcuno, per cui Scio cui credidi”.
[Per leggere il programma completo: www.centenariofabro.org]