Crescente complessità della vita alla quale concorre anche la tecnologia? Sempre più ampie e trasversali competenze richieste per entrare nel mondo del lavoro? Anche l’universo scuola non può rimanere incolume a tutto questo. Così le classiche ore divise per materie stanno cadendo nel dimenticatoio, i programmi finiscono necessariamente per integrarsi fra loro e l’interdisciplinarietà diventa la nuova parola d’ordine.
Ma tutto questo, evidentemente, nel passaggio dal teorico al pratico non è per nulla semplice. Lo sforzo richiesto agli insegnanti è cresciuto e cresce in modo esponenziale. Alcuni, alquanto pioneristicamente, propongono idee nuove e risposte concrete: per un vero e proprio nitido segnale di aggiornamento. Fra questi il Prof. Nicola Rosetti propone un percorso a dir poco particolare: “la catechesi della bellezza”. Se è vero che sin dall’albore dei tempi l’arte e la bellezza hanno tradotto in immagini l’idea della fede, in una qualche forma di trascendenza divina, questo connubio può tentare di spiegare la religione o quantomeno renderla un po’ più accessibile ai nostri ragazzi. Lo abbiamo intervistato.
Prof. Nicola Rosetti, quanto è difficile insegnare religione ai ragazzi? Quale è la sfida/reticenza più grande che questo insegnamento incontra nelle nostre scuole oggi?
Io non parlerei di una difficoltà specifica dell’insegnamento della religione, perché il discorso religioso, la curiosità tipica di ogni uomo e in particolare dei più giovani e non ultimo il fascino proprio della figura di Gesù continua ad attrarre gli alunni. L’insegnamento religioso patisce gli stessi problemi delle altre discipline su un doppio versante: dalla parte di chi insegna e dalla parte di chi riceve l’insegnamento. Per i primi, cioè per gli insegnanti, il grande problema è quello della riduzione a piccoli burocrati del sapere. Una burocrazia sempre più opprimente li impegna e li distoglie, ovviamente contro la loro volontà, da quello che dovrebbero e vorrebbero fare e cioè formare i ragazzi. Dall’altra parte, gli alunni ricevono molti stimoli e per loro la scuola è diventato sempre più un impegno fra i tanti e non quello principale. Contrariamente a quello che comunemente si pensa, la crisi non è di risorse (che comunque sicuramente potrebbero essere maggiori!) ma culturale. Questa dunque è a mio avviso la vera sfida del momento: far tornare la scuola alla sua vocazione originaria.
Ci può spiegare come organizza una “catechesi della bellezza” in teoria e in pratica?
Il termine “catechesi” non deve trarre in errore i lettori! Il compito dell’insegnante di religione nella scuola non è quello di iniziare alla fede, questo è compito appunto della catechesi. Ho voluto tuttavia chiamare questo modo di impostare le lezioni “catechesi della bellezza” perché sono convinto che solo attraverso la conoscenza dei contenuti della fede si può apprezzare fino in fondo un’opera d’arte di carattere religioso. Allo stesso tempo, un quadro che rappresenta una scena sacra, attraverso l’immagine, riesce a spiegare la fede meglio di un discorso: temi come quelli della grazia e del libero arbitrio sarebbero pesanti e di difficile comprensione anche per un adulto, ma ecco che se magari si mostra ai bambini “La vocazione di San Matteo” di Caravaggio, tutto è più semplice! La luce che proviene dal Cristo rappresenta il suo amore per ogni uomo (grazia) e infatti tutti i personaggi seduti al tavolo sono illuminati, ma solo uno, Matteo, risponde attivamente alla chiamata (libero arbitrio). Una volta osservata l’immagine e spiegato il significato, si può chiedere ai bambini di disporsi nello stesso modo in cui sono disposti i personaggi nel dipinto, oppure si può chiedere loro di adattare il quadro secondo un’altra visione religiosa, come ad esempio quella luterana.
Da dove arriva o deriva la sua idea di utilizzare il connubio tra bello artistico e fede?
Lavorando con i bambini della scuola primaria, comunemente detta elementare, ho sempre dovuto ricercare un linguaggio semplice, accessibile e diretto e nulla è così comunicativo come un’immagine. Direi che quindi tutto è nato per praticità. Durante la mia esperienza lavorativa a Roma, mi sono accorto che i bambini non conoscono per nulla la città in cui vivono. Pertanto nelle mie lezioni cerco di usare il più possibile opere d’arte che poi posso fare ammirare ai miei alunni dal vivo. Si tratta di fare un raccordo fra fede, arte e le ricchezze che il territorio offre. Nel mio lavoro cerco di ispirarmi ad un dipinto di El Greco che nella sua semplicità mi ha sempre affascinato. Si tratta di un “ritratto” dell’evangelista Luca che mostra all’osservatore il vangelo aperto; sulla pagina di sinistra si vede un passo del vangelo, mentre su quella di destra è dipinta una Madonna che regge in braccio Gesù Bambino. Ho scelto questa immagine come sintesi del mio lavoro perché non faccio altro che abbinare a ogni passo biblico che propongo ai miei alunni un’immagine artistica che lo visualizzi e lo spieghi. In tutta onestà posso dire che di mio c’è ben poco! Il mio è soprattutto un lavoro di “collage”!
Che tipi di riscontri (commenti, pensieri, idee … ) incontra presso i ragazzi e/o presso i loro genitori usando questo suo metodo? Ci racconti un episodio che le è rimasto impresso.
Non bisogna sottovalutare l’intelligenza, la curiosità e il desiderio di conoscere dei bambini, anzi forse noi adulti, spesso stanchi e annoiati da tutto, dovremmo prendere esempio da loro! Non bisogna avere paura di proporre agli alunni molti contenuti perché i bambini sono “spugne”! Io per esempio non mi faccio nessun problema a portare classi di alunni di terza elementare in visita ai Musei Vaticani! Propongo questa attività didattica al termine dell’anno scolastico, come coronamento di un percorso che abbiamo svolto durante tutto l’anno. I bambini sono sempre molto entusiasti perché finalmente, dopo un anno di intenso lavoro, possono vedere dal vivo quello che hanno studiato in classe! Quando ci troviamo ai Musei Vaticani non prendiamo una guida, ma ogni bambino fa da guida agli altri! Diciamo che è una vera e propria interrogazione sul posto: io faccio le domande sui dipinti che vediamo e un bambino alla volta risponde, in modo tale che tutti siano coinvolti. A questo tipo di uscite partecipano anche i genitori che si possono rendere conto del tipo di attività che abbiamo svolto in classe durante l’anno. I genitori partecipano sempre molto volentieri, anche perché per molti di loro è la prima occasione per ammirare le meraviglie di Roma. Quest’anno mi ha colpito la visita a Santa Maria Maggiore. Il custode mi ha chiesto se i bambini potessero essere interessati a vedere dei paramenti liturgici cinquecenteschi. Ero molto scettico sulla cosa perché la ritenevo più adatta per un gruppo di sacerdoti o di religiosi piuttosto che per dei bambini, e più per non rispondere con un “no” che per altro ho acconsentito. Con mio grande stupore, quando il custode ha aperto gli armadi dove erano contenuti i paramenti, dai bambini si è levato un grosso “OHHH” di meraviglia. Quegli abiti finemente decorati, insoliti, di foggia preconciliare li ha enormemente colpiti. Questo per dire che non bisogna avere paura nel proporre contenuti che a prima vista potrebbero sembrare “pesanti”.
Chiudiamo con una domanda personale. Cos’è quindi “la bellezza” secondo la sua esperienza? È più un modo, per noi uomini, per avvicinarci a capire un poco Dio o più un modo di Dio per scendere al nostro livello, parlando una lingua che noi conosciamo, e farsi capire?
Credo che si possa parlare di due vie complementari. Dio è bellezza, l’uomo è bellezza, l’arte è il ponte che li lega. È impressionante come l’uomo, volendo catturare in immagini la gloria di Dio finisce anche per glorificare se stesso attraverso il talent
o artistico. Mi permetta di terminare con le parole del grande scrittore inglese G.K. Chesterton che, in polemica con la bruttezza di certe produzioni artistiche moderne ha descritto a mio avviso in modo magistrale cosa deve essere una vera opera d’arte: “Non basta che un monumento popolare sia artistico, come uno schizzo a carboncino. Deve sorprendere, deve essere sensazionale nel senso più alto della parola, deve rappresentare l’umanità, deve parlare per noi alle stelle, deve proclamare al cospetto del cielo che, una volta stilato il catalogo più lungo e più nero di tutti i nostri crimini e di tutte le nostre follie, restano ancora alcune cose di cui gli uomini non devono vergognarsi”.
(Intervista tratta dal sito Mediapolitika)