L'incontro di Dio con l'uomo raggiunge la sua perfezione nel cuore

Omelia del card. Caffarra nella solennità di Santa Clelia Barbieri

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ROMA, venerdì, 13 luglio 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo il testo dell’omelia pronunciata questa sera nel Santuario di Santa Maria delle Budrie (San Giovanni in Persiceto) dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nella solennità di Santa Clelia Barbieri, patrona dei catechisti dell’Emilia Romagna.

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1. Nella vita di ogni santo esiste come un “segreto”, il cui contenuto è la rivelazione che il Padre fa «ai piccoli» e della quale parla il Vangelo. Della vita di ogni santo è possibile fare una ricostruzione storica; dare una interpretazione perfino socio-politica. Ma la vera storia del santo è ciò che avviene fra Dio e il santo medesimo.

L’unico scritto che Clelia ci ha lasciato dona la possibilità di introdurci con timore e tremore nella sua più profonda intimità: «mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio». Clelia ci ha narrato come è avvenuto tutto questo.           

Che cosa ci rivela il biglietto? Che Clelia ebbe l’esperienza soprannaturale dell’amore dello “Sposo Gesù”. Egli le dice: «ah! cara la mia buona figlia tu non puoi credere quanto sia grande l’amore che ti porto, il bene straordinario che ti voglio».

Non a caso questa rivelazione interiore è accaduta durante la celebrazione dell’Eucarestia, durante la quale la Chiesa è resa presente al più grande atto di amore di Gesù per l’uomo, la sua morte. È la scoperta che l’amore di Dio, il quale si manifesta in grado supremo con Gesù, non riguarda genericamente tutti semplicemente, ma riguarda ciascuno personalmente: «mi ha amato» ha scritto l’apostolo Paolo «e ha dato Se stesso alla morte per me».

Quale è la reazione della Santa? Quale è la reazione di ogni persona che si sente come investita da un amore immenso, infinito, incondizionato? Di corrispondervi. «Signore» dice la santa «aprite il vostro cuore e buttate fuori una quantità di fiamme d’amore, e con queste fiamme accendete il mio: fate che io bruci d’amore». É l’eco delle parole della Scrittura: «le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore».

Nella chiesa che sta alle nostre spalle è dunque accaduto la mattina del 31 gennaio 1869 l’avvenimento più grande che possa accadere su questa terra. L’eternità – «ti ho amata di un amore eterno» – si è innestata nel tempo; la beatitudine di chi sa di essere amato da un Amore incondizionato ha preso possesso di una persona povera e tribolata. Si, cari fratelli e sorelle, l’incontro di Dio con l’uomo ha certamente inizio nell’intelligenza: l’inizio si chiama fede; ma esso raggiunge la sua perfezione nel cuore, perché è un incontro d’amore.

Che cosa accade nella persona con la quale Dio in Gesù ha celebrato le nozze del suo amore? Riascoltiamo la Scrittura: «forte come la morte è l’amore; tenace come gli inferi la gelosia». Ascoltiamo ora la santa: «coraggio nei combattimenti; sì, fatti pure coraggio che tutto andrà bene». Chi celebra col Signore le nozze dell’amore, sente un bisogno immenso di operare per il bene del suo prossimo. Clelia era chiamata “madre” da tutti, nonostante la giovane età: ciò che viveva interiormente col suo Sposo la spingeva ad assumersi il peso delle miserie umane che incontrava. La separazione fra l’essere col Signore e il vivere per gli altri non ha posto nel cristianesimo.

2. Cari amici, la celebrazione in onore di S. Clelia ha quest’anno una dimensione speciale. Ella ha “visto” l’Amore e non ha più avuto paura di nulla. Forse in questi mesi i nostri occhi – gli occhi del cuore – si sono intorpiditi? Il terremoto sembra smentire quanto Clelia ha sperimentato in questa chiesa.

Abbiamo vissuto momenti durante i quali ci è sembrato di essere in balia di forze impersonali, incomprensibili, indomabili. Foglie secche che un vento impetuoso porta via. E ci siamo trovati privi dei luoghi dove l’uno cessa di essere estraneo all’altro: la casa, la chiesa, il municipio.

Cari amici, se interpretiamo l’immane tragedia del terremoto alla luce di quanto Clelia ci ha detto, siamo condotti alle radici stesse del nostro essere. Da dove abbiamo avuto origine? Esiste una “potenza buona” che sia più forte della nostra immensa fragilità? Ci sono buone ragioni per non perderci di coraggio e continuare a sperare?

Avvertiamo tutti il bisogno di una “ragione forte”, resistente, che ci dia speranza, ed asciughi i nostri occhi dalle lacrime della rassegnazione, della paura, della disperazione.

Abbiamo questa “ragione forte”, questa fonte di speranza: Gesù, il Figlio di Dio, fattosi uomo e morto per ciascuno di noi.

I Santi, cari amici, sono i suoi testimoni, poiché ci testimoniano che il governo della realtà non è affidato al caso o ad un’acerba ed indegna necessità: è affidato alla Provvidenza di un Dio che ci ama. È ciò che Clelia questa sera ci ha testimoniato.

Partiamo questa sera da questo luogo santificato dalla sua presenza, ascoltando nel cuore le parole dettele da Gesù «e quando tu hai delle cose che ti disturbano, fatti coraggio a confidarmelo e io cercherò di quietarti». Così sia.

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ZENIT Staff

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