A poche settimane dalla visita di Papa Francesco, la Terra Santa è piombata in una nuova terribile spirale di violenza. La tensione è molto alta e non sono pochi gli analisti che già prefigurano lo scoppio della terza intifada. La situazione è precipitata a seguito del rapimento dei tre ragazzi israeliani Naftali Frenkel, Gilad Shaar e Eyal Yifrach, studenti di una yeshivà, scuola di studi biblici e talmudici, consumato all’interno dell’area C (controllata interamente da Israele) mentre facevano l’autostop.
Stando a quanto emerso dalle indagini condotte dalla polizia a seguito del ritrovamento dei corpi avvenuto il 30 giugno scorso in un terreno abbandonato tra Beit Khalil e Halhul, il rapimento sarebbe stato eseguito da un commando che li avrebbe uccisi subito dopo.
Nonostante le autorità di Tel Aviv abbiano individuato in Hamas il responsabile dell’azione, il movimento si è dichiarato completamente estraneo all’accaduto, circostanza questa non trascurabile se si tiene conto del fatto che l’organizzazione non ha mai smentito atti di violenza imputati dagli israeliani.
L’episodio ha immediatamente scatenato la massiccia reazione delle autorità israeliane nei confronti della popolazione palestinese portando all’arresto di ben 700 persone oltre ai continui raid aerei che, ormai con costanza, colpiscono i territori palestinesi provocando numerose vittime tra la popolazione civile. All’offensiva israeliana fa eco la controffensiva del lancio di razzi palestinesi.
All’accaduto ha inoltre fatto seguito il rapimento di Mohammad Abu Khdeir, il sedicenne palestinese rapito a Gerusalemme, il cui corpo è stato trovato carbonizzato dalla polizia qualche giorno fa in un bosco della Città Santa.
Tali eventi non sono altro che il frutto di una situazione generata dalla continua e inarrestabile crescita delle colonie israeliane nei territori di Palestina e che, alla luce anche degli ultimi eventi, tende ad essere sempre più pericolosa ed esplosiva. Una terribile spirale di violenza che, ormai da anni, viene quotidianamente alimentata dai piccoli episodi di vandalismo consistenti in attacchi contro le proprietà, roghi di macchine, gomme squarciate, ulivi incendiati e minacce alle persone, consumati nei villaggi palestinesi da parte dei coloni. Di questi price tag attack l’ONU, attraverso il suo ufficio di Gerusalemme, ne ha infatti registrati nel solo anno 2013 ben 339.
Tali episodi indicano in modo molto chiaro come si stiano prefigurando tutti i presupposti per l’esplosione di una terza Intifada, evenienza questa tutt’altro che remota, se solo si pensa che tanto Hamas quanto le altre fazioni politiche palestinesi ormai da tempo ne auspicano l’avvento al fine di allentare la pressione perpetrata da Israele. Una tale ipotesi non è peregrina se si considera che le precedenti, ovvero quella del 1987 e del 2000, esplosero a seguito di una simile escalation di terrore.
Alcuni analisti sono peraltro giunti ad ipotizzare che tutta questa vicenda scaturita dal rapimento dei tre ragazzi israeliani potrà essere funzionale agli interessi strategici di Israele perché ha scardinato quel labile equilibrio politico che si era venuto a creare a seguito dell’accordo tra Fatah e Hamas e che aveva visto sorgere il neonato governo di unità nazionale che, per quanto fragile, avrebbe senz’altro potuto ostacolare i progetti di espansione israeliani.