KINSHASA, mercoledì, 19 novembre 2008 (ZENIT.org).- I Vescovi della Repubblica Democratica del Congo hanno denunciato il “genocidio silenzioso” che il loro Paese subisce sotto gli occhi di tutto il mondo.
In un drammatico documento intitolato “La Repubblica Democratica del Congo piange i suoi figli e non vuole consolarsi”, la Commissione Permanente dell’episcopato compie un’analisi delle cause della guerra, dovuta soprattutto alla lotta per entrare in possesso delle enormi ricchezze naturali del Paese.
Dalla fine di agosto, i combattimenti hanno provocato una situazione umanitaria catastrofica con più di 250.000 sfollati, la maggior parte dei quali senza possibilità di ricevere assistenza da parte delle organizzazioni umanitarie a causa dell’insicurezza diffusa.
Gli scontri vedono affrontarsi l’Esercito della Repubblica contro l’insorto Laurent Nkunda, ex generale che ha creato un movimento ribelle che, secondo quanto afferma, cerca di difendere i tutsi dalle milizie hutu fuggite in Congo dopo il genocidio in Ruanda nel 1994, che ha provocato più di 500.000 morti, soprattutto tutsi.
In un rapporto divulgato all’inizio di quest’anno a Kinshasa, l’organizzazione umanitaria “International Rescue Committee”segnala che i conflitti e le crisi che la Repubblica Democratica del Congo ha subito dal 1998 hanno causato 5,4 milioni di morti e continuano a provocare una media di 45.000 decessi al mese.
“Viviamo un autentico dramma umanitario che, come un genocidio silenzioso, si sta verificando sotto gli occhi di tutti. I massacri su ampia scala della popolazione civile, lo sterminio selettivo dei giovani, gli stupri sistematici perpetrati come arma di guerra si sono scatenati di nuovo con una crudeltà e una violenza impensabili contro la popolazione locale che non vuole altro che una vita più tranquilla e degna nella sua terra”.
Per questo motivo, i presuli pongono la stessa domanda degli analisti: “Chi è interessato a un dramma di questo tipo?”.
“E’ evidente che le risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo alimentano l’avidità di certe potenze e non sono estranee alla violenza contro la popolazione”, rispondono.
Tutti i conflitti, osservano i Vescovi, “si producono sulle rotte economiche e intorno ai giacimenti di minerali”.
“Come si può concepire che i vari accordi vengano violati senza alcuna pressione efficace per costringere i loro firmatari a rispettarli?”, proseguono.
“Le varie conferenze e riunioni per risolvere questa crisi non hanno ancora affrontato i temi di fondo e non hanno fatto altro che rimandare e defraudare le legittime aspirazioni di pace e giustizia del nostro popolo”.
In particolare, si denuncia “il piano di balcanizzazione”, vale a dire la divisione e la frammentazione del territorio, com’è accaduto nell’ex Yugoslavia.
“Si ha l’impressione di una grande cospirazione che rimane nascosta – segnalano –. La grandezza della Repubblica Democratica del Congo e le sue numerose ricchezze non devono servire come pretesto per farne una giungla”.
Per questo, i Vescovi chiedono “al popolo congolese di non cedere mai alle velleità di quanti vogliono la balcanizzazione del loro territorio nazionale”.
Raccomandano, quindi, di non firmare mai “una revisione delle frontiere stabilite a livello internazionale e riconosciute dalla Conferenza di Berlino e dagli accordi successivi”.
I presuli denunciano inoltre “tutti i crimini commessi contro cittadini pacifici”, così come “il distacco con cui la comunità internazionale tratta i problemi relativi all’aggressione di cui il nostro Paese è vittima”, chiedendo “alla comunità internazionale di impegnarsi sinceramente nel far rispettare il diritto internazionale”.
“Riteniamo imperiosa la necessità di inviare una forza di pacificazione e di stabilizzazione per ristabilire i diritti nel nostro Paese – concludono –. Tutto il mondo guadagnerà di più con un Congo in pace che con un Congo in guerra”.