di Alessandra Nucci
ROMA, martedì, 18 novembre 2008 (ZENIT.org).- In un convegno che si è svolto a Bologna il 12 novembre sul tema “Aspettando i risvegli. In Italia ci sono migliaia di Eluana Englaro” e organizzato da “I Mercoledì all’Università”, il dott. De Nigris ha espresso la sua preoccupazione per l'”englarizzazione della comunicazione”.
Il dott. De Nigris ha parlato infatti del rischio di vedere continuamente in televisione un padre che porta avanti “in maniera anche aggressiva, l’idea che è meglio che queste persone muoiano”.
Fulvio De Nigris è un padre che il dramma dello stato vegetativo l’ha vissuto sulla propria pelle, ma è riuscito a trasformare la sua tragedia personale in attività di speranza per gli altri.
Suo figlio Luca, in coma e stato vegetativo per otto mesi, si era risvegliato, anche se alla fine non ce l’ha fatta. Da questa esperienza è nata per iniziativa sua e di sua moglie, Maria Vaccari, la “Casa dei Risvegli Luca De Nigris”, un centro pubblico di assistenza e ricerca dell’Ausl di Bologna presso l’ospedale Bellaria di Bologna, che attua una costruttiva sinergia fra Ausl e volontariato.
La struttura accoglie per 6-12 mesi le persone in fase post-acuta di coma o stato vegetativo, che vengono aiutate insieme alle loro famiglie a incamminarsi con speranza verso il risveglio.
Il percorso insegna alle famiglie come comunicare con il paziente e osservarne i miglioramenti. Dal 2005 hanno aiutato 60 persone delle quali l’80 per cento è tornata “risvegliata” e comunque con una qualità di vita “autosufficiente”.
Alla pagina bolognese di Avvenire, BO7, il dottor De Nigris ha detto: “La decisione dei giudici che hanno autorizzato a interrompere il trattamento di alimentazione e idratazione forzato che tiene in vita Eluana mi ha provocato un senso di grande delusione, prostrazione, paura”.
“La delusione – ha aggiunto – per aver capito che non era vero, come anni fa aveva deliberato il Comitato etico, che non si poteva negare il nutrimento ad una persona in stato vegetativo e che un caso Terry Schiavo in Italia non sarebbe mai avvenuto. Non è bastato neanche quanto affermato da Papa Wojtyla e ribadito recentemente da Papa Ratzinger”.
De Nigris ha confessato di sentirsi prostrato perché “è inevitabile pensare a quanto ancora sia difficile far passare nei media (ma anche tra i giudici) i termini esatti di questo problema”.
“Ormai – ha affermato – nella clinica medica ed in letteratura non esiste più ‘coma irreversibile’, non esiste più ‘permanente’ unito a ‘stato vegetativo’”.
Secondo il promotore della “Casa dei Risvegli” il modo in cui si sta configurando la vicenda Englaro fa paura, perché, “per quanto la battaglia vinta dal padre di Eluana si configuri nel privato, inevitabilmente coinvolge migliaia di famiglie che vivono situazioni simili alla sua”.
“La domanda da porsi – ha spiegato de Nigris – è: come ci rapportiamo noi a queste ‘vite differenti’?Come le aiutiamo a vivere? Come sosteniamo le famiglie?”.
De Nigris ha precisato che non stiamo parlando solo di coma e stati vegetativi, ma delle gravi cerebrolesioni, delle malattie genetiche e rare, di tutto il mondo della disabilità in generale.
“Se qualcuno può pensare che questa non sia vita, discutiamone”, ha affermato.
Il fondatore della “Casa dei Risvegli” si è poi rivolto agli operatori dell’informazione invitandoli a “interrogarsi su questo” per “far sentire la pluralità delle voci del dibattito”.
Per De Nigris non è più possibile continuare a parlare della “dignità di fine vita” senza prima parlare del “diritto alla cura e all’assistenza”, alla ricerca, alla nascita di centri di eccellenza, all’integrazione sociale delle persone con gravi disabilità.
Il pericolo è che si diffonda nell’opinione pubblica l’errata convinzione che essere in stato vegetativo vuol dire per le famiglie restare al capezzale di un malato terminale, in un ambiente invivibile, dove la depressione e il desiderio di farla finita rappresentano la compagna di tutte le ore.
“Questo non è vero – ha concluso De Nigris – e per fortuna non tutti la pensano come il papà di Eluana. Insomma: l’ultimo tabù di questa società non è la morte ma la vita, come viverla e come accettare chi la vive, o dovrebbe viverla, insieme a noi”.