Nei giorni passati c’è stata una corsa frenetica a costituire le liste che verranno votate il prossimo 24 febbraio: nomi che servono per dare e darsi credibilità e per cercare di accaparrarsi la fiducia di chi, spero molti, andranno alle urne. Dal mio modesto osservatorio vorrei contribuire ad individuare alcuni punti critici che, secondo me, dovrebbero essere affrontati nella prossima legislatura.
Il welfare è l’affermazione e la salvaguardia di tutti i diritti dell’individuo e un individuo diventa Persona quando assume comportamenti ispirati ai valori dell’uomo quali la difesa della dignità della vita (eubiosia) e la difesa della verità. Bastano queste poche righe per capire quanto le scelte politiche possono essere determinanti per far sì che il welfare, così concepito, possa funzionare realmente come fattore di coesione sociale o possa invece fallire sia nella sua concezione, sia nella sua realizzazione.
Il leitmotiv di questi tempi è la mancanza di denaro pubblico da destinare a queste spese (tagli orizzontali a tutti i servizi senza approfondire quali siano quelli necessari e quelli “meno necessari”) e contestuale aumento del prelievo fiscale, che lascia poco spazio alle famiglie per provvedere da sé al pagamento dei servizi sociali, dagli asili per i bambini al ricovero per gli anziani non autosufficienti. In questo scenario poco confortante, lo Stato deve ripensare a un modello di welfare basato su forme innovative di sussidiarietà che prevedano una sostenibilità del welfare stesso nel medio e nel lungo termine.
In questo senso è indispensabile una collaborazione ancora più stretta con i soggetti del non profit. Le organizzazioni che fanno parte del Terzo settore contribuiscono in modo determinante a dare risposte ai bisogni della gente, coprendo troppo spesso i buchi e le manchevolezze del pubblico.
Faccio un esempio che conosco molto bene: ANT da 35 anni ha perfezionato un modello di assistenza domiciliare che permette di tenere a casa, tra i propri affetti, i Sofferenti di tumore fino all’ultimo giorno di vita. Lo fa in tutta Italia per oltre 9000 Famiglie, soprattutto adesso che si è andati verso una pesante riduzione dei posti letto negli ospedali. ANT funziona da ammortizzatore sociale e sanitario, ma le istituzioni sono quasi del tutto indifferenti a questo aiuto.
Come ANT, tante organizzazioni non profit riempiono con i loro servizi le falle del welfare statale, ma non riescono a trovare interlocutori pubblici che vogliano valorizzare il loro sforzo.
Basti pensare al “balletto” a cui dobbiamo assistere ad ogni finanziaria sulla stabilizzazione del cinque per mille: ad oggi, non viene affatto rispettata la scelta dei cittadini in riferimento all’organizzazione a cui deve essere destinata una quota delle loro tasse e – cosa ancor più grave – lo stato ha deciso di tenersi una parte di questa somma per ancora imprecisati progetti.
Non si è ancora affrontata in modo serio la questione della deducibilità delle offerte che, insieme al cinque per mille, darebbe una boccata d’ossigeno indispensabile al non profit. Spesso nei bandi per appalti ai servizi sociali le Onlus sono addirittura escluse quando magari lo stesso servizio fino a quel momento era gestito da loro a fronte di una convenzione. È necessario un approfondimento della legge 460 sulle Onlus e una riforma del mondo del volontariato perché il loro impegno diventi più incisivo.
Quello che io chiedo, di cui sento profondamente il bisogno, è una presa di coscienza reale e seria di queste problematiche e la volontà da parte del prossimo governo a trattare con pari dignità le organizzazioni non profit. Vorrei confrontarmi con tecnici che non ignorassero le difficoltà che stiamo attraversando, la complessità del nostro mondo, le grandi opportunità di innovazione sociale di cui siamo portatori e che ci trattassero come partner strategici per traghettare l’Italia fuori da questa crisi.
* Raffaella Pannuti è presidente della Fondazione Ant per le cure palliative (www.ant.it)