"Un sublime servizio della carità"

Saluto del rettore della PUL al convegno “Salute e Cittadinanza Biologica”

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Riprendiamo di seguito il saluto del Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, al Convegno Internazionale della Facoltà di Filosofia “Salute e Cittadinanza Biologica”, in programma oggi e domani presso l’ateneo romano.

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Autorità Accademiche e Civili,
Professori e Studenti,
Illustri Ospiti,

Vi do il benvenuto in questa solenne Aula Magna della nostra Pontificia Università Lateranense, l’Università del Papa – oggi, l’Università del Papa Francesco! – per dare inizio alle due giornate del Convegno Internazionale “Salute e Cittadinanza Biologica”.

Come già sapete, il Convegno è stato organizzato dalla Facoltà di Filosofia della nostra Università in stretta e proficua collaborazione con l’Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria “Camillianum”, ormai da quasi un anno incorporato alla nostra Facoltà di Teologia.

Il “Camillianum” celebra quest’anno il venticinquesimo anniversario della sua Fondazione, e per questa felice ricorrenza è qui presente il Superiore Generale dei Ministri degli Infermi, il carissimo Padre Renato Salvatore, Moderatore Generale dell’Istituto incorporato, che saluto affettuosamente e che ringrazio per la sua presenza. Come pure saluto e ringrazio con il medesimo affetto e con sincera stima il prof. Massimo Petrini, Preside dell’Istituto, e il Segretario dell’Istituto, che insieme con la prof.ssa Palma Sgreccia non solo ci onorano della loro presenza, ma tanto hanno collaborato col Decano della nostra Facoltà di Filosofia, Mons. Gianfranco Basti, con il Docente di Etica prof. Michael Konrad, con gli altri Professori della medesima Facoltà, e con tutti i Professori e gli illustri Relatori, provenienti da diverse Università e Istituzioni di Ricerca e di Cura in Italia e nel mondo, per la buona riuscita di questo Convegno.

1. “Non fatevi rubare la speranza”: è questo l’annuncio che più volte è risuonato nei primi giorni – così intensi e significativi per la Chiesa e per il mondo intero – del ministero petrino di Papa Francesco.

Un grido di gioia evangelica rivolto ai giovani, anzitutto; un grido che la Chiesa e il mondo intero hanno accolto con grande entusiasmo. Questo stesso grido e questo stesso annuncio noi vogliamo far risuonare – e, nel nostro piccolo, moltiplicare – lungo le due giornate del Convegno.

Ricordiamolo sempre: promuovere una metafisica o un’etica riduttive della ricchezza della vita e della persona, in particolare della loro dimensione spirituale e trascendente, significa perpetrare un orribile “furto della speranza” alla vita di milioni, di miliardi di persone, e alla vita di tutti noi, se è vero – come è vero – che la cura della salute e la lotta contro la sofferenza e la malattia sono questioni ineludibili, che riguardano ciascun uomo, ciascuna donna, ciascuno di noi, nella nostra vita e nella vita dei nostri affetti più cari, a qualsiasi età, in qualsiasi condizione.

“Togliete a un viaggiatore la speranza di arrivare: gli avrete tolto la forza di camminare”. È questo un prezioso aforisma, fra le tante perle di sapienza umana e cristiana di quello splendido trattato di teologia spirituale, che è lo Speculum Fidei di Guglielmo di Saint-Thierry: un trattato che consiglio di leggere e di meditare a tutti, specialmente ai nostri studenti.

Senza la dimensione spirituale e trascendente della vita umana noi derubiamo l’uomo, il nostro fratello, la nostra sorella della loro speranza più vera, l’unica capace di renderli più forti di qualsiasi prova e della stessa morte.

2. Lavorare, ricercare, studiare per la cura delle persone che vivono e lottano contro la malattia, la sofferenza e le loro pesanti conseguenze è un sublime servizio della carità; è promozione della dignità delle persone, e, proprio per questo, anche della nostra dignità di studiosi, medici, scienziati, ricercatori, operatori sanitari, ma anche di volontari e di sacerdoti posti al servizio del fratello e della sorella che soffrono.     

E’ questa consapevolezza della dignità inalienabile della persona umana malata e sofferente e della dignità altrettanto inalienabile di chi esercita la ricerca, l’insegnamento e la pratica nelle scienze biologiche e mediche, che deve guidare come un faro i lavori di questo Convegno.

A questo scopo, per garantire un approccio non riduttivo alla ricchezza della persona e alla cura della salute, in tutte le sue dimensioni – sempre inscindibilmente presenti: dimensioni fisica, psichica e spirituale – è indispensabile un approccio interdisciplinare, genuinamente antropologico e aperto alla trascendenza. Ecco il senso di questo Convegno, che vede relatori appartenenti ai più diversi ambiti disciplinari e professionali, integrati dall’unico scopo di un servizio di cura e di promozione della persona, il più possibile globale e completo: genetisti, biologi, neurofisiologi, medici, bio-ingegneri, economisti, giuristi, filosofi e teologi, riuniti per discutere e lavorare insieme per il bene dell’umanità.

3. Mi piace sottolineare ancora come sia stato compito specifico della nostra Facoltà di Filosofia riunire insieme tutte queste competenze a congresso.

E’ alla filosofia come “amore alla sapienza” che spetta, infatti, il compito della sintesi, perché nessun aspetto della complessità della persona e della vita umana venga trascurato. E, se mi è permessa una rapida postilla filologica, l’amore di cui qui si parla è amore di amicizia, è la philía, cioè quell’amicizia modellata sull’ideale ciceroniano del “volere e non-volere le medesime cose”: eadem (bona) velle, eadem (mala) nolle.

Questa è l’amicizia.

Ecco così riemergere, quasi prepotentemente, nella definizione stessa della natura e del compito della filosofia la dimensione e il dinamismo della progettualità. L’interdisciplinarità, che la filosofia come amore alla sapienza deve promuovere e rendere possibile, è quella basata sulla condivisione dei medesimi fini ideali e delle medesime azioni concrete da compiere insieme, in spirito di autentica collaborazione e corresponsabilità.

4. San Tommaso, da parte sua, ci ricorda che, se il vero è nell’intelletto, il bene è nel reale. Un bene che si limitasse alla dimensione del desiderio e dell’intellettualità, e non portasse al conseguimento effettivo del bene pensato e quindi desiderato, non è un bene autentico, moralmente degno dell’uomo. È illusione, non realtà; è utopia, non speranza.

Solo una scienza e una tecnologia, una pratica medica, sociale, economica e giuridica poste al servizio del bene della persona, nella realizzazione di concreti, effettivi progetti di ricerca e di applicazione della ricerca stessa, davvero interdisciplinari, sono una ricerca e una pratica degne dell’uomo.  E saranno autenticamente interdisciplinari solo una ricerca teorica e un’applicazione pratica della ricerca che non escludano la dimensione antropologica della doppia trascendenza: “orizzontale”, comunitaria, e “verticale”, spirituale, della persona.

Solo queste sono ricerca e pratica clinica degne della persona che riceve le cure, ma anche della persona che le somministra e le rende possibili con la propria ricerca. L’immoralità della pratica e della ricerca scientifica in campo biologico e medico, come in qualsiasi altro campo, consiste essenzialmente in questo: nel fare della persona a cui si applica la ricerca e la terapia, ma anche della persona che compie la ricerca e somministra la terapia, non un fine, ma un mezzo. Un mezzo teso al conseguimento di fini sub-umani – quale il denaro, il successo, la carriera, il potere – che, se assolutizzati e trasformati da mezzi in fini, diventano immorali, e rendono immorale l’azione finalizzata a perseguirli. 

Carissimi, se seguiremo questa linea di condotta – che presiede idealmente ai contributi del nostro Convegno –, tutti noi, scienziati,
medici e ricercatori, insieme ai filosofi e ai teologi e alla la numerosa comunità degli operatori sanitari, troveremo in spirito di sincera amicizia la nostra più profonda vocazione nell’essere collaboratori e amici della sapienza e della speranza.

Della speranza vera, che non delude mai, perché non limitata dalle angustie della vita biologica, ma aperta al progetto di quella vita nuova, pasquale, che – proprio perché donata, regalata fino allo scandalo della Croce – alla fine lascia vuota la tomba, e vive per sempre.    

+ Enrico dal Covolo

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ZENIT Staff

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