di Luca Marcolivio
ROMA, domenica, 23 novembre 2008 (ZENIT.org) – Protagonista della Chiesa di inizio ‘900, il servo di Dio Giovanni Semeria è stato una figura controversa, di grande fascino e spessore umano. A lui è stato dedicato il libro biografico “Padre Semeria: destinazione carità” (Edizioni San Paolo), di Roberto Italo Zanini con prefazione del Segretario di Stato Vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone. Il volume è stato presentato venerdì scorso alla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA).
Il tavola rotonda “Scienza e fede: un dialogo non interrotto”, organizzata sulla figura del celebre presule ligure (noto anche come Fra Galdino), è stata moderata dal giornalista di Avvenire Giovanni Grassi.
A introdurre il dibattito è stato il Rettore della LUMSA, Giuseppe Dalla Torre, che ha osservato come padre Semeria porti vivo con sé l’ideale di cittadinanza inteso in tre forme: cittadinanza nazionale, cittadinanza dell’umanità e cittadinanza ecclesiale.
“Attraverso la sua opera pastorale, ed in particolare come cappellano militare – ha spiegato il professor Dalla Torre -, padre Semeria seppe trasmettere l’ideale dell’amor patrio e lo spirito di appartenenza alla nazione italiana, mettendo in pratica quanto affermato da Massimo d’Azeglio cinquant’anni prima: ‘abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani'”.
Padre Semeria fu altresì fautore della cittadinanza dell’umanità, in quanto “campione di carità in un momento difficile della storia del Paese. La sua opera e la sua vicinanza morale ai più umili, in particolare ai contadini che, dal Mezzogiorno, andarono a combattere nella Grande Guerra, rese questi ultimi autentici cittadini dell’umanità”, ha proseguito della Torre.
La cittadinanza ecclesiale di padre Semeria, infine, si manifestò “nella sua obbedienza e fedeltà al Santo Padre, rispetto alle controversie con lo stesso Papa Pio X, che si risolsero nell’accusa di ‘modernismo’ verso il padre barnabita”.
La grande modernità di Semeria è stato il suo auspicio di “uno sforzo di comprensione di se stessa da parte della Chiesa, quella stessa riflessione che, circa mezzo secolo dopo, si sarebbe concretizzata nel Concilio Vaticano II. Ebbe poi il grande merito di sottolineare, a livello dottrinale, la non contrapposizione di scienza e fede, anticipando così le intuizioni di Giovanni Paolo II”.
Gli spunti citati dal professor Dalla Torre sono stati poi sviluppati da monsignor Claudio Celli, presidente della Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali. “Padre Giovanni Semeria – ha sottolineato – fu uomo assai colto, di visioni ampie e profondamente calato nella realtà del suo tempo”.
“Già nel 1896 affermò con sicurezza che non solo la Chiesa non era incompatibile con la scienza, ma ne era amica e tutrice. Comprese, al tempo stesso, quanto l’idolatria della scienza avrebbe fomentato la superbia degli uomini e il disfrenamento della libertà, avrebbe portato l’umanità alla rovina”.
Monsignor Celli si è quindi soffermato sull’interventismo di Semeria riguardo alla Prima Guerra Mondiale e sulle critiche ricevute per questa sua presa di posizione. “In realtà – ha spiegato – il suo auspicio di un intervento armato dell’Italia fu fonte di forte sofferenza e dissidio interiore. Visse con l’enorme scrupolo di essere tacciato come guerrafondaio”.
Il presule ha poi fatto riferimento alle pagine del libro in cui si raccontano l’allontanamento dall’Italia di padre Semeria durante il conflitto mondiale, l’esilio in Svizzera e la grande crisi spirituale ed esistenziale che ne scaturì. “Sconvolto per la terribile realtà della guerra, parlò di ‘troppi orrori’ per la sua ‘povera anima’”.
Consapevole della propria posizione peculiare rispetto alla guerra che gli alienò le simpatie del restante mondo cattolico, oltre che dei socialisti, padre Semeria non rinnegò mai l’idea che “l’amore di patria fosse una dovere morale – ha aggiunto monsignor Celli -. L’andare in guerra, per lui, significava una stoica rassegnazione ad abbracciare la realtà, anche nei suoi aspetti più duri”.
In merito all’accusa di modernismo, il presule ha spiegato che padre Giovanni Semeria auspicava “una Chiesa accessibile a tutti”. Ebbe netti contrasti con San Pio X, che gli rimproverò di voler “allargare la porta con l’intenzione di far entrare nuovi fedeli, con il risultato di far uscire molti dei già presenti”.
“Fu tuttavia sempre obbediente, non volle mai ‘sbattere la porta’ al Papa che lo criticava. Al contrario, accettò sempre quello che la Provvidenza gli proponeva di vivere. Un suo detto era ‘la luce si farà da sé'”.
Parlando della grande carità di padre Semeria, monsignor Celli ha ricordato infine quanto egli fosse “attento servitore degli uomini del suo tempo. Era carico di una fede e di un amore che lo mettevano continuamente in discussione, esponendolo a palesi rischi”.
La figura di Semeria è stata quindi analizzata da un intellettuale non credente e marxista come Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci.
Da storico laico, Vacca ha riconosciuto il ruolo decisivo di Semeria “nella nascita del cattolicesimo politico e del Partito Popolare Italiano”, oltre che nell’idea di Italia come “nazione democratica” e nella “conciliazione tra Chiesa e democrazia”.
Lo storico della letteratura Massimo Castoldi, membro del Centro di Studi Manzoniani, si è soffermato sull’amicizia tra padre Semeria e il poeta Giovanni Pascoli. Quest’ultimo, da non credente, “era estraneo alla fede e alla speranza ma aperto all’ideale della carità”. Nelle sue conversazioni e carteggi con padre Semeria, Pascoli, pur rimanendo ateo, intuì in “Cristo figlio dell’umanità la risposta al vuoto cosmico che lo attanagliava”.
È infine intervenuto alla tavola rotonda Giuseppe Ignesti, docente di Storia Contemporanea e Storia della Chiesa alla LUMSA, che ha sottolineato il grande fascino suscitato dalle omelie di padre Semeria anche tra intellettuali non credenti come il marxista Antonio Labriola, di cui Semeria era stato allievo all’università.
Tra le intuizioni di Semeria evidenziate da Ignesti, figura “la comprensione del ritardo della Chiesa sulla questione sociale”. Dall’incontro con Lev Tolstoj intravide “l’umanitarismo eccessivamente ideologico” del grande scrittore russo, intuendo, di conseguenza, quanto fosse necessario il fuoco della carità affinché “l’umanitarismo senz’anima diventasse vero cristianesimo”.
La carità, secondo Semeria, era “uscire da se stessi, calpestare se stessi”, ha concluso Ignesti. “Non identificava la carità in un sentimento romantico ma nella realizzazione di opere concrete e, soprattutto, nel perdono”.