"C" come Confessione

Ovvero il riconoscimento e la lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore

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Confessione: per la Chiesa uno dei più importanti Sacramenti, ovvero quegli aiuti della Grazia che sostengono l’umanità nel suo cammino verso Dio. Questo sacramento viene chiamato anche della Penitenza, perché coloro che lo ricevono ottengono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera. È chiamato anche sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione,4 il cammino di ritorno al Padre5 da cui ci si è allontanati con il peccato.

Confessione significa accusa dei propri peccati davanti al sacerdote, ma in un senso profondo esso è anche una «confessione», ovvero riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore.

È chiamato poi anche  sacramento del Perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente « il perdono e la pace ».Infine, come ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, è chiamato sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia. Ciò perché il peccato è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui. Nello stesso tempo esso attenta alla comunione con la Chiesa. Per questo motivo la conversione arreca ad un tempo il perdono di Dio e la riconciliazione con la Chiesa, ciò che il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione esprime e realizza liturgicamente.

Secondo l’insegnamento della Chiesa, Dio solo perdona i peccati. Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: « Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati » (Mc 2,10) ed esercita questo potere divino: « Ti sono rimessi i tuoi peccati! » (Mc 2,5).35 Ancor di più: in virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini affinché lo esercitino nel suo nome.

Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo è affidato il « ministero della riconciliazione ».

Durante la sua vita pubblica, Gesù non ha soltanto perdonato i peccati; ha pure manifestato l’effetto di questo perdono: egli ha reintegrato i peccatori perdonati nella comunità del popolo di Dio, dalla quale il peccato li aveva allontanati o persino esclusi. Un segno chiaro di ciò è il fatto che Gesù ammette i peccatori alla sua tavola; più ancora, egli stesso siede alla loro mensa, gesto che esprime in modo sconvolgente il perdono di Dio e, nello stesso tempo, il ritorno in seno al popolo di Dio. 

La confessione dei peccati (l’accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l’accusa, l’uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire. Il Catechismo afferma che « I cristiani [che] si sforzano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio li mettono tutti davanti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono consapevolmente qualche peccato, è come se non sottoponessero nulla alla divina bontà perché sia perdonato per mezzo del sacerdote. “Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non può curare quello che non conosce”».

Secondo il precetto della Chiesa, «ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, è tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell’anno». Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche se prova una grande contrizione, senza aver prima ricevuto l’assoluzione sacramentale, a meno che non abbia un motivo grave per comunicarsi e non gli sia possibile accedere a un confessore. I fanciulli devono accostarsi al sacramento della Penitenza prima di ricevere per la prima volta la santa Comunione. Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d’accordo con Dio. Le opere buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive.

Chi diede una straordinaria definizione della Confessione fu il grande scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton. Quando nella sua Autobiografia, spiegò le ragioni della sua decisione di convertirsi al Cattolicesimo, scrisse: ”Quando la gente chiede a me o a qualsiasi altro: “Perché vi siete uniti alla Chiesa di Roma?”, la prima risposta essenziale, anche se in parte incompleta, è: “Per liberarmi dai miei peccati”.

Perché non v’è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. Ciò trova la sua conferma nella logica, spaventosa per molti, con la quale la Chiesa trae la conclusione che il peccato confessato, e pianto adeguatamente, viene di fatto abolito, e che il peccatore comincia veramente di nuovo, come se non avesse mai peccato.. (…) Dio lo ha fatto veramente a Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. E’ un esperimento nuovo tanto quanto lo era a soli cinque anni. Egli sta nella luce bianca dell’inizio pieno di dignità della vita di un uomo .

L’accumularsi di tempo non può più spaventare. L’uomo può essere grigio e gottoso, ma è vecchio solo di cinque minuti. L’idea cioè di accettare le cose con gratitudine, e non di prenderle senza curarsene. Così il Sacramento della Penitenza dà una vita nuova, e riconcilia l’uomo con tutto ciò che vive: ma non lo fa come lo fanno gli ottimisti e i predicatori pagani della felicità. Il dono viene fatto ad un prezzo ed è condizionato alla confessione. Ho detto che questa religione, rozza e primitiva, di gratitudine, non mi salvò dall’ingratitudine del peccato, che per me è orribile al massimo grado, forse perché è ingratitudine. Ho trovato soltanto una religione che osasse scendere con me nella profondità di me stesso”.

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Paolo Giulisano

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