di Nieves San Martín
KINSHASA, venerdì, 28 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Il progetto Bana ya Poveda (Bambini di Poveda), ispirato alla pedagogia del fondatore dell’Istituzione Teresiana, ha iniziato il corso con 71 minori.
Questi bambini di strada di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, si sono autodenominati così conoscendo la vita di San Pedro Poveda, che iniziò la sua attività socio-educativa con i bambini dei quartieri poveri di Guadix, in Spagna, all’inizio del XX secolo.
“Nel mese di settembre – ha spiegato la fondatrice del progetto, María Isabel Sancho, ai collaboratori – abbiamo scolarizzato 40 bambini che alloggiano nel Centro e 31 che sono stati riuniti alle famiglie e ai quali continuiamo a pagare gli studi”.
“E’ un modo per assicurare che il bambino non torni per strada”, ha sottolineato. “Gli educatori offrono un’ora al giorno di sostegno scolastico, nel Centro, per favorire il livellamento con gli altri allievi della scuola”.
La maggior parte di questi bambini non è mai andata a scuola o l’ha abbandonata molto presto. I problemi di adattamento non sono di lieve entità. Gli insegnanti, inoltre, non sono preparati ad accogliere bambini con un alto livello di aggressività e poca integrazione sociale.
Per questa ragione, in questo trimestre Bana ya Poveda ha progettato con lo psicologo laboratori di formazione sulla comunicazione non violenta.
Da gennaio ad agosto, ha riferito la Sancho, “abbiamo avuto la gioia di riunire 31 bambini alle rispettive famiglie biologiche, il che non vuol dire il padre o la madre. I nostri bambini sono per la maggior parte orfani”.
“Il vincolo familiare per la riunificazione si concretizza d’accordo con il bambino e con quella persona del suo entourage familiare che gli è vicina a livello affettivo”, ha spiegato. “E’ con questa che inizia la mediazione”.
Si tratta di riunificazioni durevoli, preparate dal fatto che all’inizio il bambino passa i fine settimana e lunghe vacanze con la famiglia di accoglienza per verificare il grado di coinvolgimento di questa e di adattamento del minore.
“E’ una soddisfazione sentir dire ai familiari che il bambino è cambiato moltissimo” “e vedere che lui è felice con i suoi”, ha sottolineato.
Cinque di queste riunificazioni sono avvenute fuori Kinshasa. In questi casi, i minori sono accompagnati dall’educatore del Centro, Jean Luc. “Si tratta di viaggi lunghi e costosi, perché la metà più vicina era a 800 chilometri, e le vie qui sono molto difficili”, ha riferito la fondatrice del progetto.
Da gennaio, è stato associato all’équipe degli educatori un avvocato, vista la necessità di lavorare maggiormente sui casi di violazione dei diritti dei bambini.
A volte a perpetrare le violazioni sono le stesse forze dell’ordine o i leader di piccole sette che proliferano in tutti i quartieri di Kinshasa – che accusano il bambino di stregoneria, con maltrattamenti e vessazioni -, o anche gli stessi genitori, che rifiutano i bambini e li abbandonano.
Sono state organizzate sessioni di formazione per i bambini, i genitori e i leader di quartiere, per informare sui diritti dei bambini e sulla responsabilità degli adulti di fronte alla legge per la protezione del minore promulgata nella Repubblica Democratica del Congo.
Dopo aver sequestrato i minori, si li addestra al furto. Se non tornano la sera con il bottino stabilito in anticipo li attendono minacce e torture. I piccoli vivono in condizioni disumane e sono sorvegliati durante il giorno nel luogo in cui vengono lasciati, ricevendo continuamente ordini a gesti da parte degli adulti.
“La cosa triste – ha commentato María Isabel Sancho – è la mancanza di sostegno da parte di autorità locali e ONG internazionali che lavorano nella regione per la protezione dei minori”.
Nel Centro continua anche la formazione lavorativa. Sono otto i giovani che vivono della propria attività in laboratori propri, sei di fabbricazione e riparazione di scarpe e due di taglio e confezione. Altri 16 lavorano come salariati.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]