Un avvocato denuncia la fabbrica dei divorzi

Intervista a Massimiliano Fiorin, Presidente della Camera Civile di Bologna

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di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 21 ottobre 2008 (ZENIT.org).- In quasi quarant’anni dall’approvazione della legge Fortuna-Baslini, fino a che punto il divorzio ha trasformato la società italiana? Che cosa è rimasto del matrimonio e della famiglia naturale? Duecento separazioni e cento divorzi al giorno in Italia sono veramente un progresso? Quali sono i danni che i divorzi generano nella prole e nel tessuto sociale? Quali sono le proposte per cambiare la legge sul divorzio?

A queste e altre mille domande ha provato a rispondere l’avvocato Massimiliano Fiorin, pubblicando un libro dal titolo “La fabbrica dei divorzi. Il diritto contro la famiglia” (Edizioni San Paolo, 304 pagine, 18 Euro).

L’avvocato Fiorin, che è anche giornalista, svolge la sua professione a Bologna dove ricopre l’incarico di Presidente della Camera Civile.

Per approfondire un tema di così scottante attualità, ZENIT ha intervistato lo ha intervistato

Un titolo forte il suo. Perché parla di meccanismo infernale dei divorzi?

Fiorin: Il sistema divorzista, non solo in Italia, si basa su una contraddizione e un rovesciamento. Il divorzio, che secondo la legge doveva essere un estremo rimedio per le crisi familiari altrimenti irrisolvibili, nella prassi giudiziaria è invece diventato un sacrosanto diritto individuale. Esso non viene soltanto riconosciuto e garantito, ma anche favorito molto più di tutti gli altri diritti e doveri che dovrebbero discendere dal matrimonio. 

Oggi una moglie in crisi può ottenere una rapida separazione senza dover fornire la minima giustificazione, sapendo di poterne trarre dei vantaggi economici assai notevoli. Nello stesso tempo, nella società si è ormai diffusa una spaventosa carenza di educazione alla vita familiare. Così, sono sempre meno quelli che riescono a resistere alle sirene divorziste, non appena il loro matrimonio si rivela per quello che è, e cioè un’avventura che richiederebbe impegno e responsabilità.

Questo ha fatto sì che gli operatori del diritto oggi tendano a considerare la separazione coniugale e il divorzio più come obiettivi da raggiungere, che non come semplici eventualità. Assai difficilmente cercano di guidare i loro assistiti verso soluzioni alternative, che siano più rispettose dell’interesse dei figli minori, che a parole tutti dicono di voler tutelare.

Negli anni Settanta il divorzio è stato presentato come una misura che avrebbe garantito il progresso e la felicità degli uomini e delle donne. Lei parla invece di inferno. Cosa è accaduto negli ultimi trent’anni?

Fiorin: Nel Discorso della Montagna, secondo la versione di Matteo, Gesù ha insegnato che è dai frutti che si riconoscono i falsi profeti. Nel mio libro ho cercato di seguire questo consiglio, e di dimostrare che le conseguenze sociali del divorzio di massa già oggi dimostrano che negli anni Settanta si era appunto in presenza di una falsa profezia. La possibilità di divorziare liberamente non ci ha resi tutti più liberi, e tantomeno più felici. Lo dimostra il malessere sociale, economico, ma soprattutto psicologico che il divorzio ha diffuso endemicamente nella società occidentale. Questo è ciò che ho cercato di dimostrare nel mio libro, partendo dai fatti. Il divorzismo invece si basa su una cattiva coscienza collettiva, che partendo dalla propria ideologia cerca di rimuovere certe questioni dal dibattito pubblico.

Quali sono i danni singoli, sociali, economici, demografici …. del divorzio?

Fiorin: Il divorzio ha portato le società occidentali ad essere inondate da quelli che io chiamo gli “oceani di sofferenza”. Negli ultimi quarant’anni, con un’accelerazione spaventosa a decorrere dall’ultimo decennio, si sono prodotti disagi e lacerazioni sociali assai più profondi di quanto non si sia disposti ad ammettere.

Oggi, in Italia, i fatti di sangue con motivazioni connesse alla separazione e al divorzio sono probabilmente più numerosi di quelli dovuti alla criminalità organizzata. Ci sono migliaia di persone, quasi tutti padri separati, che a causa della separazione hanno perso tutto, casa, lavoro, figli, e vivono alle soglie dell’indigenza.

La crisi dell’istituto matrimoniale ha poi contribuito al cosiddetto inverno demografico. Oggi la maggior parte delle coppie sembra non volere più di un figlio, e non prima dei 35 anni. Questo potrebbe ben presto portare l’intera Europa ad una crisi di civiltà, e comunque alla insostenibilità del nostro sistema di welfare. Questi, peraltro, sono solo i frutti economici più immediati. Ma in realtà, èl’assenza forzata del padre dalle famiglie che ha causato i problemi più devastanti nel medio e lungo termine, specie oggi che la prima generazione dei figli del divorzio di massa è diventata adulta.

Negli Stati Uniti, che hanno conosciuto per primi le conseguenze del “no-fault divorce” (cioè la possibilità di divorziare facilmente e senza colpa), non vi è studio sociologico e statistico che non abbia dimostrato che l’assenza del padre da casa durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, a causa del divorzio dei genitori, è un fattore di devianza sociale che ricorre molto più di tutti gli altri.

A partire dalle bocciature e dagli abbandoni scolastici, per arrivare alla depressione, all’alcolismo e alla tossicodipendenza, fino alla disoccupazione e alla marginalità sociale, e così via fino ai casi più gravi di suicidio e criminalità. L’essere cresciuti senza il padre in casa è sempre il fattore statisticamente più ricorrente, tra i campioni di popolazione che si trovano coinvolti in questi problemi.

Quali sono i luoghi comuni e i pregiudizi ideologici che, secondo lei, nascondono la realtà dei divorzi?

Fiorin: Vi è prima di tutto l’idea che un bel divorzio sia sempre meglio di un cattivo matrimonio, specialmente se tra i coniugi in crisi vi è conflittualità. La vera bestia nera degli operatori del diritto non è tanto il divorzio in sé, quanto la conflittualità che esso genera. Per non disturbare i manovratori della macchina divorzista, ci si illude che per i figli sia meglio essere preservati dall’assistere ai litigi dei genitori, piuttosto che dalla loro separazione. Ma ormai buona parte degli psicologi e dei neuropsichiatri devono ammettere che sembra piuttosto vero il contrario. La ferita prodotta dalla separazione dei propri genitori in se stessa produce danni permanenti all’equilibrio psichico, anche nei soggetti che sembrerebbero averne risentito di meno. Invece, l’essere cresciuti in una casa dove i genitori “non si amavano più” – secondo la visione romantica e tardo adolescenziale del matrimonio che ormai ha conquistato tutti – è un fattore di instabilità psichica molto meno grave.

Oltretutto, la mia esperienza professionale, e non solo quella, dimostra che sono proprio le situazioni di grande conflitto tra coniugi, o comunque tra genitori, quelle che lascerebbero i maggiori margini di mediazione. Sempre che si convinca le parti a lasciarsi aiutare, invece di proporre loro il divorzio come unica panacea.  

Quali sono le riforme legislative e culturali che lei proporrebbe per riparare ai danni sociali e individuali dei divorzi?

Fiorin: Dal punto di vista legislativo, una prospettiva interessante – che è stata già adottata da alcuni Stati nordamericani, come Louisiana, Arkansas ed Arizona – è quella del “covenant marriage”. Si tratta di un nuovo modello matrimoniale, dove gli sposi decidono fin dall’inizio che il loro legame sarà un’alleanza per la vita, e quindi potranno divorziare solo fornendo motivazioni oggettive, e dopo essersi sottoposti ad un periodo di mediazione familiare. E’ un modello di libertà, che nel contempo aiuterebbe molto un ritorno al matrimonio e alla filiazione responsabili. Nel contempo, visto che non mi illudo che ci si possa arrivare in tempi brevi, nel mio libro propongo nuovi modelli di comportamento che già ora ritengo che dovrebbero essere adottati dagli avvocati
 familiaristi, per fare il proprio lavoro in maniera più responsabile, e di maggiore aiuto alle coppie in crisi.

Qual è il fine ultimo del libro? Perché lo ha scritto? 

Fiorin: Nella mia esperienza di avvocato, sono arrivato relativamente tardi ad occuparmi di diritto di famiglia. Tuttora mi considero più un avvocato civilista che non un “familiarista” in senso stretto. Per scelta di coscienza, ma anche di specializzazione personale, mi occupo solo di un numero selezionato di casi di separazione e divorzio, e solo laddove è ancora possibile aiutare i coniugi in crisi a trovare una soluzione meno drammatica, o ancor più spesso quando si tratta di difendere loro e i loro figli da una violenta aggressione ai propri diritti naturali, perpetrata dalle logiche divorziste.

Questa scelta mi ha aiutato a vedere i problemi in modo più distaccato, e ad accorgemi che “il re è nudo”, molto meglio di quanto non possa fare un avvocato che occupandosi solo di divorzi, magari in modo magistrale, ha comunque finito per adeguarsi alla logica del sistema, talvolta in modo inconsapevole.

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ZENIT Staff

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