Quando accogliere la vita, arricchisce la vita

La maternità è il più grande dono che una donna possa ricevere

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Ogni gravidanza è una storia d’amore che inizia, ed è condita da sensazioni irripetibili, uniche e personali. Ognuna delle mie tre gravidanze è stata diversa e particolare. Le ricordo tutte con incredibile chiarezza, con nostalgia, con la consapevolezza di quale tempo di grazia sia stato – nel bene e anche nel male! – soprattutto ora che ho “sforato” i 40 anni già da un po’…

Accolsi la notizia della prima gravidanza con lo stupore di chi si sente così tanto figlia da ritenere impossibile il potersi occupare di un essere umano che dipende totalmente da te, e nello stesso tempo con la rispettosa riverenza di chi comprende che il percorso evolutivo all’interno della pancia di una mamma richiede una forza, una autonomia, e una prepotenza di vita da stupire un adulto, figuriamoci cosa rappresenti in termini di sforzo per un esserino minuscolo come un embrione prima, e un feto poi.

Era una femminuccia, scelsi il suo nome e cominciai a chiedermi come sarebbe stata. Col passare dei giorni, mentre lei cresceva nella mia pancia, intuivo il suo carattere, la sua personalità. Era tranquilla, gestibile, regolare nelle sue abitudini, “sentivo” di conoscerla come nessun’altro. Quando nacque non fu una sorpresa: era lei, la bambina che avevo imparato a conoscere nei nove mesi che l’avevo con amore ospitata e accolta dentro di me. Era proprio la bambina che avevo immaginato.

La seconda gravidanza mi mise realmente in crisi… non era passata neanche una settimana da quando avevo deciso di non porre più ostacolo alla possibilità di accogliere nuovamente la vita, che subito ero rimasta incinta… tradimento! Non mi sentivo pronta, e non ero stata in grado di comprenderlo prima… come è contraddittorio accogliere fisicamente la vita, ma far fatica ad accoglierla altrettanto pienamente nell’anima e nello spirito. Il rifiuto intriso di paura, eppure alla prima minaccia d’aborto il terrore di perdere quella “presenza” che già sentivo mia, e che sentivo di dover proteggere. L’amore è più forte, e lei oggi è il nostro dono di dodici anni, ma le contraddizioni che portavo in me, le ha prese tutte lei! Eppure la mia bambina è un concentrato di forza di volontà, di caparbietà. Lei si fa largo, lei si fa amare, si impone con la sua presenza e con uno sguardo che ti scioglie. Sento che la avrò vicina per sempre, lei è ricca di amore e di forza. Lei mi ha aiutato a vedere in ogni figlio un dono di Dio, con un ministero preciso, e questo è stato fondamentale per farmi vivere la terza gravidanza.

Il maschio arrivò. Ma quello del suo sesso fu l’ultimo dei miei pensieri quando venni a sapere che era un bambino destinato a morte certa, un “feto terminale” per la scienza.

Da quel momento in poi, il rapporto con questo figlio davvero desiderato e accolto anche se era il terzo (e la gente si spara quando rimane incinta del terzo, come fosse arrivato “per sbaglio”, come se accogliere più di due figli sia roba da pazzi incoscienti), divenne qualcosa di elevato ai massimi livelli. Non eravamo solo madre e figlio, eravamo due complici chiamati a vivere una sfida. Due alleati che dovevano trarre forza l’uno dall’altra, due amanti con poco tempo a disposizione. Io ero la privilegiata, il padre avrebbe avuto comunque nove mesi meno di me per sentirlo “suo”. Ogni giorno poteva essere l’ultimo, ed oltre a pregare ogni Santo di cui avessi fiducia, parlavo con lui, cantavo per lui, gli fornivo suggerimenti e raccomandazioni, e con lui stringevo patti e alleanze.

Ed in modo incredibile ha risolto parzialmente la gravissima patologia che lo affliggeva… oggi è il mio terzo figlio, ha nove anni, con problemi che il mondo chiama “disabilità”, ma che sono il suo punto di forza. Quello che mio figlio ha realizzato grazie alla sua vita e alle sue sofferenze, molti altri non lo ottengono in vite di novanta anni. Tutta la maternità che era in me, e molto altro che si è aggiunto per amore, è stata investita per crescere questa creatura che ha reso la nostra famiglia più piena e viva. Io mi accorsi del suo “ritorno alla vita” ben prima che l’ecografia me ne desse notizia. Per mezzo di quel misterioso cross-talk (colloquio incrociato) l’informazione del suo benessere mi era già arrivata…

Credo che la maternità sia stato di gran lunga il dono più grande ricevuto, essendo nata donna. Avendo avuto una infanzia affettivamente traumatica, non ero sicura di poter dare ai miei figli ciò di cui avessero bisogno. In realtà si trattava di trascendere, imparando a sfruttare ciò che la vita mi aveva dato in precedenza. Avevo ricevuto limoni? Okay, potevo ricavarne limonata… sicuramente ho liberato i miei figli da ciò che ha ferito me. Ma non ho certo potuto proteggerli da tutto; come per me le sofferenze sono state un trampolino di lancio, così lo sarà per loro. Ho scoperto che gli esseri umani migliori sono quelli che hanno davvero qualcosa da raccontare.

Come disse un giorno Aldous Huxley: “L’esperienza non è ciò che vi succede, ma quello che fate con ciò che vi è successo”. 

Sabrina Pietrangeli è fondatore e presidente de La Quercia Millenaria Onlus

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Sabrina Pietrangeli

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