Prospettive religiose sulla vulnerabilità umana

di p. Joseph Tham, LC, MD, PhD*

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ROMA, martedì, 18 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Chi sono i vulnerabili? Quali sono le risposte e gli atteggiamenti corretti nei loro confronti, soprattutto nel campo della biomedicina?

Sono questi gli argomenti discussi in un workshop svoltosi a Roma dal 9 all’11 ottobre con esperti di sei religioni mondiali – cristianesimo, buddismo, confucianesimo, induismo, ebraismo e islam. Si è trattato del seguito di conferenze simili tenute a Gerusalemme due anni fa e organizzate dalla Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani.
 
Il principio di vulnerabilità nella Dichiarazione dell’UNESCO

La difesa della vulnerabilità umana e dell’integrità personale è stata promulgata in una Dichiarazione UNESCO del 2005 sulla Bioetica e i Diritti Umani. Ad ogni modo, come ha notato padre Gonzalo Miranda, LC, le agenzie delle Nazioni Unite in generale non tengono conto delle prospettive religiose, pur riconoscendo che una percentuale notevole della popolazione mondiale appartiene a qualche tradizione religiosa.Padre Miranda ha rappresentato la Santa Sede all’UNESCO durante gli incontri che hanno portato alla Dichiarazione. Il sacerdote spagnolo è intervenuto al workshop parlando di come il principio di vulnerabilità sia passato quasi senza dibattiti di spicco tra i delegati.

Il prof. Henk ten Have, che ha guidato questo sforzo dell’UNESCO, ha spiegato che la vulnerabilità è un nuovo concetto in bioetica. Come in qualsiasi documento internazionale, si è rifuggiti da termini controversi come “persona” o “giustizia”. Nonostante questo, la vulnerabilità si applica non solo agli individui, ma anche a famiglie e altri gruppi, comunità e popolazioni stigmatizzati. Ci sono alcune circostanze che rendono individui e gruppi vulnerabili.

Il medico olandese, che ora guida un programma di etica alla Duquesne University, ha anche spiegato che ci possono essere tre tipi di vulnerabilità: in primo luogo quella biologica – c’è uno stato di vulnerabilità corporale basato su caratteristiche innate, fragilità e minacce alla persona. In secondo luogo, c’è la vulnerabilità sociale – ci sono condizioni che derivano da guerra, crimini, pregiudizi, ricoveri e povertà. C’è poi la vulnerabilità culturale: ci sono particolari tradizioni e concetti di certe culture che classificano, in modo generale o specifico, individui o gruppi e li rendono vulnerabili.

Prospettive religiose

Un aspetto centrale di questa conferenza è stata la comprensione religiosa e culturale della vulnerabilità in bioetica. 16 oratori di Cina, Francia, India, Israele, Italia, Messico, Palestina, Spagna, Stati Uniti, Svizzera e Thailandia hanno presentato documenti relativi a come le loro tradizioni offrano sostegno e protezione ai gruppi vulnerabili, soprattutto ai bambini prima e dopo la nascita, alle donne, ai portatori di handicap e agli anziani.

E’ stato chiaro fin dall’inizio che con così tante tradizioni religiose diverse, e tradizioni all’interno della stessa tradizione, si sollevavano molti problemi concettuali relativi alla vulnerabilità. Il contrasto Occidente-Oriente ha reso ogni discussione molto interessante, a volte animata. Ad esempio, secondo il buddismo la vulnerabilità non è qualcosa di negativo, ma un dato di fatto della vita.

Ci sono tuttavia alcuni trend che possono essere individuati. C’è il riconoscimento della nostra condizione umana con i suoi limiti, che chiede una risposta in tutte le religioni, anche se con nomi diversi: misericordia (hesed) nell’ebraismo, agape per i cristiani, umanità (ren) nel confucianesimo, compassione nel buddismo, ecc.

Allo stesso tempo, molti partecipanti al workshop hanno trovato la formulazione della vulnerabilità basata sui diritti umani un linguaggio troppo individualistico. E’ in qualche modo estraneo alle religioni principali, in cui il sé non esiste in modo isolato, ma è normalmente immerso in una rete di relazioni – famiglia, amici, comunità religiosa, società.

L’enfasi sui vulnerabili che chiedono che i loro diritti siano difesi o che venga data loro una particolare attenzione è criticata come prevalentemente un ideale liberale occidentale, che in bioetica è tradotto per intendere l’autonomia del paziente e la libera scelta. In contrasto con questo, i confuciani sottolineano maggiormente le decisioni familiari. Ciò è richiamato in vari modi nell’induismo, nell’islam e nell’ebraismo, che parla più di doveri che di diritti nei confronti dei deboli e degli emarginati. Tutte e tre le branche del cristianesimo rappresentate al workshop non erano del tutto a proprio agio con l’esaltazione liberale dell’individualismo soggettivo.

Ciò non significa che i diritti individuali non siano importanti. Nelle società democratiche odierne, le leggi sono state redatte per difendere individui e comunità contro la schiavitù, la discriminazione, la tortura o il genocidio. Ci sono ancora enormi sfide per queste strutture. Ad esempio, l’India ha bisogno di superare il sistema delle caste in quanto ingiusto e discriminatorio, anche se è radicato  nella tradizione millenaria dell’induismo. Le tradizioni islamiche di leggi e costumi derivate dalla rivelazione coranica sono a volte in conflitto con gli standard internazionali su questioni come lo status delle donne o la circoncisione femminile. Il cristianesimo ha affrontato la modernità negli ultimi secoli nel processo chiamato secolarizzazione. Se ci sono tracce definite dell’influenza giudaico-cristiana nella genesi dei diritti umani, c’è un disagio palpabile nell’includere l’aborto e il matrimonio omosessuale come parte di questi diritti.

Riunendo esperti di queste religioni, si è creato un raro spazio di dialogo dominato da un’atmosfera di amicizia e rispetto. L’Enciclica Caritas in Veritate offre a noi cattolici alcune indicazioni su come impegnarci nel dialogo interreligioso per promuovere la coesistenza pacifica e la solidarietà, evitando il pericolo del relativismo culturale o dell’eclettismo (§ 26).

Un dialogo e incontri di questo tipo ci permettono di considerare gli altri fratelli e sorelle nella nostra comune umanità. Ciò è più urgente nella nostra realtà globalizzata, e può eliminare i sospetti che a volte provocano sfiducia e perfino violenza.

* Docente della Scuola di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, fellow della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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