Tre anni di stalking. Nonostante allarmi e denunce, lettere e telefonate, aggressioni e tentativi di violenza, la sera di venerdì 15 marzo 1991 una studentessa universitaria di 23 anni viene accoltellata per tredici volte al collo e al torace. Succede sotto casa sua, a Palo del Colle (provincia di Bari), di ritorno da un incontro del gruppo di Azione cattolica nella Chiesa Matrice, in cui sollecita interventi concreti a fronte dei primi massicci sbarchi di migranti albanesi. Muore qualche ora dopo, nella notte del 16, al Policlinico del capoluogo pugliese.
Le sue ultime parole sono di perdono per il suo assassino, Giuseppe, un giovane squilibrato ossessionato da lei, che la perseguitava e pedinava da tempo. Santa Scorese è una delle prime vittime accertate di stalking e la sua storia – tragica e allo stesso tempo piena di vita – ha colpito il regista e attore Alfredo Traversa, autore dello spettacolo teatrale Santa delle perseguitate e del volume Santa che voleva solo vivere, pubblicato dall’editrice pugliese La Meridiana. Non l’ha conosciuta personalmente, ma sulla sua tomba ha lasciato con la moglie il bouquet del loro matrimonio: “Lo tenesse lei”, ha scritto teneramente nelle ultime pagine del libro.
Il 30 aprile scorso, a Palese-Macchie – quartiere di Bari – le è stata intitolata una strada quale “vittima di femminicidio”. A due passi dalla nuova sede del municipio, “Via Santa Scorese” intende “dare visibilità culturale all’elemento femminile, in questo particolare momento di impegno contro la discriminazione e la violenza verso le donne”, recita la delibera comunale. E quella della memoria è un’urgenza per Rosamaria, sorella maggiore di Santa, accorsa quella sera insieme ai genitori Piero e Angela, fermata dai carabinieri mentre graffiava l’assassino, dichiarato poi dal giudice per le indagini preliminari “incapace di intendere e di volere”, mentre gli avvocati difensori escluderanno anche l’ipotesi di omicidio premeditato. Una persona schizofrenica che – dopo un decennio di detenzione nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa – sconta la pena in una comunità e potrebbe tornare in libertà da un momento all’altro.
Ma la vicenda di Santa interessa non tanto per i suoi risvolti di cronaca nera, quanto per una incredibile testimonianza di fede custodita nel suo diario e nelle sue lettere. La diocesi di Bari-Bitonto ha aperto nella domenica delle Palme 1998 il processo per la causa di beatificazione e per martirio in odio della fede; postulatore della serva di Dio è don Vito Bitetto, mentre il polacco padre Zdzisław Józef Kijas, francescano conventuale, è il relatore presso la Congregazione delle cause dei santi, con alle spalle nientemeno che l’incarico di vicepostulatore nel processo di beatificazione di Giovanni Paolo II.
“Non posso camminare da sola per strada perché lui arriva dovunque. Ho solo la mia fede e il mio diario”, annotava drammaticamente la ragazza. Parole che sintetizzano “il suo martirio quotidiano”, assicura Rosamaria, sempre affiancata dai figli Simonetta e Adriano e dal marito Mario. C’era anche lui quella maledetta sera, 23 anni e mezzo fa, ad assistere con impotenza la cognata agonizzante. Oggi cinquantenne – Santa avrebbe invece 46 anni –, Rosamaria ci tiene a sottolineare “la straordinaria normalità” della sorella: “Era molto volitiva, uno spirito libero che non accettava compromessi. Per niente bigotta: non si fissava sulle immaginette. Coltivava il desiderio di essere vicina agli ultimi, ma senza ostentare nulla”.
Una vita serena, scandita anche da un amore ai tempi del liceo, dall’affetto di una madre casalinga e di un padre poliziotto, dal servizio agli anziani e ai poveri. Finché un giorno del 1989 Santa incrocia Giuseppe, che aveva frequentato un gruppo vocazionale. Lui l’adocchia mentre si reca in Cattedrale per incontrare il parroco, già suo professore d’inglese del liceo, e inizia a seguirla. Comincia a mandarle bigliettini, lettere prima farneticanti e poi minacciose in cui scrive: “O mia o di nessuno e nemmeno di Dio”. Telefonate, appostamenti, aggressioni. Santa ha paura, però non si chiude in casa. “Il male si è servito di lui”, commenta Rosamaria. “Prima di mia sorella, aveva perseguitato altre ragazze. Dopo la rabbia e il dolore, ora provo pietà nei suoi confronti”.
Dopo l’omicidio, la casa e la tomba di Santa diventano meta per tanti giovani, attratti dal suo sorriso e dalla sua esperienza. “Sentiva Gesù come compagno ma anche come Signore, aveva con Lui un rapporto affettivo ed effettivo forte”, racconta suor Carmencita Picaro, delle Missionarie dell’Immacolata-Padre Kolbe, guida spirituale di Santa quindicenne fino all’omicidio. E aggiunge che al momento dell’omicidio era ancora nella fase di discernimento, “ma nella sua ultima telefonata mi aveva detto: ‘Se mi succede qualcosa, ricordati che io ho scelto Gesù’”. Per essere credente, non si è assentata dalla storia, anzi: ha portato su di sé, come e con Gesù, insieme a tanti altri martiri della dignità umana, la passione di questo difficile secolo. Controcorrente, nel suo piccolo e nella sua stessa morte, dà lezioni di vita.