I cristiani di Mosul vittime dei jihadisti e degli interessi geopolitici sul Medio Oriente

I miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante hanno insospettabili alleati assetati di denaro?

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Le tragiche e inaudite operazioni di pulizia etnica che in questi giorni si stanno consumando a Mosul ad opera degli adepti del neo-proclamato Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) e ai danni dei membri della comunità cristiana, rivelano l’efferatezza del fondamentalismo islamico, ma anche gli effetti di una manovra geopolitica che mira a scompaginare l’area mediorientale facendo leva sulle differenze religiose.

A Mosul, culla del Cristianesimo assiro, la comunità cristiana è presente sin dal II secolo e nonostante mille difficoltà è riuscita a sopravvivere nei secoli successivi, rivestendo un ruolo di indubbia importanza per la crescita sociale e culturale di quei territori. Tale importanza viene confermata dalle parole espresse dallo scrittore Younis Tawfik, iracheno di fede musulmana sunnita, che in una recente intervista alla Radio Vaticana parla della generosità che nel corso della storia ha contraddistinto la comunità dei cristiani. Generosità che si è tradotta con la formazione dei maggiori scrittori, artisti e letterati che hanno profuso il loro impegno anche per la valorizzazione della cultura araba. Ne è riprova il fatto che i primi dizionari moderni di arabo e i primi studi su questa cultura vennero fatti proprio dai cristiani d’oriente.

Attestazioni che fanno il paio con l’aperta condanna pervenuta nei giorni scorsi da parte dell’Oci (Organizzazione per la cooperazione islamica) e dello Iums (Unione internazionale degli studiosi islamici), nei confronti dei crimini dell’Isil. In particolare, le due organizzazioni hanno precisato come tali condotte non abbiano alcun legame con l’Islam e i suoi precetti.

Il clima di assoluto terrore e di intolleranza che l’Isil pratica ormai da settimane nelle zone di cui ha assunto il controllo e che sta spingendo i cristiani alla fuga, pena la conversione o il pagamento di una tassa per gli infedeli, troverebbe quindi giustificazione esclusivamente nella spettacolarizzazione della guerra mediatica o psicologica, funzionale ad un più ampio progetto geopolitico. Esso consisterebbe nella realizzazione del Grande Medio Oriente, da attuarsi attraverso una strategia ben precisa e meglio conosciuta come “strategia del caos”, che mira all’ulteriore smembramento dei territori e delle culture, nello specifico di quelli iracheni, per renderli maggiormente controllabili. Ciò mediante il sostegno alle varie parti in conflitto a seconda dei cambiamenti di scenario.

Da sottolineare che i finanziatori del nuovo califfato sono Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Approvvigionamenti economici, ma non solo: il ruolo dell’Arabia Saudita risulta di fondamentale importanza anche per l’attività di indottrinamento ai militanti attraverso la struttura delle reti wahabite. Sono proprio i sauditi, al momento, i maggiori beneficiari di tale situazione, per via dell’oscillazione verso l’alto dei prezzi del petrolio dovuta all’interruzione dell’erogazione dai pozzi iracheni, libici e siriani caduti sotto il controllo (strategico) dei nuovi occupanti.

Sicuramente i sauditi stanno assumendo un ruolo centrale nella riorganizzazione della mappa medioorientale. Anche se assumono di volta in volta posizioni diverse. Nel conflitto nella Striscia di Gaza, per esempio, l’Arabia Saudita appoggia l’Egitto e l’estromissione di Hamas.

Nel dramma che si sta consumando, e che ormai sembra chiaramente indirizzato alla totale frammentazione del mosaico mediorientale, i cristiani, ove non adeguatamente tutelati anche da parte dei governi europei, rischiano seriamente di sparire non solo da Mosul ma dall’intera area, con la conseguenza che con loro perirebbe un patrimonio culturale di inestimabile valore.

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Filippo Romeo

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