[La prima parte dell’intervista è uscita ieri, venerdì 1 febbraio]
Emerge dalle tue liriche, oltre che dal tuo ultimo video, un profondo legame con la spiritualtà francescana. Come hai conosciuto questo mondo e in che modo ti ispira, come artista e come cristiano?
Marco Spaggiari: Sin da quando ero adolescente, non volevo rassegnarmi ad una vita appiattita in schemi che non la valorizzassero. Ad un certo punto fui toccato dalle parole di Giovanni Paolo II, che furono uno dei passi decisivi nel capire che l’educazione ai valori cristiani che avevo ricevuto da bambino, potevano diventare un faro concreto nelle prime scelte della mia vita adulta: “A voi giovani il compito di rendere questa Terra sempre più abitabile per tutti. Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”.
Finalmente trovavo un adulto che parlava al mio cuore “ribelle” di adolescente, e mi diceva che la mia vita non era qualcosa da “adattare” allo schema più comodo, ma qualcosa di grande che andava speso fino in fondo. Una missione da eroi, da autentici eroi di ogni giorno, per agganciarmi alla domanda precedente. In questa mia ricerca del senso profondo della mia via, dei miei desideri e dei miei sogni, mi sono accorto sempre di più che l’unica risposta che rispondeva completamente alla mia sete di vivere al cento per cento era la fede cristiana. Il rock da sempre è caratterizzato dal desiderio di “urlare” la propria voglia di libertà, di giustizia e di vita. Trovavo una cosa che dava risposta al mio grido e che non lasciava indietro nulla di quello che ero.
L’incontro con San Francesco e con il carisma Francescano è stato per me come trovare una “casa”. Successe quasi per caso. Quando avevo 20 anni mi recai ad un incontro per giovani organizzato al santuario della Verna e lì una suora predicò sulla vita di San Francesco. Lui aveva un grande desiderio, quello diventare grande. L’incontro con Dio gli indicò la strada per diventarlo davvero anziché disperdere e rovinare questo suo desiderio in una sterile competizione ad emergere guadagnandosi finti onori in guerra. Il suo desiderio di essere grande si aprì al voler camminare insieme agli altri anziché contro, e a ridonare i doni e i talenti ricevuti. Mi sentii subito colpito e rappresentato dalla sua vita, ed ora il carisma francescano è il mio riferimento principale. Credo che sia particolarmente vicino a chi, come me, ha una sensibilità artistica, così tanto in lotta tra la spinta ad esprimere il proprio meglio e la tentazione di volerlo fare per la propria affermazione personale. Penso che il carisma francescano sia un respiro di libertà di grande riferimento, soprattutto in questo ambiente dello spettacolo che oggi sembra spesso perdere il suo motore principale. L’arte nasce come forma di espressione e condivisione ma spesso il mondo dello spettacolo rischia di diventare luogo di chiusura e di competizione fine a se stessa.
Terence Hill è un uomo di spettacolo che crede nei tuoi stessi valori. Con lui e Bud Spencer avete girato un videoclip. Ci racconti dell’incontro con questo grande uomo e attore?
Marco Spaggiari: Terence Hill è stato per me il riferimento più autentico e coerente che potessi trovare in questo mondo. Lo è sempre stato “a distanza”, fin da quando ero bambino, lo è diventato ancora di più dopo averlo conosciuto personalmente e collaborato con lui. È una persona autentica, che ama fare il bene a telecamere spente, che sa accogliere ogni persona con un sorriso, senza pensare se sorriderle può portargli o meno qualche vantaggio. Sorride a tutti perché in tutti coglie qualcosa di prezioso, così come dovrebbe essere naturale ma che, soprattutto nell’ambiente dello spettacolo, si fa tanto poco. Ha un’umiltà autentica, capace di ascoltare anziché sentire l’esigenza di parlare di se stesso. Osservandolo, si intuisce che lui ha chiaro il segreto che sa rendere più bella la vita: saper vedere in ogni persona e in ogni incontro un dono. È quello che tentavo di spiegare prima rispondendo alla domanda sul carisma francescano. È un vero artista, capace di far passare un messaggio profondo attraverso ogni suo lavoro.
Andai a cercarlo nel 2009 in un momento decisivo per la mia vita e per il mio mestiere musicale. Ero allo spartiacque di un percorso: c’era bisogno di fare il salto che mi permettesse di iniziare a tutti gli effetti un cammino professionale. Ma per farlo ero solo davanti a proposte a cui sembravo obbligato a svendere quello che avevo di più prezioso: me stesso. Mi veniva proposto di “standardizzarmi” in target che erano in totale contrasto con le risposte più importanti che avevo trovato per la mia vita e con i desideri più profondi che mi spingevano a fare rock. Non volevo svendere i miei sogni e nello stesso tempo non volevo rinunciare al desiderio di far musica davvero. Volevo farla in modo autentico, come da sempre ho ritenuto autentico il sentimento che spinge a scrivere canzoni e a fare rock. Serviva un punto di partenza ed ebbi la “pazza idea” di andare a cercare Terence Hill, un’artista che, come attore, incarnava perfettamente il modo di lavorare che sognavo di poter portare avanti come musicista. Lo incontrai a Gubbio sul set di Don Matteo 7. Gli spiegai in pochi minuti nel profondo cosa mi aveva spinto a cercarlo. Lui capì subito e mi disse che quello che facevo insieme ai Controtempo era molto bello e che lui avrebbe certamente collaborato con noi. Fu un momento bellissimo dove “l’impossibile diventò vero”. E penso che sia una delle sensazioni più belle che si possano provare.
Si dice che il mondo dello spettacolo imponga troppi compromessi per conseguire il successo: tu e la tua band li avete sempre rifiutati. Può essere considerato questo il vostro più grande… successo?
Marco Spaggiari: Credo che non “svendere” i propri sogni ma saper seguire la strada che “più in salita” guidati da quello che c’è di più vero dentro alla propria anima sia l’unica via per arrivare davvero in alto. Perché in questo modo, ogni passo, per quanto faticoso, risulta essere pieno di significato e le mete che si raggiungono sono veramente uniche. Perché unico diventa il cammino, come unico dovrebbe essere il cammino di ogni persona in ogni settore della vita. Invece oggi c’è questa ossessione a far rientrare tutto in schemi precostituiti e dettati dal “marketing” in cui viene tagliato fuori il valore più prezioso che ci possa essere al mondo: la persona. La persona intesa come unica ed irripetibile, capace di esprimersi in modo unico. I compromessi che hanno sempre voluto tagliare fuori quello che ero per farmi accomodare in qualche modello preconfezionato, li ho sempre rifiutati. L’aspetto del marketing e dello studio del prodotto commerciale è qualcosa che nella musica deve esserci, perché la musica deve anche essere venduta. Ma deve essere qualcosa che parte da quello che è l’artista e che valorizzi l’artista. Non è l’artista che deve adattarsi ad un’idea astratta di mercato decisa da qualcuno che sta dietro ad una scrivania. Anche perché stiamo parlando di musica e la musica è qualcosa che, come tutta l’arte, ha da sempre avuto la capacità di toccare le coscienze e di influenzare nel bene e nel male la società. E non esiste logica commerciale che possa spegnere la propria voglia di portare un pezzo di bene attraverso quello che si fa. Rinunciare al sogno (e alla possibilità) che cantare una canzone possa diventare un piccolo seme per costruire un mondo migliore, significa rinunciare alla parte più profonda di se stessi e del senso della propria vita. Nella musica come in tutte le cose.
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